La sovrapposizione tra vecchie e nuove generazioni, media industriali e media post-industriali, l’accelerazione di nuovi stili di vita impressi dalla pandemia, apre la strada ad un ripensamento delle geografie umane. Già oggi milioni di persone in tutto il mondo si muovono costantemente tra città e nazioni dove temporaneamente acquisiscono lo status di cittadino temporaneo. Con o senza legittimazione di un passaporto, i nomadi digitali (digital nomads) sperimentano esperienze tanto in byte quanto in atomi e lo fanno in qualità di fondatori di start up, maker, videogiocatori, fruitori di realtà aumenta e virtuale, programmatori di intelligenza artificiale. Modi di lavorare e vivere che non esistevano fino a vent’anni fa e che sono destinate a diventare quantitativamente e qualitativamente l’asse portante del XXI secolo, in un’epoca in cui il combustibile primario è quello creativo e mentale.
I nuovi hub per creativi collettivi e connettivi proliferano in località come Da Nang (Vietnam), Bansko (Bulgaria), Split (Croazia), spazi urbani attrattivi in cui si immagina, disegna ed esegue il futuro. Le città elencate, dopo esser state marginali per le logiche del turismo di massa, risultano tra le mete più ambite dai nomadi digitali che trovano in quelle località una serie di infrastrutture materiali ed immateriali alla base di questo nuovo fenomeno.
Il decidere di risiedere a Roma o a Bengaluru in India non è più influenzato da parametri “tradizionali” come la presenza di attrattori culturali, il prestigio stratificatosi nei secoli, l’essere o meno una capitale, ma da nuovi parametri ben sintetizzati in portali come Nomadlist. Non deve sorprenderci se l’Italia, ancora fortemente incardinata intorno ai principi novecenteschi di turismo e attrattività, non sia mai entrata con una sua città nella TOP 100.
Quali le caratteristiche che fanno di un paese un attrattore per nomadi digitali?
Dando una occhiata ai parametri che muovono i nuovi residenti temporanei: qualità della rete internet, clima, qualità dell’aria e della vita, vicinanza ai temi LGBT, disponibilità di spazi di co-working, pedonabilità delle strade, la presenza di un ecosistema di start up, lingua inglese.
Sono categorie quasi mai prese in considerazione dai nostri amministratori ancorati a principi di standardizzazione dell’offerta ed a criteri di valutazione legati al numero di arrivi, biglietti venduti, pernottamento medio.
Nuove infrastrutture più immateriali che materiali favoriscono l’arrivo di creativi il cui beneficio principale non è dato dai consumi in loco, seppur molto più articolati vista la durata media di permanenza per settimane o mesi rispetto al turista da poche notti, quanto piuttosto dall’apporto di bagaglio umano, culturale e professionale. Da questa commistione tra cittadino permanente e temporaneo nascono spesso nuove progettualità, start up in cui il genius loci collabora con professionalità non presenti sul territorio creando quel terreno fertile generazione di nuovi processi e prodotti.. Quelle che Robert Govers chiama “Imaginative Communities”; quartieri, città, regioni, nazioni e finanche continenti che diventano attrattivi grazie a nuovi sensi di appartenenza e valori condivisi. Ed ecco entrare nell’infrastrutturazione necessaria la possibilità di essere felici, le relazioni umane, la tolleranza, la libertà di parola o ancora la facilità con la quale fondare una nuova impresa ed in generale una de-burocratizzazione che consenta al creativo di focalizzarsi sulla creazione di benessere collettivo.
Quali paesaggi digitali per quali videogiochi?
Non solo nuove geografie territoriali, ma anche paesaggi digitali oggi concorrono nella generazione di nuovi immaginari turistici e culturali. I videogiochi sono nelle vite di oltre due miliardi di persone nel mondo, di cui 15 milioni sono italiani. La loro capacità di coinvolgere e fidelizzare un pubblico largamente under 45, aiuta a capire gli impatti che possono avere nel sedimentare stratigrafie territoriali. Sono sempre più i videogiochi ambientati o ambientabili in contesti “reali” quali città, castelli, aree naturalistiche contribuendo alla loro evoluzione in paesaggi digitali destinata a essere attivatori culturali e non solo attrattori.
L’esempio da cui partire è sicuramente Assassin’s Creed 2, videogioco realizzato dalla azienda francese Ubisoft ed ambientato in città italiane come Venezia, Roma, Firenze, Forlì, San Gimignano e Monteriggioni durante il Rinascimento. Oltre 120 milioni di persone nel mondo hanno acquistato, al costo medio 60 euro, i capitoli di questo blockbuster entrando in contatto con personaggi, storie ed ambientazioni anche italiane: un viaggio virtuale nell’Italia rinascimentale, in cui i giocatori si possono muovere a piacimento tra Palazzo Strozzi, il Colosseo, il campanile di San Marco e mille altri luoghi dove il piacere del gioco diventa anche occasione per un turismo digitale che sempre più spesso si traduce in turismo reale. Grazie a questa saga, infatti, molti giocatori hanno espresso il desiderio di effettuare dei tour nei luoghi in cui sono stati protagonisti. Un corto-circuito reale/virtuale, gli inglesi lo chiamerebbero phygital, in cui il nuovo turista va alla ricerca dei luoghi che hanno ispirato le reali o realistiche riproduzioni digitali ed a loro volta fotografano o registrano video che continuano a generare nuove stratigrafie. L’attrattore iniziale si annoda con l’attivazione culturale generata da una idea autoriale creative per ibridarsi definitivamente grazie al contributo del largo pubblico che si appropria di luoghi, storie e tempi per rielaborarli secondo la propria individualità e, nuovamente, rimetterli in circuitazione.
Non è una coincidenza se uno dei luoghi riprodotti, il piccolissimo borgo di Monteriggioni in Toscana, abbia conosciuto a partire dal 2009 un aumento significativo dei flussi turistici ed una visibilità su forum, community, social network mai conosciuta nella sua millenaria storia. Nell’ultimo decennio centinaia di migliaia di visitatori hanno percorso le vie del borgo dopo averlo conosciuto attraverso il videogioco e milioni lo hanno visto e rivisto attraverso video, fotografie generate dai visitatori fisici.
Il caso italiano di turismo video-ludico
Il caso emblematico di turismo video-ludico italiano, nella doppia accezione di esser ambientato ed esser stato sviluppato e pubblicato in loco, è sicuramente Father and Son. Da una idea di Ludovico Solima, professore presso l’Università della Campania, e dalla volontà del direttore Paolo Giulierini, nasce il primo videogioco destinato al mercato mondiale prodotto dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Sviluppato dal collettivo internazionale TuoMuseo, l’opera interattiva segue la storia di Michael, giunto a Napoli per esaudire gli ultimi desiderata del suo padre archeologo che non vede da anni. Con lui nella casa del padre defunto nell’atto di leggere la sua ultima lettera, inizia un viaggio tra le bellezze della città partenopea e del suo Museo in cui la linea temporale del presente si interseca con storie provenienti dall’Antico Egitto, epoca borbonica e Pompei per rimarcare l’universalità di sentimenti e comportamenti. Numerose ambientazioni napoletane sono state reinterpretate artisticamente attraverso migliaia di tavole disegnate a mano ed inserite nel gioco per dispositivi mobili scaricabile gratuitamente sugli store Apple e Google in dieci differenti lingue: cinese, giapponese, russo, portoghese, italiano, inglese, tedesco, francese, spagnolo e “lingua” napoletana. Da aprile 2017, data di rilascio del videogioco, sono state oltre 4 milioni le persone nel mondo che hanno interagito con Napoli, il Mann e le sue collezioni totalizzando l’equivalente di mille anni di vita all’interno del prodotto. Cina, Usa, Russia, Brasile, Sud Est Asiatico si sono avvicinati alla storia e cultura italiana grazie al progetto digitale per poi recarsi fisicamente nel Museo anche incentivati dalla inedita modalità check-in che consente ai giocatori di geo-localizzarsi nel museo per sbloccare contenuti aggiuntivi.
Digitale ed analogico si saldano per creare un ponte tra la fase pre visita e l’esperienza on-site creando un positivo corto circuito tra reale e virtuale ed una conseguente stratificazione di cultura conservata (migliaia di reperti esposti e nei depositi) e cultura generata attraverso decine di migliaia di recensioni scritte dai giocatori, video e migliaia di articoli e citazioni. Il videogioco diventa patrimonio immateriale dell’istituzione culturale ed al contempo proprietà di tutti coloro i quali l’hanno fruita contribuendo ad aumentare i flussi di visita 2e la circolazione mediatica del Mann di Napoli.
Sono cambiamenti profondi e duraturi che necessitano nuove forme di pianificazione e l’allargamento delle figure professionali da coinvolgere. Tra i progetti di scala ampia e pluriennali in corso, non si può non sottolineare il percorso avviato dalla Fondazione Alghero verso una Città che Gioca. Un piano di infrastrutturazione ludica volta a rendere la località costiera sarda attrattiva verso il largo bacino di giocatori, fisici e digitali, ed al contempo un hub di progettazione creativa grazie ad una serie di call e hackaton da cui usciranno cinque dei dieci progetti ludici che diventeranno parte dell’arredo urbano e del flusso esperienziale della città.
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