Come il PNRR può davvero cambiare (in meglio) le sorti del Belpaese

Il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza pone sfide importanti e mette al centro la sostenibilità digitale, con in gioco il futuro del Paese: se ne è parlato in occasione di un webinar recentemente organizzato dall'associazione Kyoto Club

Il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) redatto dal governo Draghi, recentemente approvato e ufficialmente trasmesso alla Commissione europea, pone delle sfide importanti e mette al centro il concetto di sostenibilità digitale. I “nuovi” ministeri per la Transizione ecologica e Digitale, insieme a quello dello Sviluppo Economico, sono il perno su cui ruota l’intero impianto e la sfida principale è appunto passare alla decarbonizzazione e alla sostenibilità anche attraverso il digitale che produce sviluppo.

In gioco non ci sono solo i 222,1 miliardi (di cui 191,5 coperti con il Recovery Fund) a cui si aggiungono pure i 30,6 miliardi del Fondo complementare alimentato con lo scostamento di bilancio, ma anche e soprattutto il futuro del Paese. Se ne è parlato di recente durante un webinar organizzato dall’associazione Kyoto Club che, per vagliare alcune proposte migliorative allo stesso PNRR, ha interpellato esperti ed esponenti di rilievo di Governo, Parlamento e Confindustria, innescando un confronto di alto profilo tra pubblico e privato, mercato e istituzioni.

Il punto di vista del MISE

Un rischio che non si deve correre, anche vista la mole di fondi che ci si trova a disposizione, è quello di limitarsi a dare sostegno alle aziende, migliorando invece nel suo complesso il sistema-Paese. Ne è convinta Alessandra Todde, vice-ministro per dello Sviluppo Economico, per cui sarà possibile raggiungere buoni risultati solamente in questo modo: “Quello che funziona è un sistema in equilibrio. Bisogna passare verso modelli più sostenibili, e questo passaggio non deve essere punitivo verso gli imprenditori”, sottolinea il vice-ministro: “Per questo dare incentivi è positivo, ma devono essere incentivi che funzionino all’interno di un sistema.”

Quello a cui andiamo incontro, secondo Todde, sono “obiettivi sfidanti e ambiziosi”. Bisogna quindi incentivare il mercato con prodotti che abbiano logiche di sostenibilità, senza esclusione di alcun campo di azione. Come ad esempio l’Ecobonus, che per il vice-ministro è “un primo passo, una misura strutturale per avere efficienza energetica diffusa”.

Un capitolo a sé è riservato all’elettrificazione, non solo per la sua importanza nella riduzione delle emissioni inquinanti e come volano per il rilancio economico, ma anche per poter strutturare meglio le città. Serve incentivare la transizione verso la mobilità elettrica, ma se non si investe nella rete elettrica tutto è vano, spiega Todde. Insomma, serve poco avere le colonnine, senza l’elettricità: “Il Paese deve avere una strategia, per permettere nuove infrastrutture”. Il PNRR, di conseguenza, lavora sulle infrastrutture e punta alla valorizzazione delle comunità energetiche.

Sostenibilità non significa solo ambiente

“Perché parlare di sostenibilità?”, si è chiesto invece Stefano Epifani, direttore di Techeconomy 2030 e presidente del Digital Transformation Institute, prima Fondazione di ricerca in Italia per la sostenibilità digitale: “Perché muove le masse e milioni di giovani acquisiscono una coscienza verso il mondo. Ridefinisce comportamenti, attira investimenti.” E questo anche in Italia, dove soprattutto nell’ultimo anno si è recuperato il gap che si aveva con altri Paesi a livello di interesse per la sostenibilità.

Ma attenzione, oggi in Italia è comunque “importante cercare di ragionare sui princìpi di base della sostenibilità”, suggerisce Epifani, mettendo in guardia sulla sottile trappola in cui molti sembrano cadere, soprattutto nel Belpaese: “Bisogna evitare l’errore di guardare solo all’ambiente. Questa è una distorsione sostanziale alla base della sostenibilità. L’ambiente è il presupposto, ma non si può guardare solo a questo”, spiega il docente di Internet Studies de La Sapienza.

La Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo descrive infatti la sostenibilità come “il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Questo cosa significa, si chiede Epifani? “Significa prima di tutto parlare di società, avendo in mente che l’ambiente ha risorse limitate. E questo è fondamentale”.

Il pericolo dunque è quello di appiattirsi solo sull’ambiente, passando da una visione ambientale ad una meramente “ambientalista”, con notevoli e sostanziali differenze fra le due. Parlare di sostenibilità significa parlare di ambiente, di società e anche di economia. Le une presuppongono le altre, senza esclusione. In pratica, “è parlare dei bisogni delle persone.”

Il grande assente nel dibattito pubblico, in merito anche agli obiettivi di Agenda 2030, è stato appunto il disegnare la società che vogliamo. Il che impone di stabilire un modello economico che possa supportarla in funzione dell’ambiente. “Questo fatto non è secondario – sottolinea Epifani – perché proprio l’orientamento della gestione delle risorse determina l’orientamento alla sostenibilità”.

Secondo il professore, serve quindi scegliere prima un modello di società, da lì costruire un modello economico per perseguirlo, scegliendo poi le opportune dinamiche di sviluppo sostenibile.

L’impegno delle industrie è fondamentale

Come spiega Laura Bruni, Direttore Affari Istituzionali di Schneider Electric Italia e Coordinatrice del Gruppo di Lavoro “Efficienza energetica e Trasformazione digitale” del Kyoto Club, per indicare un piano strategico per PNRR e Recovery Plan sarà fondamentale l’impegno delle industrie.

Il PNRR verrà approvato dall’Europa quando sarà in grado di incrementare il lavoro, non sussidi, per un reale sviluppo”, evidenzia Laura Bruni: “Ci sono poi la Transizione ecologica e quella digitale, in questo caso fortemente rappresentata anche da scelte governative. Senza dimenticare l’importanza di piani strategici di investimento e di progetti che possano essere valutati e concretamente misurati, espressione di un’Italia che mette sul tavolo la sostanza, e non solo la forma.”

Questo rappresenta quelle che sono in pratica le due anime dei due contributi sviluppati dal Kyoto Club, uno di indirizzo strategico ed uno di proposte operative pronte per essere implementate, nate dalla collaborazione con diverse aziende per le quali la sostenibilità è sempre più importante, a partire ovviamente da Schneider Electric, che ha guidato il processo.

Quattro suggerimenti per un PNRR competitivo

Ma come si può rendere il PNRR italiano veramente competitivo? Secondo la visione strategica nata dalla collaborazione tra Kyoto Club e Schneider Electric, le priorità su cui focalizzare l’attenzione sono quattro:

  1. Implementare la decarbonizzazione, incentivando elettrificazione, digitalizzazione, efficienza energetica, economia circolare, sostenibilità.
  2. Investire negli edifici residenziali, sia pubblici che privati, ma anche nel privato terziario.
  3. Assicurare la resilienza dei servizi critici del Paese.
  4. Apprendere da Transizione 4.0 e rilanciare filiere tecnologiche e progetti di sviluppo.

Per quanto riguarda il primo punto, è necessario capire che la trasformazione digitale non è un contorno del processo di sviluppo del Paese, ma ne è la chiave. “Vogliamo che questo sia pervasivo per ogni progetto di sviluppo”, sottolinea Bruni: “Con elettrificazione e digitalizzazione come fattori abilitanti di sviluppo, efficienza energetica come output imprescindibile, economia circolare come fattore di competitività e sostenibilità come chiave di sviluppo integrata di tutte le missioni, il digitale è ineludibile ed è la base da cui partire.”

A livello di provvedimenti per gli edifici pubblici, residenziale e terziario privato, c’è da considerare che questo è sempre stato un tema critico, in quanto il settore è stato finora il grande assente nel PNRR. Una grave mancanza nell’ottica di raggiungere gli obiettivi al 2050, fa presente Laura Bruni, perché non si può pensare di perseguire la neutralità climatica ignorando un settore responsabile di almeno il 40% dell’energia finale di utilizzo. Soprattutto vi è la mancanza di un progetto di filiera di certi settori che sono da riqualificare, come ad esempio l’hotellerie, in chiave sostenibile, digitale e quindi competitiva. Alcune filiere non sono sostenute, ma vanno incluse. Del resto le tecnologie ci sono.

Per “assicurare resilienza”, invece, cosa si intende? “Intendiamo creare infrastrutture non vulnerabili. Ad esempio l’ospedale che non interrompe la continuità di esercizio in sala di rianimazione se vi sono problemi elettrici. Oppure servizi critici relativi alle scuole. Quindi investimenti tecnici importanti”, spiega Laura Bruni: “Scegliere le tecnologie è una scelta strategica: cyber-security con Data center ad alta efficienza, fornendo servizi e valori non discontinui che danno poi anche competitività. Resilienti in questo senso.”

Infine, ma non da meno, la trasformazione digitale delle imprese. “Nasce l’esigenza di muoversi su temi di premialità che valorizzino non solo le singole iniziative o le singole imprese, ma progetti di filiera e soggetti che, come cluster, come catene di produzione e fornitura del made in Italy, possano trovare insieme una possibilità di valorizzare le loro operazioni digitali e sostenibili”, conclude Bruni: “E visto che la connettività ha mostrato tutto il suo potenziale di rinnovamento dentro il Piano, estendere il discorso anche all’industriale non puro, come ospitalità, ristorazione, ospedali, retail ecc. è fortemente auspicabile.”

Da ora in poi c’è da ragionare in termini di sostenibilità digitale

Da qui in poi, in sostanza, bisogna ragionare in termini di tecnologia digitale, oltre che di sostenibilità digitale, ossia capire che le tecnologie digitali sono strumenti per perseguire gli obiettivi di Agenda 2030. Riflettere su come il digitale possa supportarci sull’istruzione di qualità, nel superare le discriminazioni di genere, nella creazione di ecosistemi economici sostenibili.

Ragionare in termini di sostenibilità digitale significa anche avere una visione sistemica del digitale e della sostenibilità. Il digitale è un quarto elemento sistemico, uno strumento di sostenibilità che intermedia il ruolo degli altri tre (economico, sociale e ambientale), andando a creare un processo di “ri-mediazione” dinamico e continuo.

In altri termini, il digitale è da intendersi come strumento di sostenibilità, in quanto consente di abilitare ecosistemi, ottimizzare processi, ridefinire i nostri modelli, perché ottimizza i contesti. È una “rivoluzione di senso”, come la definisce Stefano Epifani, per rendere la società in cui viviamo veramente sostenibile. Ma soprattutto è avere una visione politica della società con un’economia sostenibile che guardi al digitale come risorsa e come variabile sistemica.

La domanda è ora: esiste una politica industriale per questo? Il PNRR si è articolato in moltissime componenti, ma rischia di dimenticarsi il vero senso della sostenibilità. E questo sarebbe un errore imperdonabile, che va ben oltre la sfera economica, o dei numeri. Del resto, come lo stesso premier Mario Draghi ha dichiarato all’inizio del suo discorso di presentazione del Recovery Plan a Montecitorio, “sbaglieremmo tutti a pensare che il PNRR sia solo un insieme di progetti, di numeri, obiettivi, scadenze. Nell’insieme dei programmi c’è anche e soprattutto il destino del Paese.”

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here