Dialogare sui social network? Un po’ come stare in fila alla posta

Se già in presenza non si può esplicitare il senso di tutto ciò che si dice, generando ambiguità, com'è possibile farlo in rete? Dialogare sui social network è un po' come stare in fila alla posta: non c'è conversazione che sia al sicuro dal fraintendimento

Immagine distribuita da Piqsels

(…) Naturalmente, non intendiamo dubitare che la selezione naturale
abbia giocato un ruolo decisivo nel modellare
le attuali strategie inferenziali. Tuttavia, questo non è sufficiente
per argomentare, su basi evoluzionistiche, che le nostre strategie
sono ottimali o quasi ottimali

S. P. Stich, La frammentazione della ragione

 

Antefatto

TIZIO: Sai usare il pc?

CAIO: Sì.

TIZIO chiede a CAIO di eseguire una certa operazione, ma CAIO non ne è capace. Dunque, CAIO sa o non sa usare il pc? Ha risposto in buona fede o ha mentito? In effetti, CAIO sa accendere il pc, sa accedere ai social, fare un post, fare una ricerca essenziale et cetera; insomma, sa svolgere delle operazioni comuni. Ma TIZIO, evidentemente, intende qualcos’altro con la propria domanda.

Questione

Ciò che più c’interessa, allora, è capire perché la conversazione non vada a buon fine, per così dire. La convenzione linguistica e la cooperazione tra le parti appaiono rispettate. Sembra, di primo acchito, che sia venuta meno l’attenzione alla referenza, cioè a quell’elemento extralinguistico in funzione del quale TIZIO e CAIO possono incontrarsi sul piano della realtà. Non dobbiamo mai trascurare, infatti, che il discorso, da sé, vale a dire in valore assoluto, è un’entità illusoria. In Se un Christòs avesse detto “distruggete questi social e io in tre giorni li farò risorgere”, non a caso, abbiamo parlato di tangenzialità, volendo indicare, con questo termine, l’atteggiamento di quell’utente che commenta gli articoli pubblicati da una redazione con contenuti con non hanno alcun legame di pertinenza col tema e usa lo spazio digitale per uno sfogo personale. Ci siamo interrogati inoltre sul senso della sostenibilità (ibid.) e abbiamo descritto il fenomeno in questione mediante il concetto di scrittura emotiva (in Labbra sporgenti, ammiccamenti, tramonti: la scrittura emotiva).

In sostanza, riprendendo in esame il minidialogo tra TIZIO e CAIO, possiamo affermare che entrambi si esprimono in modo corretto e dicono cose di senso compiuto. CAIO, secondo la propria unità di misura, sa usare il pc, laddove la domanda di TIZIO non è affatto esplicita: forse, troppo ampia in materia di pragmatica. Un po’ diversa, indubbiamente, è la circostanza in cui ciascuno di noi usi lo spazio di una testata giornalistica per denunciare il proprio disagio: diverso, ma solo in parte. Chi si rende tangenziale, infatti, non pensa di esserlo. Se, per esempio, ha subito un torto nel proprio ambito lavorativo, egli è indotto a credere che il suo problema sia qualcosa che coinvolge tutti e che deve riguardare tutti. L’ingiustizia, in pratica, viene immediatamente inquadrata e definita in due categorie: “ricchi contro poveri”, “lo Stato contro i più deboli”. Di conseguenza, colui che si considera o povero o debole, in quanto vittima, in preda al deduttivismo, proietta sugli altri il proprio disagio, convinto che un certo titolo, in qualche modo, sia rivolto a lui.

In ogni caso, siamo afflitti dal male della deduzione, che rende il dialogo digitale meno sostenibile di quanto potrebbe e dovrebbe essere.

Come abbiamo scritto più volte, la deduzione è una componente fondamentale della comprensione: parlanti e scriventi non possono farne a meno, tranne che qualche temerario sia disposto a precipitare nel limbo dell’isolamento conversazionale. Analizzando la domanda “Tutto ok oggi?”, possiamo fare qualche passo avanti. Ascoltando o leggendo questa frase ellittica, tutti noi comprendiamo bene che l’interrogante può riferirsi, per esempio, o al lavoro o alla scuola, e immaginiamo che il rapporto tra emittente e destinatario sia confidenziale, sebbene ci manchino parecchi elementi di comunicazione. Mentre siamo in fila alla posta, ci può capitare di ascoltare un discorso in cui Tizio racconta a Caio che la cognata del cugino lo ha tradito causandogli gravi danni. Gli elementi di ambiguità sono parecchi, possediamo alcune unità funzionali di significato, cognata, cugino, tradimento, gravità e danni; sappiamo, di conseguenza, per competenza linguistica, che Tizio ha introdotto l’insieme della parentela, l’insieme dei tradimenti e quello dei danni perché siamo perfettamente in grado di avvalerci del valore denotativo dei segni. Ci mancano, tuttavia, sia il valore connotativo di ciascun personaggio, che ci indurrebbe a scoprire anche le loro caratteristiche, sia l’insostituibile contesto in cui si è compiuta l’azione del verbo causare. Ascoltando, dunque, possiamo solo dedurre, fantasticare, atto, quest’ultimo, che contiene le nostre opportunità di ‘conoscenza’ entro i limiti dei significati ordinari.

Molto di frequente, dialogare sui social network è un po’ come stare in fila alla posta e tentare di prendere parte ai discorsi sul tradimento. Allo stesso modo, il “sì”, come tutti gli elementi olofrastici, fuorché in rarissimi casi, è piuttosto problematico: implicitamente indica una referenza; esplicitamente non la indica affatto. Se già di presenza non possiamo esplicitare il senso di tutto ciò che diciamo, generando grosse aree di ambiguità, com’è possibile farlo sulla rete?

Premettendo che potrebbero concepirsi veri e propri percorsi di educazione linguistico-digitale, soprattutto in un’epoca in cui l’emancipazione intellettuale ed economica d’un intero paese dovrebbe passare proprio dalle competenze digitali, che in Italia, rispetto al resto d’Europa, scarseggiano, è doveroso ammettere il rischio che ogni relazione linguistica comporta. Non esiste conversazione che sia al sicuro dal fraintendimento. Qui, possiamo tentare di offrire un contributo sinottico minimo circa quegli elementi che, nell’ambito del discorso, diventano attivatori dinferenze. Abbiamo già trattato l’argomento in Le parole dell’economia (2022, Il Sole 24 Ore), scegliendo come focus, in quell’occasione, le devianze semantiche causate da alcuni titoli giornalistici.

Ciò che ci permette rapidamente di elaborare nessi semantici, secondo Paul Grice (1957; 1989) prende il nome di implicatura, cui abbiamo già fatto cenno anche in Genesi e diffusione delle fake news: inferenza, manipolazione, paradosso. Le implicature possono essere convenzionali (“ma”, “quindi”, “insomma”, “infatti”, “persino”, “non ancora” et similia) o conversazionali (vere e proprie proposizioni che vedremo più avanti).

TIZIO È ANTIPATICO, MA SA USARE IL PC

Di fatto, non c’è alcuna relazione tra l’antipatia e la competenza di TIZIO; tuttavia, l’attivatore MA produce uno spostamento di senso che noi, in qualche modo, accettiamo e comprendiamo.

PERSINO I BAMBINI ORMAI SANNO USARE IL PC

Tramite l’attivatore PERSINO, intuiamo subito che l’emittente intende dire che tutti sanno usare il pc, anche se l’affermazione non è formulata.

Proviamo a complicarci la vita, come si suol dire!

TIZIO entra in casa e si limita a guardare CAIO, il quale dice:
NON GUARDARMI COSÌ! NON HO ANCORA ACCESO IL PC

In quest’ultima circostanza, l’attivatore NON ANCORA opera addirittura sulle intenzioni, per quanto siano supportate dal linguaggio non verbale di TIZIO.

Le implicature conversazionali, diversamente, come abbiamo già detto, sono delle proposizioni che, per certi aspetti, hanno la stessa funzione degli attivatori suesposti. La tecnica di cui inconsapevolmente ci serviamo è quella del lasciare intendere, giacché il legame resta deduttivo e non è mai esplicito.

TIZIO: Accendi il pc!

CAIO: Sto male.

A questo punto, siamo perfettamente in grado di capire che TIZIO non ha chiesto a CAIO quale fosse la sua condizione di salute. La risposta parrebbe addirittura tangenziale. Non lo è perché ci avvaliamo dei meccanismi inferenziali facendo salti di senso strumentali.

TIZIO: Sono stanco.

CAIO: Mettiti al pc!

Le parti si sono appena invertite, ma, come si può notare facilmente, inversioni e sostituzioni non disattivano l’implicatura.

TIZIO: Hai riparato il pc?

CAIO: È venuta la zia.

Quest’ultimo scambio ci fa pensare a tutte quelle volte in cui l’insegnante chiede allo studente se abbia fatto i compiti o meno e lo studente ‘fa star male o morire la nonna’. Quante nonne e quante zie si sono ammalate o sono morte a causa dell’impreparazione? Be’, da un punto di vista strettamente linguistico, il loro malessere e la loro morte sono stati attivati all’interno d’un’implicatura conversazionale bell’e buona. Sarebbe stato sufficiente dire no, non ho fatto i compiti, ma tutti noi tendiamo a semplificare e mentire, anche in buona fede. E i social network sono la migliore delle palestre della semplificazione e della menzogna.

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