Costruire Ambienti Intelligenti significa costruire Ambienti Assistivi. Con le tecnologie questo è possibile

Ambienti urbani, edifici pubblici e domestici per diventare ‘smart’ devono essere inclusivi e dotati di tecnologie assistive in grado di “non lasciare indietro nessuno”. Le smart home e i musei digitali possono essere un esempio concreto

Immagine distribuita da Piqsels

Come lifechanger, la tecnologia assistiva può supportare le persone bisognose in tutti gli aspetti della vita”, è quanto riporta un report dell’OMS sulle tecnologie assistive. Una persona con disabilità immersa nella società può infatti condurre una vita più sostenibile nel momento in cui ha la possibilità di andare a scuola, ottenere un posto di lavoro e partecipare alla vita sociale sentendosi parte di una comunità. Ma cosa succede quando quella stessa persona varca la soglia di casa? Le mura domestiche sono considerate per molti un ambiente sicuro, confortevole e in cui trovare riparo – nei due anni appena trascorsi inoltre, la maggior parte ha sperimentato l’ambiente domestico come l’unico ambiente da vivere, in cui trascorrere la maggior parte della giornata.

Svolgere attività domestiche o semplicemente stare a casa, possono non essere attività da fare con facilità o da vivere con comodità. Spesso si fa l’errore di pensare alle tecnologie assistive come a strumenti che aiutano le persone con difficoltà a partecipare e accedere a settori importanti della vita, permettendo loro di esprimere la piena cittadinanza eliminando le differenze con gli altri: “Senza ausili, le persone possono subire l’esclusione, essere a rischio di isolamento e vivere in povertà, affrontare la fame ed essere costrette a dipendere maggiormente dal sostegno della famiglia, della comunità e del governo”. Come se non bastasse, c’è anche il fatto che questo isolamento può diventare una vera e propria prigione.

Nel rapporto “Decade of healthy aging” si può leggere: “L’accesso a tecnologie assistive a prezzi accessibili, appropriate e di qualità è fondamentale per mantenere e migliorare le capacità funzionali delle persone anziane (ma non solo ndr), compresa la mobilità”. Il documento riconosce anche il ruolo delle tecnologie digitali nell’assistenza a lungo termine, includendo tecnologie che vanno dalle più comuni come ad esempio i grab-rail (maniglie, montascale ecc.) fino alle più avanzate come quella sensoristica per la casa intelligente.

Le tecnologie assistive che già vengono progettate prendendo in considerazione caratteristiche sensoriali, cognitive, psicosociali ed emotive, estendono il loro raggio d’azione – e quindi di progettazione – nel momento in cui devono essere incorporate all’ambiente domestico. La sostenibilità sta anche nella progettazione, la domanda “cosa ha senso fare?” diventa necessaria nel momento in cui si progettano prodotti e attrezzature affinché diminuisca la probabilità che queste non vengano abbandonate perché non sostenibili sotto l’aspetto dell’usabilità. La necessità poi, di prendere in considerazione anche “istruzioni e manuali, legislazione e standard normativi, contesto culturale ed estetica” ci dice molto riguardo la sistematicità di queste tecnologie e della difficoltà dei cambiamenti – nell’implementazione e nell’apporto.

Già a partire dagli utensili domestici che una persona utilizza ogni giorno – dai bicchieri ai coltelli, ad esempio – “i progettisti di prodotti in una varietà di settori utilizzano i principi del design universale per garantire che i loro progetti soddisfino le esigenze di una società inclusiva”. Infatti “gli strumenti quotidiani possono causare lesioni al polso e alle mani o dolore per via del loro design, ma cambiando la larghezza delle maniglie e dell’angolo degli utensili, queste difficoltà possono essere ridotte”.

Ambienti fisici e digitali abilitanti

Anche la progettazione di strade, reti di trasporto, edifici e ambienti interni ed esterni ne influenza l’accessibilità. “Ad esempio, le maniglie delle porte diventano difficili da usare per le persone con artrite, diminuzione della forza o difficoltà motorie”, persino la pendenza di un marciapiede (necessaria per far scorrere l’acqua piovana, ad esempio) “può far girare leggermente le sedie a rotelle e, per rimanere in rotta, gli utenti di sedie a rotelle sperimentano forze alle spalle che possono contribuire a lesioni”. Non solo, spesso gli ostacoli oltre ad essere fisici possono essere dovuti “alla scarsa disponibilità di informazioni o a fattori mutevoli, come la folla”. Affinché i luoghi non diventino inaccessibili molti paesi hanno approvato delle leggi “che impongono linee guida minime sull’accessibilità […], ma laddove queste linee guida non siano pienamente implementate, rimangono sfide fisiche e cognitive”.

La sfida fondamentale sta nella piena partecipazione all’ambiente costruito. Per farlo infatti, “le persone devono essere in grado di percepire le informazioni pertinenti e darle un senso (funzione cognitiva) e quindi agire su di essa”. “Ad esempio, incontrare un amico per una tazza di caffè significa affrontare molte sfide fisiche, sensoriali, cognitive e digitali, tra cui: vestirsi in modo appropriato per il tempo; trovare come arrivare a destinazione (e ottenere il trasporto); essere in grado di arrivare in tempo e trovare l’amico”.

Tutte attività che per una persona con disabilità, di default richiedono prodotti e strumenti assistivi specifici – basti pensare allo smartphone progettato appositamente per chiamare un taxi o un Uber.

“Tuttavia, indipendentemente dall’uso di prodotti assistivi, ci sono elementi dell’ambiente che consentono l’accesso all’attività e, per estensione, elementi dell’ambiente che potrebbero impedire l’accesso”.

Come anticipato, anche gli ambienti domestici possono facilitare o ostacolare la vita di queste persone che “possono essere costrette a trasferirsi in alloggi alternativi se le loro case non possono essere modificate”. Inoltre, “le linee guida per gli alloggi accessibili si basano in gran parte sulle case in contesti a reddito più elevato, che possono essere molto diversi dalle case in contesti a basso reddito” e se poi si considera anche che “gli standard nazionali di progettazione dell’accessibilità possono riguardare solo le aree pubbliche” emerge come il problema sia strutturale.

Esistono già soluzioni per gli ambienti esterni e gli edifici pubblici, come ad esempio uso di simboli e segni replicati per facilitare il riconoscimento e l’orientamento – “per la segnaletica sono suggeriti font semplici e di facile lettura con pittogrammi riconosciuti a livello internazionale”, ma anche lo sviluppo delle tecnologie sta contribuendo alla trasformazione digitale di questi ambienti, rendendoli veramente ‘smart’. I team di progettazione e sviluppo dei prodotti assistivi sono sempre più sostenibili digitali, nel momento in cui “oltre a utilizzare tecnologie additive emergenti (cioè la stampa 3D), questi designer interdisciplinari spesso mettono i loro progetti su piattaforme open source a cui altri possono accedervi e aggiungere”.

Dalle rampe alle porte ad apertura automatica si arriva all’accessibilità domestica: “Quando la casa di una persona non supporta più la sua partecipazione alle attività quotidiane, può essere modificata per soddisfare meglio le sue esigenze. Esistono numerosi strumenti di valutazione standardizzati che possono essere utilizzati per valutare le esigenze di modifica della casa e raccomandare modifiche o prodotti assistivi per consentire alle persone di rimanere nelle loro case”. Le smart home diventano veramente intelligenti nel momento in cui le tecnologie digitali rendono l’ambiente domestico più accessibile. La domotica e l’Internet of Things ad esempio, utilizzano la tecnologia digitale per “controllare l’illuminazione, le temperature interne, i sistemi di intrattenimento, gli elettrodomestici e la sicurezza domestica (come il controllo degli accessi e i sistemi di allarme)” o ancora “sono disponibili una varietà di opzioni dal controllo vocale al telecomando”.

Elaborazione dell’autore

Un case study utile per comprendere in maniera pragmatica i vantaggi e le funzionalità di un ambiente smart accessibile e dunque sostenibile, è quello del Canadian Museum of Human Rights (non a caso), che anche se edificio pubblico spiega bene l’implementazione delle tecnologie sopra elencate. La struttura già dal design del museo include “tastiere universali, che hanno semplici simboli tattili e output uditivo che possono aiutare gli utenti con difficoltà sensoriali o cognitive a orientarsi nel museo e ad accedere alle informazioni sulle sue mostre”. Da un punto di vista puramente digitale “per i visitatori sordi o ipoudenti, un’app mobile fornita dal museo può essere visualizzata in ASL o LSQ (Lingua dei Segni Americana e della Lingua dei Segni del Quebec ndr) e include contenuti aggiuntivi in lingua dei segni per diverse mostre” e infine “un’ultima caratteristica che rende le mostre e le fotografie accessibili a tutti sono le interpretazioni tattili in 3D di alcuni dei contenuti della galleria”.

Implementare le varie tecnologie può essere complicato. Già la fabbricazione richiede una progettazione mirata e che accompagni tutto il processo: dalla creazione all’utilizzo. “Gli aspetti hardware dell’ambiente digitale possono essere impegnativi. Un esempio di dispositivo domestico comune che può essere difficile da usare è il telecomando”, un oggetto banale, comune ma che richiede ad esempio, per essere accessibile, pulsanti più grandi e con colori più distinti e accesi. Per quanto riguarda il software invece “sono molte le iniziative a livello organizzativo, nazionale e/o internazionale che mirano a rendere la tecnologia digitale accessibile a tutti. Spinti dalla domanda del mercato, i sistemi operativi comuni hanno funzionalità integrate che aumentano l’accessibilità” – anche se non dovrebbe essere l’unico motivo per rendere le tecnologie più inclusive. Anche altre iniziative, portate avanti dall’OMS come il programma Rehab 2030 hanno come obiettivo quello di “costruire modelli completi di fornitura di servizi di riabilitazione per ottenere progressivamente un accesso equo a servizi di qualità, compresi i prodotti assistivi, per tutta la popolazione, comprese quelle nelle aree rurali e remote”.

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