Terremoto: gli impatti sulle imprese. Intervista a Luigi Mai, Presidente Cna Modena

Luigi Mai è il Presidente di CNA Modena.

In questi giorni dominati dall’emergenza le pesanti conseguenze del terremoto in Emilia sul tessuto produttivo del paese, faticano ad emergere in tutta la loro gravità. Eppure un solo dato basterebbe a far comprendere la reale gravità di quanto è accaduto: l’export modenese rappresenta il 22% di quello dell’Emilia Romagna che è, a sua volta, il terzo in Italia. In altre parole, il terzo polo produttivo d’Italia è in un momento di grande difficoltà.

Per approfondire la questione e comprendere cosa è necessario fare per evitare che l’emergenza si traformi in tragedia per gli emiliani e per l’Italia intera, abbiamo intervistato Luigi Mai Presidente di CNA Modena. 

1. Qual è la realtà produttiva emiliana, e in particolare quella della zona colpita dal terremoto?

Nei 10 comuni maggiormente colpiti dal terremoto contiamo circa 8.000 imprese, comprendendo nel conto anche quelle commerciali, di servizio, eccetera. Produzioni particolarmente importanti sono quelle rappresentate dalla filiera del biomedicale – la seconda al mondo per importanza – la meccanica, l’agroalimentare. Si tratta di una produzione che vale circa il 30% del Pil modenese (intorno ai 7 miliardi) e il 35% dell’export (più o meno 3,5 miliardi). A questo proposito può essere utile ricordare che l’export modenese è il 22% di quello regionale, a sua volta il terzo in Italia.

Accanto a questa importante realtà produttiva ruota un’altrettanto importante rete di aziende di servizio e di professionisti: Ict, Comunicazione, studi di progettazione e terziario avanzato in genere ed è chiaro che i danni non si fermano al territorio colpito ma coinvolgono anche l’indotto distribuito su tutta la provincia, e non solo.

Un altro aspetto sicuramente meno importante in termine di PIL, ma ugualmente con una sua dignità e molto importante per la vita quotidiana delle persone, è costituito dalla miriade di negozi, bar, ristoranti che sono stati coinvolti nei crolli dei centri storici o che, pur essendosi salvati, sono impossibilitati a portare avanti la loro attività in quanto racchiusi nella così detta “Area Rossa” alla quale è vietato l’accesso.

Un piccolo aneddoto: in diversi paesi sono andati distrutti i negozi dei fotografi e spesso i loro archivi storici sono stati danneggiati o distrutti. Alcuni avevano portato avanti un’attività ereditata dal padre o acquisito il negozio da vecchi proprietari, per cui spesso si tratta di materiale che va dall’inizio del secolo scorso fino ai giorni nostri. Al di là del danno economico non piccolo, si tratta di un pezzo della storia del paese che non c’è più!

2. Come è stata colpita tale realtà dal terremoto?

Stimiamo che al momento siano inagibili almeno l’80% degli edifici produttivi. Su tutti, anche quelli apparentemente sani, si stanno facendo le verifiche di agibilità. In questo abbiamo bisogno che le istituzioni ci aiutino velocizzando le operazioni di controllo. L’ansia di fare velocemente tutte le operazioni che servono per mettere il capannone in sicurezza e poter riaprire è per evitare di perdere commesse e clienti. Vorrebbe dire chiudere e licenziare. Non dimentichiamo che tutto questo sta capitando in un momento di grave crisi economica. Per questo c’è bisogno di risposte certe e veloci da parte delle autorità preposte. Sapere tra qualche mese che lo stabile è agibile è inutile: l’impresa ha già chiuso.

3. Quali sono i settori d’impresa più colpiti dal sisma? Avete stimato i danni del terremoto in termini economici e di impatto occupazionale?

Di certo le attività manifatturiere: è lì’ che si concentrano le inagibilità dei capannoni. Analogamente stimiamo che circa il 60% dei 37.000 addetti occupati nell’area al momento non possa lavorare. A questi si sommano quegli imprenditori che hanno perso la loro attività e devono reinventarsi. Sicuramente sono meno in termini di numeri, ma il loro dramma non è minore.

4. Quale pensate che possa essere il ruolo dell’ICT e della comunicazione nelle operazioni di ricostruzione?

Importante, se pensiamo che in molti casi non sono andati perduti soltanto gli impianti, ma anche i dati. Ma questo non è che solo un aspetto, e probabilmente il più elementare, del ruolo che può giocare l’ICT nella ripresa delle attività economiche. Far conoscere all’esterno cosa sta davvero succedendo e succederà dalle nostre parti. Utilizzare nel migliore dei modi i social per mettere in contatto gli imprenditori per far riprendere l’economia, ma anche le persone far sentire la nostra vicinanza o per aiutarle a ricongiungere famiglie che si sono divise. Incentivare la raccolta fondi. Collaborare alla sostituzione delle attrezzature andate perdute nelle scuole o nelle aziende ecc..

5. Le misure varate finora dal Governo e dalle autorità locali le sembrano sufficienti, o ci sono aspetti tralasciati per il mondo delle imprese, in particolare per la ripresa di quelle ad alto contenuto tecnologico?

Occorre fare due alcune considerazioni. La prima: dopo il sisma del 20 maggio le misure governative sono state di gran lunga insufficienti. Purtroppo, le scosse del 29 maggio hanno causato, oltre che notevoli danni economici e umani, una reazione che è parsa andare nella direzione giusta. Il nostro giudizio non può però essere del tutto positivo perché alcune norme, in particolare quelle relative alle verifiche di agibilità, rischiano di penalizzare non solo la ricostruzione, ma anche la ripresa delle attività di quelle imprese che non hanno subito danni. Deve essere chiaro che uno dei fattori determinanti per non finire fuori gioco è il tempo. Se lasciamo che le commesse si riversino su altri territori, rischiamo di perdere quelle relazioni sulle quali si basa la competitività dell’Area Nord, quella colpita dal sisma. E si tratta di un rischio valido per tutte le imprese: di produzioni, commerciali, di servizio, ICT compreso.

6. Come intende CNA sostenere le realtà produttive dell’Emilia a seguito dei tragici accadimenti di questi giorni? Cosa state facendo, e – soprattutto – di cosa c’è bisogno?

La nostra Associazione credo abbia svolto, pur tra mille difficoltà – non ultime il fatto di aver perso numerosi uffici dislocati nelle zone terremotate – un importante lavoro di supporto, sia psicologico che pratico. Ad esempio, abbiamo seguito, e per certi versi contribuito, alla redazione dei vari decreti, abbiamo informato capillarmente gli associati sull’evolversi della situazione. Poi abbiamo realizzato una banca dati denominata Riparto da qui consultabile sul sito www.mo.cna.it, per mettere a conoscenza degli imprenditori alla ricerca di capannoni dove trasferirsi o di collaboratori per evadere le commesse le eventuali opportunità. Un’altra cosa che stiamo facendo è di costituire un gruppo di aziende ICT/comunicazione che, in maniera volontaristica, vuole dare supporto alle aree terremotate sui temi riportati sopra.

Di cosa c’è bisogno? Di attenzione, per far sì che le promesse non rimangano tali. Ma c’è anche una cosa di cui NON abbiamo bisogno: la burocrazia.

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1 COMMENT

  1. Il terremoto è un dramma di per sé, colpisce vite, abitudini, certezze. Pare pertanto quasi impensabile che vi possa essere anche di più. In Emilia, appare esserci, invece, anche questo di più.
    Siamo abituati a vedere la terra tremare dove il danno massimo da soccorrere è soprattutto alle persone e alle memorie Culturali.
    Ma cosa accade se tutto questo colpisce anche una parte rilevante del nostro intero tessuto industriale e pil? in Emilia accade.
    Ne siamo tutti noi consapevoli, anche di questo? i media documentano e vigilano efficacemente anche su questo?
    Chinato il capo alle vittime, e stretti accanto alle persone, poi, dobbiamo anche aver presente che la nostra recessione si aggraverà anche per il deficit di produzione di queste aree italiane colpite. Che la disoccupazione crescerà, per la medesima ragione.
    Se ne siamo consapevoli, allora le strutture intere di una nazione, credo dovrebbero venire dispiegate per ridurre al minimo il danno annesso dell’interruzione e dell’incertezza.
    Ci serve, credo, un modo nuovo di affrontare un post sisma: non Belice, non Aquila. Ma Giappone, almeno questa volta.
    Ma ne siamo veramente consapevoli, noi, e chi deve agire conseguentemente?
    Non ne sono del tutto sicuro. Anche se me lo auguro.
    Altrimenti, anche l’intero Genio Militare, e non solo, sarebbe già mobilitato per le verifiche, e le messe in sicurezza idonee o alternative immediate, pur che operative.
    Questa volta non serve solo un conto corrente, o una tassa sulla solita benzina. Serve lo Stato. Ed efficiente e sburocratizzato. Almeno, ci provi. Nel nostro stesso interesse generale e non solo dell’Emilia.

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