Se non ti aiuto, non mi spiego

Uno spettro si aggira per l’Europa. È il cliente: croce e delizia delle aziende.
Già tale o potenziale, presente, passato o futuro, è oggetto del desiderio di marchi e compagnie che se lo contendono a suon di sconti “sempre-più-stracciati”: nel luciferino tentativo di strapparlo alla concorrenza, di attirarlo a sé, con voce di sirena, o di convincerlo che “se stiamo insieme, ci sarà un perché”, da riscoprire cedendo a quell’offerta che proprio non poteva rifiutare.
social-media-customer-care-online-e1366117234909Questo cliente però, oggi, è anche incavolato nero. Perché la necessità aguzza l’ingegno: e, fattasi virtù, lo rende ormai sgamato, in un processo di “darwiniana evoluzione del consumatore consapevole”, esponenzialmente incrementatosi con la crisi, ma che avrebbe fatto il suo corso comunque nella quotidiana giungla per la sopravvivenza.
Così il “buon furbetto”, che “lavora, guadagna [tanto o poco, poco cambia], spende, pretende”, aggirandosi per il “quartierino”, ha fatto un giorno un paio di belle scoperte.
Si è accorto a un tratto che quelle scintillanti offerte di cui parlava il volantino, spesso, non erano per lui. E poiché la sfiga ci vede benissimo e le sfortune non vengono mai sole… Ooops, una macchina gli ha appena rifatto la fiancata parcheggiando, e ora deve pure chiamare l’assicurazione. Gli toccherà intanto prendere i mezzi: ma quando passa il tram? Deve chiamare il call center del Comune. Ha anche finito gli spicci: corre a rifornirsi al Bancomat ma questo, secco, “Non sei autorizzato al prelievo”. “Che è successo?”, si chiede il furbetto, a un tratto spiazzato ma ancor più energico nel pretendere soluzioni. “Che han combinato in Banca?!? Ora mi sentono!”.

Chiama allora il furbetto, sulla via della furia ma ancor fiducioso, il suo Servizio Clienti: per questo, quello e quell’altra cosa. E cosa scopre?
Ore di attesa per parlar con qualcuno. Poi “qualcuno” arriva. Ma ahia! “Non può aiutarmi, mi passa un altro reparto”. E un altro. E un altro. E non andar a casa, ché se prendi l’ascensore cade la linea: e riparte la danza. Un ballo non sempre coronato da happy end: una maratona il cui arrivo non sempre è la soluzione. E a fine battaglia stiamo come prima.
Ma la guerra è appena iniziata.

“Facebook, giusto, perché non c’ho pensato!”, esclama con rinnovata speranza. “Ora gli scrivo in bacheca a questi, così risparmio pure sulla telefonata. Capirai! Gli lascio un messaggio che se lo ricordano, tanto lo sanno, no?, che se non mi assistono lo dico a tutti e i clienti poi se li scordano”.
Lo sanno, no?
Lo sanno?
No. Non tutti, non sempre. “Vengon, ma rari”, avrebbe detto l’Ariosto.

Come riportato di recente da Blogmeter, di 2.519 Pagine Facebook di Brand che scrivono in italiano, il 52% ha risposto almeno a un post. Quelle però che hanno risposto almeno a 500 post sono solo 60: il 2,4%. Così su Twitter, di 1.167 account, il 58,8% ha risposto almeno a un post, ma ad aver risposto almeno a 500 sono solo in 23: uno striminzito 2%.

transfer-credit-online-education-300x300Intanto il nostro “furbetto” scrive. Eccome se scrive. Una, due, tre volte. Risposte? Zero. O magari dopo ore, giorni: secoli per lui che, intanto, si è fatto chilometri a piedi, ha perso la mattina in fila in Banca e la sua assicurazione deve ancora sentirla.
Sangue alla testa. Il furbetto reagisce e diventa la Bestia. “Die hard”: duro sarà adesso placarlo. “Dovrebbero far rispettare i miei diritti e invece non mi parlano. Anzi, se mi parlano è pure peggio. Chi mi aiuta ora? Ho proprio sbagliato a fidarmi. Non sono amici: sono traditori!”. Conclusione: “Questi non mi vedono più. I miei soldi? Sotto il mattone. E basta macchina, basta tutto. Tanto ho l’avvocato amico, neanche ci spendo a portarli in tribunale. E comunque meglio a lui i soldi che a loro. Neanche più un centesimo”.
Fine della favoletta. Il senso? Intanto, che è assai poco una “favoletta”: ma una realtà di oggi, con cui fare i conti.

“E siamo al terzo rimbalzo. Ovviamente a quel numero non risponde mai nessuno”, scriveva proprio venerdì il sig. Cesare G. Rossi a Beppe Severgnini, che ne ha pubblicato la lettera su Italians. “Questa volta non gliela faccio passare liscia: è ora di finirla con queste complicazioni”.

Il furbetto divenuto Bestia non compra più: non è realmente “cliente” di nessuno, mirerà sempre più alla fuga. Fine della storia. Fine di un’economia dove i soldi girano davvero: di Marketing e Vendite, Social Media Marketing e Social Media Managing. Fine delle trasmissioni: della “Comunicazione”. E tutto ciò perché non c’è stata una buona assistenza, un buon Customer Care: un buon Social Care.

Dall’assistenza al cliente occorre ripartire per far girare la ruota che porti al successo, fuori dalla crisi. Non sarà l’exit strategy definitiva, la condizione sufficiente, ma è necessaria per sbloccare un sentiero interrotto di trasparenza, amicizia, fiducia. E siccome oggi “non possiamo non essere Social”, così non possiamo non essere Social Care, non porre in opera un costante Social Caring inteso come comunicazione, che riconquisti il cliente prodigandosi per lui – con lo spirito “sociale” del Social, di condivisione e dialogo – tranquillizzandolo, risolvendogli la vita, rifacendoselo amico e ridandogli motivo per fidarsi, affidarsi: all’ascolto, anche, di nuove promozioni, che magari a quel punto lo interesseranno di nuovo.

Già questa è molla per una nuova domanda rispetto all’offerta. Riapertosi lo spazio per un engagement a 360 gradi, si potrà “chiacchierare socialmente” come amici, discutendo del più e del meno come al bar: anche, appunto, di questa o quella proposta commerciale, che forse ora, di nuovo, “non si potrà rifiutare”. Comunicazione, engagement, Social Media Marketing “sono” Social Caring: e viceversa, in rapporto biunivoco. Un dialogo vero è essenziale per una buona gestione del cliente, a sua volta necessaria per un’attività di coinvolgimento che porti il Brand a dire: “Obiettivo raggiunto!”.

 

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here