#OpParis: la crociata di Anonymous contro l’ISIS

Per la seconda volta, dopo #OpCharlieHebdo successivo agli attentati portati contro il giornale satirico francese,  Anonymous si è schierato dalla stessa parte di un governo o, perlomeno, contro un nemico comune. A diffondere la notizia, un comunicato apparso online in cui un presentatore, con l’oramai famosa maschera di Guy Fawkes sul volto e con la voce computerizzata in stile anon, annunciava al mondo, e ai terroristi, il lancio dell’operazione Parigi (#OpParis).

L’operazione ha come scopo dichiarato quello di vendicare gli attentati terroristici avvenuti di recente e di confermare la volontà degli attivisti di non arrendersi e continuare la lotta iniziata con #OpCharlieHebdo per la difesa della libertà.
Anonymous sembra aver già avviato delle procedure per l’individuazione dei terroristi online utilizzando tecniche di intelligence molto sofisticate e ben organizzate: secondo il loro account ufficiale @opparisofficial sembrerebbero essere organizzati in 4 team di ricerca e analisi

  1. intel gathering
  2. intel analysis
  3. intel publishing
  4. media/community stuff

Poche ore fa il collettivo Anonymous ha pubblicato su pastebin.org la lista di alcuni account social riconducibili a possibili terroristi o di simpatizzanti dello stato islamico. Ovviamente il condizionale è d’obbligo.

Non solo Anonymous
L’operazione #OpParis sembra aver stimolato e chiamato all’azione anche altri gruppi non facenti parte di Anonymous. Secondo un articolo apparso su thehackernews.com sembra essere stata individuata una pista che ha portato alla individuazione di alcuni wallet bitcoin con cui i terroristi finanziano le loro operazioni.

La scoperta è stata fatta da un gruppo anti-terrorismo anonimo chiamato Ghost Security Group (GSG) che ha individuato i wallet seguendo le tracce lasciate su alcuni forum del dark web, tanto da arrivare direttamente ad alcuni wallet riconducibili all’ISIS. Secondo gli esperti della cryptovaluta che hanno analizzato il caso portato alla ribalda da GSG, su alcuni dei wallet individuati pare sia stato movimentato il corrispettivo di 3 milioni di dollari in bitcoin.

L’azione di GSG dimostra che la mobilitazione sembra aver preso piede in maniera esponenziale in rete dopo i fatti di Parigi e dopo la dichiarazione di Anonymous: molti gruppi si sono uniti per una causa comune ovvero quella di sconfiggere il terrorismo. Ed è proprio questo, infondo, il significato del segnale lanciato da Anonymous.

L’odio contro le strategie del terrore ha spinto anche chi non fa parte del celebre collettivo a divulgare informazioni sulla la possibile operatività degli appartenenti o dei simpatizzanti dell’ISIS. In basso un tweet di Frederic Jacobs, che sembra aver individuato la modalità con cui gli appartenenti allo stato islamico si autenticano su Twitter per essere riconoscibili tra loro.

Tutto ha un limite
Quanto emerso sino ad ora porta a una inevitabile riflessione. E’ vero che è umanamente e civilmente giusto dare un contributo per sconfiggere il terrorismo, bisogna però valutare con attenzione se il presunto aiuto lo sia davvero oppure rischi di essere controproducente.

Non è possibile sapere se le nostre azioni avranno un effetto proficuo sull’attività, ad esempio, di chi sul fronte cybercrime c’è realmente come: polizia, carabinieri eserciti etc…
Questo perché, in realtà, con la pubblicazione delle nostre scoperte, potremmo involontariamente avvisare malviventi sotto indagine e dare loro la possibilità di cambiare in corsa la loro strategia dannosa. Contribuendo ad aiutare questo caso più il criminale che non l’attività di prevenzione delle autorità di sicurezza.
Inoltre, incappare nell’errore è abbastanza facile, soprattutto quando non si hanno le giuste conoscenze linguistiche e interpretare è la sola possibilità che si ha. In questo caso, segnalare un account e affibbiargli l’etichetta di “terrorista”, potrebbe comportare seri rischi e complicare ancora di più l’attività di chi segue strutturalmente il cybercrime da vicino.

Quindi sì ad essere uniti per combattere per una causa giusta come quella della libertà, ma farlo seguendo le giuste regole. Scegliere di comunicare con le forze dell’ordine piuttosto che pubblicare tutto su Twitter potrebbe essere la scelta più giusta.

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