Liberi di Essere Liberi

La libertà è un elemento imprescindibile di una democrazia, così come la libertà digitale dovrebbe essere una componente essenziale della democrazia digitale. E invece non è così, perché gli strumenti digitali nascondono interessi commerciali che vanno in direzione opposta alla libertà degli utenti.

La storia inizia da lontano, dalla nascita del PC come strumento individuale di produttività nei primi anni Ottanta, quando è stato immediatamente chiaro – per i più lungimiranti – come la diffusione di questo strumento potesse far nascere un mercato di dimensioni maggiori rispetto a qualsiasi altro prodotto hi-tech.

E infatti, ci sarebbero voluti quasi trent’anni prima di avere qualcosa di simile – in termini di dimensioni e opportunità – con gli smartphone e i tablet.

Bill Gates, il più abile sotto il profilo strategico, ha posto le basi del successo di Microsoft proprio in quel periodo, spostando il focus dell’azienda dalla tecnologia – che interessa marginalmente gli utenti – a un insieme complesso di fattori dalla lobby al marketing e alla comunicazione.

Modulando i diversi fattori, Bill Gates è riuscito a convincere prima di tutto i Governi e poi gli utenti che una situazione abnorme sotto il profilo dell’economia dei mercati, ovvero il monopolio prima del DOS poi di Windows e poi di Office, era migliore rispetto a quella di una sana concorrenza tra aziende e prodotti.

Nel corso degli anni, il sofisticato mix tra marketing e comunicazione è riuscito addirittura a trasformare il monopolio in un vantaggio competitivo, per cui prima Windows e poi Office sono diventati un riferimento assoluto per il mercato, fino a convincere gli utenti che l’unica scelta – e il fatto di avere un’unica scelta sarebbe stato un problema in qualsiasi altro settore – era anche la migliore.

Tra il 1981, l’anno in cui è nato il PC IBM, e il 2001, l’anno in cui Microsoft ha raggiunto la sua massima quota di mercato con il 96% per Windows e Office, c’è stato un crescendo di misure che riducono la libertà digitale degli utenti: la licenza che nessuno legge prima di firmare nonostante le condizioni vessatorie, i formati proprietari e non documentati per limitare l’interoperabilità, e l’utilizzo di font proprietarie per limitare la leggibilità.

Fortunatamente, intorno all’anno 2000, nasceva il progetto che avrebbe consentito agli utenti di recuperare la libertà di essere liberi, ovvero la possibilità di scegliere una suite per la produttività individuale e un formato dei documenti liberi e aperti, e rispettosi degli standard. Una situazione opposta a quella che Microsoft aveva costruito nel corso degli anni.

Infatti, nel 2000 vedeva la luce – per iniziativa di Sun Microsystems – il progetto di una suite libera e open source per la produttività individuale, in grado di girare sia in ambiente proprietario Windows e MacOS sia in ambiente libero Linux: il primo nome di questa suite è stato OpenOffice.

Nel corso di un decennio, OpenOffice è cresciuto insieme alla sua comunità, fino a quando quest’ultima ha deciso che era giunto il momento di affrancarsi da Sun e percorrere la strada della totale indipendenza dalle aziende. Il 28 settembre 2010 è nato il progetto LibreOffice, che ha preso il codice sorgente di OpenOffice per farne una suite per ufficio in grado di competere testa a testa con Microsoft Office a tutto vantaggio della libertà degli utenti.

LibreOffice, che è giunto alla terza generazione della strategia di sviluppo con la versione 5.2, offre agli utenti di Microsoft Office la possibilità di riappropriarsi di quella libertà di scelta che hanno perso – in modo spesso inconsapevole – nel corso degli anni.

LibreOffice, infatti, non solo è libero come software, ma adotta un formato dei documenti che è altrettanto libero, per cui può essere utilizzato senza restrizioni e permette di scegliere il software che meglio risponde alle esigenze degli utenti tra gli oltre 150 che lo supportano (tra questi c’è anche Microsoft Office).

Ovvero, liberi di essere liberi. Liberi di scegliere una suite per ufficio libera come LibreOffice, che usa font libere e un formato dei documenti libero e standard, che lascia liberi di modificare la propria scelta libera con un’altra scelta altrettanto libera, senza sottostare alle strategie commerciali delle aziende.

Liberi di essere liberi, per fare le proprie scelte come cittadini digitali consapevoli dei propri diritti.

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Laureato in Lettere all’Università Statale di Milano, è uno dei fondatori di The Document Foundation, la "casa di LibreOffice", nonchè portavoce del progetto a livello internazionale; è anche fondatore e presidente onorario della neonata Associazione LibreItalia. Ha partecipato ad alcuni tra i principali progetti di migrazione a LibreOffice, sia nella fase iniziale di analisi che in quella di comunicazione orientata alla gestione del cambiamento. Ed è autore dei protocolli per le migrazioni e la formazione, sulla base dei quali vengono certificati i professionisti nelle due discipline. In questa veste è coordinatore della commissione di certificazione. Come esperto di standard dei documenti, ha partecipato alla commissione dell'Agenzia per l'Italia Digitale per il Regolamento Applicativo dell'Articolo 68 del Codice dell'Amministrazione Digitale.

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