Disconnessi mai

Vado in vacanza, stacco tutto“. Così si diceva fino a qualche anno fa quando si caricavano le ultime valigie in macchina, dopo aver risposto, prima di chiudere il portone di casa, all’ultima telefonata al fisso. Si partiva e si chiamava all’arrivo per non far stare nessuno in pensiero, visto che di tracce non se ne lasciavano. “Arrivati, tutto bene. Ci sentiamo quando troviamo un telefono (o quando recuperiamo qualche gettone e o una scheda telefonica, ndr)”. Poco è cambiato rispetto alle intenzioni: “Chiuso per relax” scriviamo oggi su Facebook con tanto di foto di piedi immersi nell’acqua trasparente del mare, sotto la quale compaiono quasi istantanee e impertinenti le domande dove sei, quando torni, ma che spiaggia è ci sono stato anche io, vuoi mangiare bene vai in questo ristorante e via postando. Ma noi no, imperterriti sbirciamo, ma resistiamo a rispondere. Altrimenti che chiusura per relax è? Resistiamo un secondo, due, tre. Un minuto. Cinque minuti. Dieci. Siamo al mare, c’è il sole, abbiamo portato un bel libro da leggere, potremmo costruire un castello di sabbia con i figli o gustarci un po’ di sole sdraiati sulla battigia, no?

Guardiamo il vicino di ombrellone: lui ha portato il PC e lo tiene fiero sopra l’asciugamano del lettino. Lavora, parla al telefono e quando chiude la telefonata fotografa, posta, striscia il dito sullo smartphone incurante del venditore di cocco che passa e della tentazione di fare un bagno. Noi però no. Ormai abbiamo scritto Chiuso per relax. Apriamo il libro. Leggiamo la prima frase e pensiamo: “Meravigliosa! Da postare su Facebook!“. Prendiamo il telefono, iniziamo a scriverla, ma poi…abbiamo chiuso per relax! Al massimo potremmo fare una foto e postarla su Instagram. Sì, questo possiamo farlo. E lo facciamo subito, tanto per non restare assenti per troppo tempo che poi i follower chissà cosa pensano. Foto postata. Adesso basta però, altrimenti non stacchiamo mai.

Riapriamo il libro, ma le righe si accavallano, è arrivata una notifica su Whatsapp e lì non possiamo restare assenti per troppo tempo. Riprendiamo il telefono, leggiamo, rispondiamo. E già che ci siamo facciamo un bel selfie di noi davanti al mare da mandare a qualche gruppo di amici. La foto non è il massimo. La rifacciamo, ma no. Ci alziamo e ci guardiamo intorno alla ricerca del posto migliore da mettere alle nostre spalle. Nostro figlio ci chiede se andiamo a fare un bagno. “Tra un attimo che devo fare una cosa di lavoro, ma ci metto un secondo”. Ci incamminiamo lungo la riva e finalmente ecco lo sfondo giusto. Ci mettiamo in posa, ci sistemiamo i capelli, proviamo qualche sorriso. Trovato posto e sorriso giusto, applichiamo il filtro bellezza e scattiamo. Condividiamo. Uno, due, tre, quattro gruppi si popolano di messaggi in risposta al nostro meraviglioso selfie. Adesso non rispondiamo altrimenti non ci rilassiamo. Torniamo sotto l’ombrellone leggendo le notifiche. Nostro figlio alza le braccia e ci chiama. “Vieni a fare il bagno con me? L’acqua è freschissima!”. Sì, certo. “Appoggio il telefono e arrivo!

Arriviamo sotto l’ombrellone, apriamo la borsa per mettere al sicuro il telefono, ma qualcuno ha dato il via a un concerto di vibrazioni. Cosa sarà successo? Dovremmo guardare o, magari, guardiamo dopo un bel tuffo. “Ci metto un secondo“, diciamo mentre sblocchiamo il telefono. Ma quante notifiche! La frase del libro ha già 15 like. “Devo cercarne un’altra, funziona. Pomeriggio lo faccio“. Su Whatsapp intanto un esercito di persone vuole sapere dove siamo, cosa facciamo, cosa mangeremo a pranzo e quando torneremo al lavoro. Possiamo rispondere dopo, o magari lo facciamo subito così non ci pensiamo più.

Adesso basta, però. Stiamo per staccare, ma compare la notifica di una email. E le email, si sa, non sono possibili da ignorare per troppo tempo. Nostro figlio ci chiama ancora. Un attimo solo per vedere di cosa si tratta. E’ una email di lavoro, ci siamo ripromessi di non rispondere e abbiamo attivato la risposta automatica, ma qui si tratta di una emergenza. Facciamo cenno al figlio con la mano aperta: “5 minuti!“. Ci sediamo e rispondiamo. Cancelliamo, riscriviamo, apriamo un paio di documenti che fortunatamente abbiamo caricato sul cloud per sicurezza. Rileggiamo. Sembra vada bene. Stiamo per inviare, ma Whatsapp ci notifica che chi ci ha scritto l’email ci scrive pure un messaggio. Regolare, pensiamo. Ma forse vorrà dirci altro? Non possiamo spedire senza leggere. Apriamo, vuole sapere se abbiamo ricevuto l’email, diciamo di sì e inviamo. “Per oggi basta, eh!“. Nostro figlio torna sotto l’ombrellone. “Ti ho aspettato tanto, ma è quasi ora di pranzo e mi voglio fare  una doccia e asciugare“. Che peccato, pensiamo. Ci siamo persi mezza mattina di vacanza. Ora basta. Abbiamo scritto chiuso per relax e dovremmo farlo sul serio. Mettiamo il telefono in borsa ma qualcuno dà inizio al secondo brano del concerto. Dobbiamo resistere. Ma magari è la persona a cui abbiamo mandato l’email che ci vuole chiedere qualcosa? Nostro figlio ci guarda mentre riprendiamo in mano il telefono: “Solo un attimo, poi lo metto via, giuro“. Lui non ci crede, e magari nemmeno noi. Non si può chiudere per relax. Semplicemente perché non vogliamo o riusciamo a farlo.

 

 

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