CA Technologies: gestione identità digitale passa per sicurezza e user experience

Rizzi 2012
Antonio Rizzi è Sr Director, Practice Service di CA Technologies.

La gestione dell’identità digitale sta diventando un tema di primo piano con il moltiplicarsi non solo del generico uso dei device mobili ma soprattutto dell’impiego di tablet e smartphone personali negli ambienti di lavoro e per il lavoro. Una tendenza, quella del Bring your own device, che è ormai una sfida per i comparti IT che devono garantire sicurezza e governance del fenomeno. E che porta con se il tema del BYOID, della gestione dell’identità digitale, meccanismo sempre più popolare per la semplificazione degli accessi perché consente di evitare di dover creare un nuovo account per ogni sito di servizi o di svago. Secondo un recente studio di CA Technologies condotto da Ponemon institute, ad esempio, cresce l’interesse delle imprese verso l’utilizzo delle identità registrate nei social media quali Facebook, LinkedIn o Yahoo, al punto che il 55% degli addetti IT e il 69% degli utenti appartenenti alla categoria business coinvolti nell’indagine, dichiara un interesse alto o altissimo verso questa modalità d’accesso.

Ciò dimostra che “La tradizionale distinzione tra identità del dipendente aziendale e identità privata al di fuori del lavoro sta cambiando e sta progressivamente scemando” ci spiega Antonio Rizzi, Sr Director, Practice Service di CA Technologies. “Le due identità stanno convergendo i tanti cambiamenti che le aziende hanno dovuto affrontare negli anni per far fronte al mutamento, ne sono la prova: l’abbattimento, ad esempio, di determinate barriere come i firewall o come il divieto di accedere alle risorse aziendali anche da casa. Tutte si sono impegnate a costruire nuovi criteri di sicurezza attorno all’identità digitale stessa.”

Sicurezza si, ma anche user experience, i nodi attorno a cui le aziende interessate al BYOID pongono sempre più attenzione. Aspetti a volte difficili da conciliare ma dal cui equilibrio può dipendere la riuscita del business, soprattutto per le aziende che offrono servizi e che mirano ad ampliare la loro base utente. “Garantire sicurezza e una user experience semplice e accattivante è ciò a cui mirano le imprese che guardano a servizi basati su identità digitale. In una economia in cui oggi basta una app a determinare la scelta di una banca o l’altra, di un sito di e-commerce o l’altro nelle preferenze delle persone, è chiaro che la partita la si giochi su questi due pilastri” spiega Rizzi.
Il perché è presto detto: una user experience agile predispone gli utenti a fidarsi di un determinato servizio online ma i servizi devono essere sicuri per far si che gli stessi finalizzino l’attività. E viceversa: servizi sicuri ispirano fiducia che non deve interrompersi neppure nella fase di uso reale del medesimo.

Facciamo un esempio: molte ricerche mostrano come i portali di e-commerce che richiedono una registrazione ad hoc non siano sempre graditi dall’utente, laddove tutti ormai siamo in possesso di identità digitali attraverso i social network o su altri operatori di cui già i clienti si fidano.” Secondo Rizzi Amazon, ad esempio, ha lavorato molto sulla user experience tanto che il processo di acquisto sul sito di Bezos è pressocchè trasparente per chi compra e invita a replicare lo shopping. “Questo perché Amazon negli anni è riuscito a guadagnarsi la fiducia dei clienti”. Tale che, tra un acquisto su un sito che chiede nuova registrazione e nuovo profilo e Amazon “la scelta ricade su quest’ultimo”. Stesso dicasi per la fase di acquisto: tra un sito che richiede necessariamente l’inserimento dei dati della carta di credito e quelli che si appoggiano a Paypal, non c’è storia: “la fiducia guadagnata da Paypal nel mondo dei pagamenti online, la farà preferire nella maggioranza dei casi.”

Dunque sicurezza, user experience e fiducia: la partita dell’identità digitale passa anche da questi fattori. “Come azienda supportiamo tale panorama con tecnologie che abilitano l’interazione tra entità, mettendo a disposizione dei nostri clienti meccanismi di autenticazione forte. In sintesi diamo la possibilità delle aziende di rendere il processo di gestione dell’accesso, trasparente e “liscio” per l’utente.

E per il futuro? Rizzi non ha dubbi: l’internet of things finirà per impattare anche sul tema dell’identità digitale poichè la grande rivoluzione dell’IoT allargherà i confini della digital identity, laddove l’identità non riguarderà più solo le persone ma anche gli oggetti. “Pensiamo solo a quanto questo impatterà sulle utility e sulle smart grid, ad esempio: ci sarà sempre più la necessità di dare un’identità precisa a tutti gli oggetti della rete per calibrare consumi e monitorare la distribuzione delle risorse.” Uno scenario tutto da scrivere e da sperimentare.

 

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