Di agricoltura, sostenibilità e biodiversità: la parola a Matteo Bartolini, vicepresidente Federbio

Se solo prendessimo coscienza che nei prossimi cinque anni la Terra supererà per la prima volta il tetto di 8 miliardi di persone, capiremmo quanto sia impensabile continuare a coltivare utilizzando le stesse tecniche che ci hanno portato alla situazione attuale”. Introduce così il discorso su agricoltura sostenibile, biodiversità e futuro zero carbon Matteo Bartolini, vicepresidente di FederBio, imprenditore agricolo e presidente per diversi anni della Ceja, il Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori che racchiude 30 organizzazioni di 24 Paesi europei, con oltre 2 milioni di produttori affiliati.

Quando parliamo della necessità di innovare in agricoltura – continua Bartolini – dobbiamo tener conto del fatto che la Commissione Europea, attraverso la strategia Farm to Fork, punta a realizzare un sistema alimentare europeo più sano e sostenibile con dei target specifici da realizzare entro il 2030. In particolare, il progetto UE prevede una riduzione del 50% dell’uso dei fitofarmaci, del 20% dei fertilizzanti ed un taglio del 50% nei consumi di antibiotici per gli allevamenti e l’acquacoltura. La Commissione prevede, inoltre,  un incremento del 25% delle superfici coltivate a biologico e un’ulteriore estensione dell’etichetta d’origine sugli alimenti. Come già avviene da qualche anno, i consumatori continueranno ad orientarsi sempre più verso una spesa consapevole, per migliorare la salute contrastando la crescente obesità e altre patologie legate a regimi alimentare poco sani. In questo contesto, l’attuale epidemia di Covid-19 sta accelerando alcune delle tendenze che già stavano rimodellando il settore e sta ponendo ancora più attenzione alla nutrizione, all’igiene alimentare e al rispetto degli ecosistemi. A complicare la situazione ci sono i cambiamenti climatici che vanno sempre più a falcidiare le produzioni agricole”.

Qual è il contributo che le tecnologie digitali possono portare per la sostenibilità in agricoltura? E nel biologico?

Alla luce di tutto questo, le tecnologie digitali sono indispensabili per la resilienza nella costruzione di una rivoluzione in agricoltura. Abbiamo bisogno di intelligenza artificiale e di dispositivi collegati al cloud, di macchine intelligenti per la fase produttiva, per la trasformazione, per la logistica, per ridurre gli sprechi alimentari, ma anche e soprattutto per la tracciabilità. Sono urgenti i progressi nella ricerca e nella microbiologia; occorre trovare modi completamente nuovi di considerare la sicurezza alimentare in un’ottica di risparmio delle risorse naturali e della riduzione costi di produzione. Nel biologico, invece, il contributo offerto dalle tecnologie digitali serve meno per la sostenibilità ambientale e molto per quella economica e sociale. Il biologico, infatti, è già un sistema di coltivazione che promuove la produzione di alimenti nel rispetto della natura, delle piante, degli animali e del paesaggio. I principi base di questo approccio vanno ben oltre l’assenza di fertilizzanti e fitofarmaci, ma contemplano un più complesso approccio all’azienda agricola, considerata come un sistema integrato di diverse componenti: suolo, colture presenti, ciclo della sostanza organica, allevamento di animali, ambiente naturale, flora e fauna del territorio. Se però, ad esempio, consideriamo l’obiettivo della Commissione europea di raggiungere il 25% di terreni europei coltivati a biologico, si capisce bene che l’utilizzo delle tecnologie digitali nella sfida dell’aumento delle rese produttive potranno dare un importante contributo all’agricoltura biologica.

Quali i progetti FederBio legati al digitale ai quali guardare con interesse? Ce ne sono altri che ritieni per la tua esperienza utili e che potreste promuovere?

FederBio è una federazione di organizzazioni di tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica, includendo quindi sia la parte produttiva che tutti gli altri attori che ruotano attorno alla filiera agroalimentare. Abbiamo diversi progetti che i nostri associati stanno portando avanti nelle varie sezioni produttive, perché la produzione alimentare si sta evolvendo in tutto il mondo: cambia il modo in cui il cibo è progettato, dove viene coltivato, come viene distribuito e consumato. L’industria alimentare muterà radicalmente nei prossimi anni e il biologico intende giocare la partita da protagonista. Federbio, in quanto rappresentante di tutta la filiera, ha in corso numerosi progetti che attirano la mia attenzione. Penso, ad esempio, alla certificazione e alla blockchain per integrare i sistemi di garanzia verso l’acquirente, con soluzioni tecnologiche innovative volte ad aumentare il livello di trasparenza nella gestione dei dati delle filiere agroalimentari e, al contempo, a ottimizzare i flussi di comunicazione fra le parti, incluso il consumatore finale. Progetti che perseguono sistemi di monitoraggio e controllo indispensabili per le fitopatie e per la riduzione di prodotti come il rame o altri. Penso, inoltre, all’utilizzo di macchinari con guida satellitare per ridurre al minimo il compattamento del suolo e il risparmio del gasolio, di tecnologie per il sequestro della CO2, fino ai robot per la raccolta dei prodotti, al fine di migliorare le condizioni lavorative in agricoltura.

Qual è la percezione circa le opportunità del digitale nei giovani agricoltori? Quali i possibili interventi per rendere più attrattiva l’innovazione?

I giovani imprenditori agricoli sono molto attenti alle opportunità del digitale per una loro naturale predisposizione, essendo dei nativi digitali, ma anche per un approccio aziendale più attento alla sostenibilità economica, coniugata con quella ambientale e sociale. I giovani sono i potenziali attori di questa rivoluzione 4.0 in agricoltura, ma hanno bisogno del nostro supporto e di quello delle istituzioni pubbliche in termini di formazione, assistenza tecnica ed economica. Mi riferisco, ad esempio, alle misure incentivanti che permettano il rinnovo parco macchine;  a strumenti innovativi di finanza agevolata per sostenere progetti imprenditoriali innovativi; a fondi come il ReactEU per contrastare la disoccupazione giovanile, che potrebbe agevolare al tempo stesso il ricambio generazionale. Vanno in questa direzione anche le misure messe a disposizione da ISMEA sulla Banca delle Terre, o quelle ministeriali e regionali per contrastare lo spopolamento delle aree interne. Insomma, non esiste un solo strumento e non esiste nemmeno un solo interlocutore. La vera sfida è di coniugare le varie opportunità offerte e orientarle nella direzione giusta per l’ambiente, il consumatore, il giovane imprenditore agricolo e la comunità stessa.

Quale il ruolo delle associazioni di categoria per l’innovazione sostenibile in agricoltura?

Il processo di digitalizzazione sta ridisegnando i modelli produttivi agricoli a livello globale ed è legato a doppio filo alla corsa verso la sostenibilità delle aziende di settore. La svolta sostenibile è piuttosto recente perché all’inizio l’impiego delle tecnologie aveva come unico obiettivo quello di massimizzare la produzione agricola. I corpi intermedi, la CIA che mi onoro di rappresentare in Umbria, e le associazioni di categoria in generale quindi, sono chiamati a una riflessione per svolgere al meglio il loro ruolo di accompagnamento verso lo sviluppo delle aziende agricole. Questo perché oggi la nuova agricoltura digitale ha come obiettivo primario la conservazione delle biodiversità, un tema di spicco nella nuova politica alimentare dell’UE, la cosiddetta strategia Farm to Fork, ovvero dal produttore agricolo al consumatore, facente parte del piano Green Deal europeo, che sottolinea come tutti gli attori della catena alimentare dovrebbero sfruttare le soluzioni tecnologiche e digitali per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. In altre parole, il nostro impegno dovrebbe essere quello di fare ciò che il filosofo Luciano Floridi nel suo ultimo libro chiama “Il blu e il verde”: l’unione di politiche verdi (economia green, circolare e dello share) e politiche blu (economia digitale e dell’informazione) e favorire un modo di vivere centrato sulla qualità delle relazioni e dei processi.

Sulla base delle esperienze, anche come rappresentante dei giovani agricoltori, quali sono gli interventi, nazionali ed europei, che sarebbero necessari per sostenere i giovani agricoltori e che si legano ai temi di sostenibilità e digitale?

Le istituzioni dovrebbero essere in grado di fornire una valida ‘borsa degli attrezzi’ e lasciare sprigionare tutta l’innovazione culturale e la propensione sperimentale che un neo insediato in agricoltura potrebbe portare in dono al settore primario. Nella mia esperienza europea ed extraeuropea posso testimoniare che servono strumenti per mettere a terra, per piantare saldamente, le idee che portano i giovani agricoltori. I giovani innovano nei processi, nelle metodologie, nelle trasformazioni, ma hanno bisogno di risorse finanziarie, del bene primario terra e di formazione continua. Quello che ancora adesso si fatica a comprendere è che investire in un giovane agricoltore oggi, significa garantire cibo domani. Solo una nuova generazione di agricoltori riuscirà a costruire un ponte tra quella Economia Blu e Verde che coniuga il digitale con l’ambiente.

Ottimismo o pessimismo sul raggiungimento dei goal di Agenda 2030? Cosa servirebbe a tuo avviso per accelerare sui target in particolare di agricoltura?

Diceva un vecchio proverbio: “Il pessimista si lamenta del vento, l’ottimista aspetta che cambi, il realista aggiusta le vele”, e io sono dello stesso avviso. Non si tratta di essere pessimisti o ottimisti. Serve essere realisti e iniziare a programmare le strategie per cambiare i modelli produttivi nel raggiungimento dei Goal di Agenda 2030. Adesso è il momento delle decisioni, poi arriverà quello delle valutazioni e, solo a quel punto, potremo essere ottimisti o pessimisti. A mio avviso, serve un cambio culturale anche nella costruzione delle proposte di sviluppo territoriale, con azioni volte a costruire le comunità del cambiamento perché le soluzioni ci sono, ma dobbiamo tutti fare uno sforzo di consapevolezza in più – studenti, imprenditori, impiegati pubblici e privati – e non solo il comparto agricolo –  per poterle raggiungere. Scriviamo agricoltura, pensiamo al benessere di tutta la comunità, leggiamo ‘agricultura’.

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