Coltivazioni fuori suolo, vertical farming, utilizzo di alghe, microalghe e microorganismi: sono esempi delle nuove frontiere dell’agricoltura, che, grazie all’interazione tra natura e tecnologia, permettono di ottenere alta qualità, stabilità organolettica, riduzione delle distanze fra luoghi di produzione e di consumo del cibo, basso impatto logistico, meno spreco, produzione alimentare slegata dalle condizioni climatiche e stagionali.
Per la cronaca, tuttavia, vanno illustrate anche quelle che sono le obiezioni nei confronti del vertical farming: risparmio idrico indubbio, impatto estensivo minimizzato, ma i consumi elettrici per tutta la strumentazione a supporto?
L’automatizzazione dei processi (in primis l’illuminazione artificiale, seguita dal controllo climatico) si traduce in un costo energetico per un chilogrammo di prodotto che, in media, supera dai 30 ai 176 chilowattora quello necessario per la stessa quantità, coltivata in una serra tradizionale. E l’attuale momento storico, che vede le bollette schizzare alle stelle, a maggior ragione rappresenta un freno allo sviluppo dell’agricoltura verticale.
I dati del “Global Cea Census Report 2021“, annuale studio di Agritecture Consulting – società di consulenza americana nell’ambito dello urban farming – dimostrano che, per ottenere un chilogrammo di prodotto, mediamente si usano 20,4 litri di acqua all’interno di una vertical farm, mentre in serra si sale a 51,1; però, sul fronte energia elettrica per chilogrammo di prodotto, in serra ne occorrono circa 5,4 kWh, in sistemi verticali 38,8.
Naturalmente si può fare il “solito” elenco di esempi virtuosi in giro per il mondo, ove si è trovata un’alternativa agli alti consumi (dai pomodori in idroponica grazie all’impiego di acqua salina in Arabia Saudita, alle insalatine in vertical della Future Farming District al Parco dell’Oglio, in Lombardia, sostenute da un impianto idroelettrico), ma occorre un percorso globale e il più possibile condiviso per abbattere il problema. Serve in pratica una direzione ampia e a grande flusso verso la riduzione dei consumi attraverso opzioni diversificate, a seconda della geografia e delle risorse disponibili.
I contenuti del 13° rapporto GreenItaly 2022 di Symbola e Unioncamere, presentato lo scorso 25 ottobre a Roma, rispecchiano, d’altro canto, un’Italia sempre più verde, con oltre 531.000 aziende che nel quinquennio 2017-2021 hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green. Guardando alle performance economiche, si comprendono anche le ragioni di tale orientamento: le imprese eco-investitrici risultano più dinamiche sui mercati esteri rispetto a quelle che non investono (il 35% delle prime prevede un aumento nelle esportazioni nel 2022, contro un più ridotto 26% di quelle che non hanno investito), aumentano di più il fatturato (49% contro 39%) e le assunzioni (23% contro 16%).
«Nel 2021, anno di ripresa post-pandemia – sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete – è cresciuta la quota di imprese eco-investitrici, rilanciando il processo di transizione verde del Paese. Si è passato, infatti, da una quota del 21,4% del 2020 ad una del 24,3%». Il rapporto, specificamente e positivamente, rileva che nella filiera agroalimentare l’Italia ha diminuito le vendite di prodotti fitosanitari del 19% ed è leader nel biologico europeo, con un’incidenza sulla superficie agricola utilizzata del 17,4% (2021). Inoltre, è qui il distretto biologico più grande d’Europa.
«C’è un’Italia – ha dichiarato il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci – che può essere protagonista con l’Europa alla COP27 in Egitto: fa della transizione verde un’opportunità per rafforzare l’economia e la società e coinvolge già oggi 2 imprese manifatturiere su 5. Accelerare sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica per sostituire i combustibili fossili oltre a contrastare la crisi climatica ci rende più liberi e aiuta la pace. Esiste già oggi un’Italia che fa l’Italia pronta alla sfida della crisi climatica: nel rapporto GreenItaly 2022 si coglie un’accelerazione verso un’economia più a misura d’uomo che punta sulla sostenibilità, sull’innovazione, sulle comunità e sui territori. Siamo, ad esempio, una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capaci di futuro. Possiamo dare forza a questa nostra economia e a questa idea di Italia grazie alle scelte coraggiose compiute dall’Unione Europea con il Next Generation UE e al PNRR».
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