Elon Musk e Bitcoin: un problema di sostenibilità o di trust?

Il dibattito sul tema dei Bitcoin, sul loro valore e ruolo economico e impatto ambientale, ha avuto un nuovo capitolo con la vicenda di Elon Musk. Se quello della sostenibilità ambientale è il tema noto ai più, ce ne è un altro altrettanto importante: quello del trust, connesso alla sostenibilità sociale della criptovaluta

Da tempo il Bitcoin e le altre criptovalute hanno conquistato il centro della scena mediatica e del dibattito pubblico, soprattutto in merito all’uso delle nuove tecnologie come strumento per una nuova forma di economia e per una nuova finanza digitale. Si discute sempre più spesso sulla possibilità che “asset digitali” come i Bitcoin possano rappresentare un nuovo sistema di gestione delle transazioni, e che nel tempo sostituiscano le valute “tradizionali” così come le abbiamo finora conosciute.

Tuttavia, sia sotto il profilo tecnologico che dal punto di vista economico-finanziario, i Bitcoin e le altre criptovalute presentano numerose criticità e contraddizioni. Dal punto di vista delle leggi che regolano l’economia e la finanza, esse non rispondono alle normali dinamiche valutarie, e di conseguenza difficilmente possono rappresentarne un sostituto socialmente sostenibile. Dal punto di vista tecnologico poi, oltre ai limiti oggettivi alla loro “produzione” (il cosiddetto “mining” delle criptovalute è limitato come volume di estrazione nel tempo), le criptovalute presentano gravi rischi di sostenibilità sia sotto il profilo dell’impatto ambientale sia sotto il profilo legale.

Il caso Elon Musk dall’investimento in Bitcoin ai rischi per l’ambiente

Nelle ultime settimane si è ulteriormente arricchito il dibattito sul tema dei Bitcoin, sul loro valore e ruolo economico nonché sul loro impatto ambientale, a seguito di un nuovo capitolo nella vicenda relativa all’investimento in Bitcoin da parte di Tesla. Per bocca del suo stesso fondatore Elon Musk, infatti, la compagnia ha fatto sapere che rivedrà la sua idea di accettare pagamenti in Bitcoin per l’acquisto delle proprie autovetture come inizialmente dichiarato a fine marzo, in quanto secondo il fondatore di Tesla si tratterebbe di una tecnologia “sporca” altamente inquinante e che fa male all’ambiente.

Occorre fare un passo indietro: l’8 Febbraio del 2021 si è diffusa la notizia, a seguito della pubblicazione ufficiale dei documenti finanziari di Tesla presso la United States Securities and Exchange Commission (SEC), che Tesla aveva acquistato 1,5 miliardi di dollari in criptovaluta Bitcoin e che si preparava ad accettare pagamenti in Bitcoin per i propri prodotti e servizi. A seguito della diffusione della notizia ed all’annuncio pubblico via Twitter da parte dello stesso fondatore di Tesla Elon Musk, il Bitcoin aveva registrato immediatamente un’impennata nel proprio valore, portandola addirittura a sfiorare gli 80mila dollari per singolo Bitcoin per poi stabilizzarsi su un valore di 40mila.

In seguito è anche emerso che da tale operazione di investimento speculativo la Tesla avrebbe tratto un notevole rendimento pari a circa 1 miliardo di dollari sull’investimento effettuato; che ha portato quindi il valore complessivo dell’investimento a fine marzo a circa 2,5 miliardi di dollari. Secondo varie fonti, inoltre, ad Aprile la Tesla avrebbe tratto un guadagno nel trimestre pari a circa 101 milioni di dollari dalla vendita di parte dei Bitcoin in suo possesso, questo in contrasto con quanto dichiarato poi ai primi di Maggio quando l’azienda ha dichiarato di non aver dismesso i propri asset né venduto in alcun caso parte dei propri Bitcoin. Quest’ultimo chiarimento da parte dell’azienda, però, risente probabilmente delle problematiche emerse a seguito delle dichiarazioni via Twitter rilasciate proprio da Musk dal Febbraio 2021 in poi in merito appunto all’acquisto dei Bitcoin. Pare infatti che le autorità governative americane ritengano le dichiarazioni rilasciate online da Elon Musk un possibile elemento di “turbativa del mercato”, che avrebbero quindi favorito delle operazioni speculative sulla compravendita di Bitcoin; un’accusa ed un invito ad investigare contro Musk arrivato addirittura dall’economista Nouriel Roubini.

Alla fine le operazioni “speculative” sull’acquisto di Bitcoin da parte di Tesla, pare agli esperti siano valse circa un miliardo di dollari di profitto, a fronte degli ultimi cinque trimestri di Tesla con rendimenti pari a 969 milioni di dollari. Tuttavia, va ricordato che il nervosismo da parte degli investitori rispetto alla nuova operazione messa in campo da Musk, ha causato un calo del valore delle azioni pari all’8%.

Oggi Elon Musk si professa ancora un convinto sostenitore delle criptovalute, ma allo stesso tempo dichiara di non volerne incentivare un uso legato a meccanismi di “mining” dannosi per l’ambiente in quanto alimentati da sistemi energetici non sostenibili.

I rischi del Bitcoin e delle altre criptovalute per la sostenibilità sociale ed ambientale

In un recente ed approfondito reportage realizzato dal Financial Times, che prende le mosse proprio dalle recenti vicende connesse ad Elon Musk ed ai Bitcoin, vengono analizzati numerosi aspetti connessi alla diffusione delle criptovalute ed al loro impatto sull’ambiente. In particolare, si punta l’attenzione su come misurare l’impatto ambientale delle criptovalute e, secondo un calcolo effettuato con il Bitcoin Electricity Consumption Index dell’università di Cambridge, l’estrazione di Bitcoin consuma 133,68 terawattora all’anno di elettricità; una stima che è aumentata costantemente negli ultimi cinque anni. Questo colloca l’estrazione dei Bitcoin in termini di consumi se paragonati ad una nazione appena sopra la Svezia, a 131,8TWh di utilizzo di elettricità nel 2020, ed appena sotto la Malesia, a 147,21TWh.

Secondo un recente studio della Banca d’Italia, ad esempio, l’impronta carbonica del Target Instant Payment Settlement (TIPS) system, ovvero del sistema complessivo di pagamenti immediati tramite bonifici introdotto a livello europeo nel 2018, inquina 40.000 volte in meno dei Bitcoin. E per fronteggiare impatti ambientali di tale portata, anche l’ONU sta cercando modi per evitare che la crescita delle criptovalute possa minare il suo lavoro complessivo sul cambiamento climatico, e sta sostenendo l’iniziativa “Crypto Climate Accord”, guidata dal Rocky Mountain Institute.

Va inoltre specificato che sebbene circa il 75% dei “minatori” impegnati nell’estrazione di Bitcoin usi qualche tipo di energia da fonte rinnovabile, come riportato sempre negli studi di Cambridge, le rinnovabili rappresentano ancora meno del 40% dell’energia totale usata, ed in ogni caso il massiccio assorbimento di energia rinnovabile da parte dei sistemi di estrazione e gestione delle criptovalute sottrae fonti rinnovabili alle altre attività produttive prioritarie e fondamentali per la vita umana.

L’aspetto del rischio sociale dovuto a fattori economici è altrettanto rilevante: le bolle speculative e gli improvvisi crolli dei mercati finanziari, come quello del 2007-2008 del quale l’economia mondiale ancora subisce gli effetti di lungo periodo, dovrebbero aver insegnato ai più che l’investimento di rischio nei mercati finanziari e gli alti livelli speculativi che ne derivano rappresentano una concreta minaccia per la stabilità e la crescita economica mondiale. Oggi le criptovalute come Bitcoin, al netto del nome “ingannevole”, non rientrano affatto nei criteri di funzionamento di una valuta bensì in quelli di un asset finanziario, tanto più rischioso in quanto il suo valore è dettato semplicemente dal “trust” dato alla criptovaluta e non rispecchia nessun valore sottostante o forma di tutela. Tanto che le istituzioni europee segnalano esplicitamente il Bitcoin e le altre criptovalute come un asset di rischio, che potrebbe facilmente tramutarsi in una vera e propria “bolla speculativa”.

A tal proposito, le principali banche centrali a cominciare dalla Banca Centrale Europea (BCE), stanno valutando l’introduzione di propri sistemi di “valuta digitale”, in grado di sopperire sia alla domanda che alla necessaria stabilità delle valute digitali stesse; un progetto sul quale la BCE sta già lavorando concretamente dal 2020, ed i cui aspetti sono stati già ampliamente discussi in vari report e studi ufficiali.

Cosa ci insegna la storia di Elon Musk?

La scelta di abbandonare l’idea di accettare pagamenti in Bitcoin per l’acquisto delle autovetture Tesla, inoltre, lascia spazio ad alcune importanti riflessioni: in particolare, innanzitutto, in merito alla possibilità, aperta da Elon Musk, della presa in considerazione di altre criptovalute per l’acquisto dei prodotti e servizi della propria azienda, in grado di garantire una maggiore “efficienza” dal punto di vista ambientale. In questo senso, secondo Renato Grottola, Global Director Growth and Innovation di DNV e componente del Comitato di Indirizzo del Digital Transformation Institute, “gli eventi di cui Elon Musk si è reso protagonista sono la cristallina dimostrazione che molte istituzioni che contraddistinguono la nostra società sono fondate, esclusivamente, sulla fiducia in esse riposta. Il denaro non fa eccezione. Il denaro, in particolare il denaro senza fondamento, ha valore perché gli individui di una comunità ne riconoscono le funzionalità e lo accettano come mezzo di pagamento che rappresenta esattamente quel valore scambiato. E questa è un’attribuzione di fiducia che non è sostenuta da nessuna altra forma di garanzia, né materiale, né contrattuale. Se quindi Elon Musk riuscisse a spostare quella fiducia che oggi è riposta nel Bitcoin da una parte della comunità in un altro asset digitale, dimostrerebbe ancora più palesemente e, probabilmente, pericolosamente, che il denaro è una forma di potere condiviso e riconosciuto da una collettività che ripone fiducia in esso. Quindi i soggetti in grado di manipolare quella fiducia assumono un potere immenso. Oggi, acquistare una Tesla in Bitcoin significa compiere un’operazione di conversione del suo valore in dollari nell’equivalente in Bitcoin. Domani, però, quel prezzo potrebbe essere fissato direttamente in un’altra valuta, magari digitale, magari proposta dallo stesso produttore di quel veicolo”.

E comunque, nonostante il tema della sostenibilità ambientale dei Bitcoin, come visto, sia al centro di importanti dibattiti e approfondimenti, secondo Renato Grottola sarebbe un errore estendere questo tipo di discorso a tutte le tecnologie DLT. “I sostenitori del Bitcoin affermano che già oggi gran parte dell’energia utilizzata per il cosiddetto mining proviene da fonti rinnovabili, mentre i sostenitori dei sistemi di pagamento tradizionali producono studi ed analisi comparative atte a dimostrare che il consumo energetico di una singola transazione tradizionale produca un’impronta carbonica sicuramente inferiore a quella di un’analoga transazione bitcoin. In realtà, non tutte le tecnologie DLT sono altrettanto energivore come il Bitcoin, e la ragione principale è data dall’utilizzo di meccanismi di consenso diversi da quello utilizzato dal Bitcoin. Quindi, sul piano della sostenibilità ambientale, non è sicuramente eretico affermare che la funzione d’uso del Bitcoin possa essere assolta anche da un’altra DLT. Se si è in grado di garantire la stessa funzionalità ad un costo energetico inferiore, non si deve escludere a priori la possibilità di adottare una tecnologia più efficiente semplicemente perché è possibile consumare tantissima energia che però proviene da fonti rinnovabili”.

Che tutta la querelle su Tesla ed i bitcoin sia frutto di una operazione attentamente calcolata non ci sono molti dubbi se, come afferma Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute – Fondazione per la Sostenibilità Digitale, “tutto si può dire di Musk tranne che non conosca il settore. Il fondatore di PayPal le dinamiche che regolano il valore finanziario di asset immateriali le conosce bene: quello che ha fatto in questi mesi, ancor più che un’azione speculativa, è stato un fantastico stress test. Stress test che però nulla ha aggiunto al discorso inerente alla sostenibilità ambientale del bitcoin, non certo variata dalla sua decisione di accettare pagamenti con questo sistema al ripensamento di poche settimane dopo. Tenderei ad escludere che Musk non sapesse dall’inizio la dinamica dei bitcoin ed i loro impatti sull’ambiente (è energivoro? Sicuramente. È sostenibile? Dipende). Non è stato certo per una preoccupazione ambientale che è tornato sulle sue decisioni. Piuttosto l’elemento sul quale ha agito lo stress test – e su questo, effettivamente è da capire quanto Musk ne fosse consapevole – non è tanto quello della sostenibilità ambientale, quanto quello della sostenibilità sociale dei bitcoin: tema curiosamente sfuggito ai più. C’è da chiedersi, infatti, al di là delle considerazioni strettamente tecniche, quanto possa essere socialmente sostenibile uno strumento che si configura come asset speculativo più che come valuta, che non è garantito da alcun sottostante e che, con un coefficiente di oscillazione come quello che abbiamo visto in questi giorni, viene utilizzato come valuta. In un contesto in cui bitcoin non ha alcun valore intrinseco, ma le cose comprate in bitcoin probabilmente lo hanno. Ecco, la domanda che dobbiamo porci è questa: possiamo permetterci un sistema in cui il valore del trust faccia agio sul valore di asset materiali?

In conclusione: non sappiamo se Musk abbia contribuito ad aumentare la consapevolezza sulla sostenibilità ambientale del bitcoin, senz’altro ne ha dimostrato le criticità in termini di sostenibilità sociale.

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