Viviamo in tempi complessi, in cui tutti i processi hanno oramai subìto un’enorme accelerazione, anche quelli negativi: sfide come il cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse e l’inquinamento si fanno sempre più urgenti, tanto da richiedere oggi un rapido intervento.
Una risposta, in questa direzione, può – e deve – arrivare dalla tecnologia, ma occorre stare al passo e realizzare uno sforzo deciso, da parte di tutti gli attori coinvolti, nella ricerca e nell’innovazione. Per far sì che da un’idea innovativa possa nascere una soluzione concreta in tempi rapidi, in grado di aiutare nell’affrontare le sfide che abbiamo di fronte. È proprio in funzione di questo obiettivo che, dal 2008, due attori come il Politecnico di Milano ed Eni hanno stipulato una solida partnership di ricerca che, di recente, si è ulteriormente rafforzata con la creazione di un Centro di Ricerca congiunto: un ambiente nel quale i ricercatori di entrambe le realtà lavorano, insieme, allo sviluppo di soluzioni innovative per le sfide della transizione energetica.
Degli obiettivi di questa partnership, e dei progetti che si stanno realizzando nel nuovo centro congiunto, abbiamo parlato con Renato Rota, Professore ordinario presso il Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano: ingegnere chimico di formazione, nella sua lunga carriera nell’ateneo ha ricoperto diversi ruoli, come quello di coordinatore del dottorato di ricerca in chimica industriale e ingegneria chimica e di delegato del Rettore per le infrastrutture di Ricerca. Si occupa, inoltre, dei rapporti che l’Ateneo ha con Eni nell’ambito della partnership.
Accelerare la ricerca nell’innovazione tecnologica è fondamentale per perseguire uno sviluppo sostenibile. Come si declina, in questa direzione, l’impegno del Politecnico di Milano?
Questo è un aspetto che il Politecnico di Milano ha ben chiaro da sempre. Se parliamo di tecnologie legate all’ingegneria, quelle che richiedono la messa a punto di impianti, di tecnologie di produzione e via dicendo, il passaggio di un’idea dal laboratorio universitario al mercato presenta una ben nota “valle della morte”. Ma perché molte idee innovative muoiono in questa fase? Perché la costruzione di impianti in scala più grande di quella dei laboratori tipicamente disponibili in università richiede investimenti molto importanti: investimenti che spesso l’università e l’industria non sono singolarmente in grado di sostenere, per motivi differenti. Da molti anni, quindi, ci impegniamo, con diverse iniziative, per colmare il gap esistente tra la creazione di un’idea innovativa da parte di un ricercatore e il passaggio al mercato. Iniziative che hanno tutte come comune denominatore il riconoscimento, da parte del Politecnico di Milano, che certe cose non possono essere fatte da soli e che per questo, rimanendo nel campo dell’ingegneria, è necessario sviluppare delle partnership con attori industriali: realtà che, invece, tendono a occuparsi soprattutto proprio del passaggio di un’innovazione al mercato.
Da qualche decennio però, a partire dalla nostra collaborazione con Eni, abbiamo voluto cambiare il paradigma: passando, cioè, da un rapporto con le aziende di tipo committente-prestatore d’opera a una relazione di partnership nella quale il Politecnico e i suoi partner industriali lavorano insieme per cercare di raggiungere degli obiettivi, mettendo ognuno le proprie peculiarità.
Quella con Eni è una collaborazione stabile ormai da quindici anni. Come è nata, e in quali ambiti di ricerca specifici si è focalizzata?
La partnership con Eni è, dal 2008, a 360 gradi: in questi quindici anni le nostre attività hanno toccato infatti tutte le aree dell’ingegneria, e non solo. Nel contesto della collaborazione, una focalizzazione più specifica ce l’ha invece il nostro nuovo centro congiunto per l’accelerazione della transizione energetica nell’ambito delle tecnologie per l’ambiente e l’energia. Obiettivo di questo centro è quello di portare avanti, insieme, progetti di ricerca per raggiungere gli obiettivi nel minor tempo possibile. La parola chiave del centro congiunto è infatti accelerazione: lavoriamo per far sì che i progetti arrivino a un livello di maturità tecnologica molto avanzato in tempi molto brevi. Per farlo, i nostri ricercatori e i ricercatori di Eni lavorano insieme quasi quotidianamente. Questo consente di poter fruire delle competenze congiunte e complementari di ricercatori appartenenti a diverse realtà, e di poter beneficiare di infrastrutture sperimentali, come quelle di Eni, di scala decisamente maggiore rispetto a quelle in possesso del Politecnico.
In questo modo, abbiamo messo in piedi progetti che vogliono affrontare problematiche di diverso tipo nella sfida della transizione energetica. I risultati di questi progetti, che richiederanno tempi diversi a seconda della loro complessità, se avranno successo dovranno dunque dimostrare che l’idea di base può funzionare “in campo”, in modo tale che se Eni deciderà di portare sul mercato la tecnologia sviluppata avrà tutti gli elementi per farlo anche a partire dal giorno successivo. I tempi in cui viviamo, e tutti i processi, sia quelli positivi che quelli negativi, hanno subìto un’accelerazione: la nostra risposta è quella di non lavorare da soli, e cercare di velocizzare la ricerca di soluzioni innovative attraverso una solida sinergia.
I diversi progetti che abbiamo iniziato da poco più di un anno (e un anno è un periodo brevissimo per portare sul mercato una innovazione nel campo dell’ingegneria) nel centro congiunto cominciano a produrre dei risultati concreti. Solo a titolo di esempio, il nostro sforzo congiunto con Eni ha consentito di dare vita a un progetto molto promettente relativo al filone e-fuel, carburanti sintetici che possono essere prodotti combinando chimicamente idrogeno e anidride carbonica. L’obiettivo è di sviluppare un sistema innovativo che comprenda catalizzatore e configurazione reattoristica proprietari per la produzione di gas naturale sintetico (SNG), direttamente compatibile con la rete già esistente, a partire da anidride carbonica di origine fossile, biogenica o presente nell’aria e idrogeno verde prodotto mediante elettrolisi dell’acqua. Tale sistema consentirebbe di affrontare efficacemente due delle sfide chiave della transizione energetica quali la gestione e valorizzazione delle emissioni di CO2 e la produzione di vettori energetici sostenibili. Questo è un caso emblematico del valore che la partnership tra il Politecnico di Milano ed Eni può generare: grazie alla sinergia tra le competenze dei ricercatori di entrambe le realtà e alle infrastrutture messe a disposizione da Eni, questa tecnologia potrebbe essere validata e industrializzata in tempi decisamente ridotti.
Qual è il ruolo del digitale nelle attività di ricerca che state portando avanti nel centro congiunto?
L’utilizzo del digitale, da quando i calcolatori sono entrati nel mondo della ricerca nella seconda metà del secolo scorso, è ampiamente diffuso. Noi lo utilizziamo all’interno del nostro centro congiunto, ma in modo ibrido. Mi spiego meglio: oggi è molto di moda l’Intelligenza Artificiale, uno strumento potentissimo che consente, per esempio, a partire da una quantità enorme di dati, di estrarre delle informazioni anche non subito evidenti. Ecco, noi tendiamo ad evitare questo approccio “a scatola chiusa” al digitale: cerchiamo, infatti, di accoppiare a questa potenzialità dell’IA di gestire ed estrapolare informazioni dai dati la creazione di gemelli digitali, i cosiddetti digital twins, che consentono di replicare un impianto per prevederne il funzionamento, le prestazioni e quant’altro. Questo, però, è possibile farlo soltanto affiancando agli strumenti la competenza della persona, del ricercatore che conosce le leggi che regolano il funzionamento di un’apparecchiatura, di un reattore e via dicendo. Dunque, tutti i progetti che abbiamo attivato sulle singole tecnologie, che hanno tutte ovviamente una grande componente sperimentale condotta in laboratorio, sono affiancati dall’utilizzo del digitale in questa modalità.
Inoltre, sulla parte digital abbiamo implementato una seconda tipologia di progetti nel centro congiunto, non verticali su una singola tecnologia, ma più orizzontali, ovvero modelli di scenario che cercano di prevedere quale potrebbe essere l’impatto dell’introduzione di una nuova tecnologia su sistemi più ampi, come l’Italia, da tanti punti di vista: economico, ambientale, energetico e così via. Questi hanno l’obiettivo di fornire uno strumento, un utile supporto a chi dovrà decidere se investire, spingere o meno sullo sviluppo di una data tecnologia.
Che tipo di progetti state realizzando, nello specifico?
A grandi linee, come accennato, ci sono due tipologie di progetto: progetti verticali sulle singole tecnologie, e progetti orizzontali di scenario. Per quanto riguarda quelli verticali, stiamo lavorando molto sulle tecnologie innovative per la produzione di energia elettrica; ad esempio, abbiamo progetti sulle Fuel Cell a Ossidi Solidi (SOFC) e su loro possibili integrazioni attraverso le quali, anche grazie alla CCS -Carbon Capture and Storage- si può generare, con una altissima efficienza, energia elettrica ad emissioni di CO2 molto basse . Stiamo inoltre sviluppando metodologie e procedure per la gestione dei sistemi di accumulo di energia. Le rinnovabili, in questo senso, hanno un enorme potenziale, ma il sole c’è di giorno e non di notte: questo, chiaramente, pone la necessità di accumulare energia, per poi reimmetterla nella rete quando non c’è il sole. Un problema in realtà non banale, per il quale stiamo sviluppando progetti per tecnologie e soluzioni innovative per la gestione di sistemi complessi, come appunto una rete elettrica a livello nazionale.
Abbiamo poi progetti che tentano di riconvertire la CO2 in materia prima attraverso dei processi chimici, e altri il cui obiettivo è quello di riuscire a riutilizzare gli scarti industriali tipici, ad esempio, delle bioraffinerie. Non tutta la biomassa utilizzata da questo tipo di impianti riesce infatti ad essere convertita in prodotti di valore, e questo fa sì che ci sia ancora una significativa componente di scarto della quale non si sa cosa fare: per questo motivo, stiamo cercando di sviluppare delle tecnologie che siano in grado di utilizzare completamente la biomassa, così da attuare un modello di circolarità per il quale dall’impianto non escano rifiuti, ma solamente prodotti.
Sono in lavorazione, inoltre, una serie di progetti legati all’idrogeno che, non essendo una fonte ma un vettore di energia, deve essere prodotto. Lo si può fare attraverso l’elettrolisi dell’acqua, e anche qui ci sono diverse criticità alle quali stiamo lavorando, oppure a partire da fonti fossili, come il metano: proprio in questa direzione, stiamo tentando di sviluppare dei processi che consentano di estrarre l’idrogeno presente nel metano, senza però emettere CO2 in atmosfera.
Come reputa questa esperienza di sinergia? Quali benefici può offrire il mondo accademico a quello delle imprese, e viceversa?
Per il Politecnico di Milano, l’esperienza della partnership con Eni è estremamente positiva. Il ricercatore universitario, infatti, può avere idee brillanti, può verificarne il funzionamento in laboratorio, ma per portare queste idee sul mercato, e produrle in scala industriale, servono competenze che spesso non ha, e che invece sono in possesso dei ricercatori industriali. Per questo lavoriamo insieme a grandi società come Eni: perché da un lato hanno disponibilità, economiche e infrastrutturali, di gran lunga superiori rispetto alle nostre, e dall’altro i loro ricercatori sono portatori di competenze, sensibilità e visioni che noi non abbiamo, perché facciamo un altro mestiere. Che non è migliore o peggiore, ma è semplicemente diverso.
Credo, inoltre, che l’esperienza sia molto positiva anche dalla prospettiva di Eni: la collaborazione quotidiana tra i loro e i nostri ricercatori, infatti, è un modo concreto, pratico, efficace ed efficiente di fare quella che si chiama Open Innovation. Che non significa soltanto cercare una startup che realizza attività che possono essere utili all’impresa, ma sviluppare innovazione insieme a chi fa ricerca da un altro punto di vista.
Per tutti questi motivi sono molto ottimista sul nostro Centro congiunto. Ritengo che ci siano buone probabilità che questa collaborazione dia degli ottimi frutti, non soltanto per il Politecnico di Milano ed Eni, ma per l’intero Paese: siamo due grandi attori che remano nella stessa direzione, a favore di un sistema che è più grande di noi.
Facebook Comments