Più volte, in queste pagine, si è parlato di Digital Champion. Si è approfondito il suo ruolo nell’idea originale di Neelie Kroes, si è data voce a diversi Digital Champion internazionali (a quelli italiani mai anche perché – nel loro ruolo – semplicemente non hanno fatto nulla), si è studiato il modello. E, dopo tutto ciò, abbiamo capito che non sempre ad una buona idea corrispondono altrettanto buoni risultati. Quello dei digital champion, lo abbiamo detto e ripetuto, è – nella maggior parte dei casi – un allegro club di cialtroni.
Per gli altri paesi, il nulla. Un nulla confermato a mezza bocca anche dai funzionari UE con i quali siamo entrati in contatto, che esauriti dal rincorrere questi inutili ma talvolta simpatici cialtroni si trovano a dover tentare di dare un senso ad un operato che definire misero sarebbe sin troppo generoso. E misero non può che essere il report che l’UE ha appena rilasciato, nel quale cerca di mettere a sistema le poche cose fatte e camuffare in una struttura vacua e lacunosa una realtà ineluttabile: il modello non funziona. I Digital Champion non fanno sistema. Gli eletti a tale ruolo non hanno alcun impatto reale, al netto di piccoli progetti che non possono che produrre altrettanto piccoli risultati. Nella migliore delle ipotesi, come nel caso italiano, vengono inclusi nel novero dei progetti del Digital Champion anche attività che con tale ruolo nulla hanno a che fare. Consola vedere che l’Italia, una volta tanto, non è fanalino di coda. Tuttavia non essendo fan del “mal comune mezzo gaudio” il problema resta. Il ruolo del Digital Champion è un ruolo chiave. Ma il modello non funziona.
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