Alfabeto Open: I come Internet of Things (IoT)

“Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.”
(Terza legge di Arthur C. Clarke)

Inconsapevolmente o no, siamo tutti di fronte ad un fenomeno in crescita esponenziale chiamato “Internet of Things (IoT)” (Internet delle cose, o per meglio dire, Internet degli oggetti).

Le previsioni indicano dati impressionanti entro il 2020, ma probabilmente è meglio non dare troppa importanza alla precisione dei numeri. Vale la pena, piuttosto, essere consapevoli della dimensione imponente del fenomeno e, ovviamente, conoscere almeno un minimo in cosa consista.

In un “tweet” semplificativo, per chi vede il bicchiere mezzo pieno lo slogan potrebbe essere più o meno questo: “L’IoT è qualcosa che renderà gli edifici e le cose più intelligenti, e la vita delle persone più confortevole e conveniente”.

Magia, si potrebbe dire… ma come fa?

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Dal punto di vista tecnologico, prima di tutto parliamo di M2M (Machine to Machine).

Occorre cioè aggiungere tecnologia agli oggetti (sensori, dispositivi di ogni tipo, anche di uso comune) che consenta loro di essere connessi e riconoscibili “on-line” e di comunicare dati su loro stessi ad altre dispositivi o macchine.

Il passo successivo (IoT) è quello che poi gli oggetti possano accedere ad informazioni aggregate di altri oggetti connessi. Si possono cioè mettere in relazione gli oggetti con altri oggetti, ma non solo… anche oggetti con processi esterni, o persone (utenti, clienti, fornitori, distributori, manutentori ecc.) creando servizi ed “ecosistemi” tra entità di varia natura, tutte interconnesse.

Un esempio di M2M: il lettore che all’ingresso legge il chip del vostro tesserino quando entrate al lavoro e che, “riconoscendovi”, vi sblocca la serratura della porta (o il tornello).
Un esempio di IoT legato al precedente: dalla lettura del vostro tesserino, in ufficio si accende il vostro computer, la luce e la macchina del caffè, si regola l’aria condizionata alla temperatura che il sensore intelligente conosce come la vostra preferita nel tempo. Tutto ciò era spento fino ad un istante prima e tutto ciò ritorna spento un istante dopo la lettura del vostro tesserino quando uscite.

Facciamo un ultimo esempio con la Smart Agricolture, visto che l’agricoltura ci fornisce tutti i giorni gran parte del cibo che mangiamo.
Intervento:

  • sensoristica IoT distribuita in campo per monitorare lo stress idrico delle piante e per migliorare l’accuratezza dei modelli di previsione delle infezioni primarie sulle colture;
  • utilizzo di smartphone NFC per identificare operatori e lotti di terreno e per tracciare le operazioni svolte.

Benefici:

  • riduzione del 30-40% l’uso di risorse idriche e del 40% il numero di trattamenti fitosanitari (fonte Osservatorio Politecnico Milano);
  • ottimizzazione della prevenzione e la cura delle colture;
  • riduzione dell’impatto ambientale dell’attività agricola;
  • aggiornamento automatico del Registro dei trattamenti sulle culture;
  • rapporto costi/benefici vantaggioso per l’azienda agricola, spesso con ritorno dell’investimento a breve termine.

Beh… Siccome si prevede che entro il 2050 la popolazione mondiale crescerà di circa due miliardi e mezzo di abitanti, vista anche la congiunzione negativa con la crisi ambientale planetaria, capite bene quanto gli scenari di fondo siano preoccupanti e quindi quanto l’argomento assuma enorme importanza.
Oltre all’agricoltura ed alla domotica, a livello globale la crescita dell’IoT nel 2016 verrà trainata da tanti settori: manifatturiero, trasporti (comprese le automobili ad uso privato), retail, consumer, smart city, sanità, assicurazioni ecc.

La vera sfida dell’IoT sta dunque nel migliorare concretamente la nostra vita quotidiana.

Ma è tutto così positivo? No, non lo è.
Sicurezza e privacy sono ad esempio due temi cruciali che suscitano molta preoccupazione, tanto da essere considerati come il grande ostacolo sulla strada per la diffusione su larga scala dell’IoT.
Tale preoccupazione riguarda sostanzialmente:

  • quanto siano veramente sicuri questi oggetti in rete (protezione contro il cybercrime);
  • come i dati e le informazioni dell’utente, raccolte dagli oggetti, possano essere utilizzate e per quali scopi,  ovvero quali informazioni possano addirittura essere raccolte all’insaputa dell’utente.

Domanda (scherzosa): siamo sicuri che la nuova “smart plafoniera LED” non ci spii mentre siamo al bagno?
Oppure (domanda meno scherzosa): siamo sicuri che un hacker non possa prendere facilmente il controllo del nuovo “smart allarme” di casa ed aprire tranquillamente la porta al ladro, spegnendo prima anche le telecamere?

I vendor dovranno essere in grado di offrire il giusto equilibrio tra “smart”, sicurezza e privacy, aumentandone la priorità aziendale ed investendo nella ricerca. Nel frattempo si raccolgono a livello mondiale le best practices in materia e si emanano nuove normative. Questo è un bene, perché l’esigenza dell’utente di poter disporre di adeguati livelli di tutela è e rimane sacrosanta, tanto da dover essere soddisfatta.

Fateci caso, ma tutta questa faccenda presenta forti analogie a quanto già accade oggi con gli smartphone, che tutti bene o male già possediamo, oppure con il software, cioè il sistema operativo ed i programmi applicativi che tutti utilizziamo quotidianamente. E non è un caso, infatti, che li possiamo annoverare entrambi come oggetti IoT.

Analogamente, dunque, mi sembra del tutto naturale pensare che esistano paradigmi in grado di contribuire positivamente allo scenario fin qui descritto ed esperienze mutuabili (ad esempio proprio dal mondo dei software o da quello degli smartphone) che ci forniscano l’opportunità di individuare le soluzioni migliori: gli Open Standard e l’Open Source ci vengono in aiuto.

Neanche a farlo apposta, infatti, oggi gli oggetti IoT si connettono l’uno all’altro utilizzando modalità di dialogo diverse e spesso incompatibili. …Ma va?

Le aziende cercano di affermare sul mercato le proprie tecnologie chiuse e proprietarie rispetto alla concorrenza, e questo spiega il motivo apparentemente illogico: in realtà, è la ricerca di un vantaggio commerciale (se vogliamo, in termini di consumismo).

L’uso di Open standard, invece, è un evidente e reale vantaggio per l’utente finale, che (come dice Andrew Tang, responsabile Sicurezza di MTI Technology Limited) “non ha bisogno di acquistare il prodotto A per collegarlo all’applicazione A o il prodotto B che funziona solo con l’applicazione B, ma può comprare qualsiasi prodotto che dovrebbe poter funzionare con tutte queste applicazioni”.

Vi ricordate cosa accadeva pochi anni fa, quando ogni marca di cellulare aveva il suo specifico caricabatterie? C’era “quello della Nokia”, “quello della Motorola”… Un incubo!C’è voluto l’intervento dell’Unione Europea per imporre uno standard per tutti i dispositivi, perché fosse stato per le singole aziende saremmo rimasti ancora a chiederci l’un l’altro: “hai per caso un cellulare come il mio?”.

Beh… vi prego! Non vorremo mica riproporre quel modello anche per l’IoT?
L’internet degli oggetti avrà bisogno di essere opportunamente normato, altrimenti il destino è quello di diventare solo un altro settore tecnologico governato dalle grandi aziende IT.

Occorre quindi imprimere con più forza uno sviluppo verso l’interoperabilità dei sistemi e l’utilizzo di tecnologie open standard per l’intero settore. Solo così, infatti, si potrà gestire in maniera intelligente il flusso di informazioni tra i dispositivi, indipendentemente dal fattore di forma, sistema operativo o service provider.

Per queste precise motivazioni nasce l’Open Consortium Interconnect (OIC), con lo scopo cioè di definire una specifica standard aperta di comunicazione per la connessione degli oggetti IoT, che chiunque possa implementare. OIC sostiene infatti che oggi la vera innovazione si possa realizzare solo quando più parti si incontrano con le proprie specifiche competenze ed esperienze, e lo sviluppo del codice sorgente avvenga in una forma aperta, in base alle regole di governance open source. (Questa la loro dichiarazione dei principi fondanti. Queste le specifiche aperte OIC 1.0. Questa la loro sintesi.)

Per questo motivo, OIC è anche lo sponsor del progetto IoTivity, un framework software open source per il collegamento senza soluzione di continuità di miliardi di dispositivi IoT, su più sistemi operativi e protocolli di rete.

IoTivity è un progetto sviluppato sotto licenza open permissiva (Apache versione 2.0) ed è ospitato dalla Linux Foundation (rimanendo indipendente dalla organizzazione OIC).

Quindi, aperte le specifiche tecniche e aperto il framework di sviluppo.
Ma non dimentichiamoci di un altro fattore importante: il paradigma dell’open source vale anche per l’hardware (Open Hardware)!

I componenti open hardware, infatti, sono notoriamente un ottimo modo per accelerare l’innovazione, per condividere i costi di sviluppo, per favorire l’interoperabilità tra devices, oltretutto rendendo particolarmente accessibili (in termini di investimento) le piattaforme necessarie alla sperimentazione ed alla prototipazione. Avete presente il sistema Arduino e tutto l’universo di schede e sensori ad esso collegabili, con cui chiunque viene messo in grado di sperimentare nuovi prototipi e nuove soluzioni?

Infine, c’è da considerare che l’Open Source, e Linux rappresentano un’opportunità preziosa di ampliare in maniera significativa il novero dei possibili attori nel mercato IoT globale (quindi più concorrenza, più ricerca, più soluzioni utili).

Soprattutto lato enterprise, infatti, le soluzioni di virtualizzazione basate su Linux ed OpenStack forniscono le funzionalità necessarie e la giusta scalabilità per poter definire un modello di business idoneo, che possa cioè essere incrementale e non richieda subito ingenti e proibitivi investimenti fin dal primo giorno (ad esempio, evitando i costi delle licenze software, oppure evitando costi ingenti per uscire dal lock-in in caso di upgrade verso una soluzione diversa).

Attenzione: quest’ultimo vantaggio non è poca cosa!

Internet of Things è infatti spesso fonte di Big Data, quindi alle soluzioni di business è richiesta una rapida scalabilità, sia in termini di dimensionamento che di livello di performance, in modo tale da garantire l’efficienza nell’analisi dell’enorme quantità di dati e la loro estrazione nei tempi più rapidi possibile (e nella forma più accurata).

L’Open Source, l’Open Hardware e l’Open Standard sono quindi in grado di fornire al’IoT un valore aggiunto decisivo, evitando le insidie dei lock-in tecnologici, contribuendo ad aumentare il livello di sicurezza e rispetto della privacy, consentendo una maggiore consapevolezza e possibilità di scelta, ampliando la scacchiera globale sulla quale poter “giocare” le proprie strategie innovative e di business, auspicabilmente con un reale maggiore vantaggio per l’utente finale (focus sulle esigenze dell’utente, tipico dell’Openness).

Per tutti questi motivi e le considerazioni fin qui fatte, l’auspicio sincero è che questa volta non ci si limiti a guardare all’opportunità offerta dall’IoT solo con un approccio consumistico, come fosse una moda del momento da sfruttare commercialmente finché dura.

Abbiamo visto che sono in gioco valori molto importanti, sia in senso positivo che negativo, ed una delle poche strade promettenti per un concreto e positivo progresso sembra restare quella di uno sviluppo condiviso ed aperto della tecnologia.

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