Software in riuso: quali i benefici in termini di sostenibilità?

Recupero, Riuso, Riciclo, tre azioni alla base dell’economia circolare e che ben si sposano anche con il software open source, ovvero quello il cui codice è a disposizione di tutti per poter essere studiato, modificato e ricondiviso. Ma quali sono i benefici reali del FOSS, Free and Open Source Software? Quanto questo favorisce la sostenibilità economica e sociale?

Uno studio della Harvard Business School, pubblicato nel marzo 2019, ha misurato l’impatto di azioni di sostegno all’apertura del codice da parte dei Governi sulla competitività, sulla produttività aziendale e quindi sull’economia e sul sociale. Per farlo ha esaminato gli effetti della normativa emanata dalla Francia qualche anno fa, finalizzata non solo a favorire il software open source rispetto al proprietario, ma anche a “rendere disponibile” tutto il codice prodotto per la PA. In cifre, il rapporto dimostra come un’azione di questo tipo porta a un aumento annuo che va dallo 0,6% al 5,4% di organizzazioni che scelgono software libero, una forbice di un +9% +18% del numero di startup legate al mondo IT e, di conseguenza, un incremento annuale di persone occupate che va dal 6,6% al 14%. Benefici misurabili a favore della sostenibilità.

“Il software open source – si legge nel rapporto – crea valore sociale aumentando la disponibilità e la qualità di codice libero e aperto”, qualità quest’ultima che consente di moltiplicare gli effetti liberamente in altri Paesi.

Quale la situazione in Italia?

Ad accompagnare un paio di commi del Codice di Amministrazione Digitale, il 68 e 69, che imporrebbero da anni di preferire soluzioni aperte a proprietarie, AgID ha emanato di recente le Linee Guida per il riuso del software, finalizzate a incentivare l’apertura del codice prodotto dalle PA come patrimonio collettivo e riusabile.

Le linee guida sostituiscono le precedenti Linee guida “per la valutazione comparativa” e introducono importanti novità quali l’eliminazione del “catalogo del riuso” e della necessità di ricorrere a convenzioni per riutilizzare il software e l’introduzione dell’obbligo di pubblicazione del software sviluppato in licenza aperta. Oltre questo, AgID ha istituito CCROS, il Centro di Competenza per il Riuso e l’Open Source, volto a costruire strumenti a supporto dei processi di acquisto, sviluppo e riuso di soluzioni informatiche nelle Pubbliche Amministrazioni.

Perché il riuso è importante nel software?

Con il termine riuso di un software – viene spiegato nelle linee guida – si intende “il complesso di attività svolte per poterlo utilizzare in un contesto diverso da quello per il quale è stato originariamente realizzato, al fine di soddisfare esigenze similari a quelle che portarono al suo primo sviluppo. Il prodotto originario viene «trasportato» nel nuovo contesto arricchendolo, se necessario, di ulteriori funzionalità e caratteristiche tecniche che possono rappresentare un «valore aggiunto» per i suoi utilizzatori”.

Uno dei vantaggi importanti del software libero – afferma Roberto Di Cosmo, direttore di IRILL e grande esperto di software liberoè di ridare all’utilizzatore un controllo elevato sulla tecnologia e sulla sua evoluzione, grazie all’accesso al codice sorgente delle soluzioni e al suo processo di sviluppo”. Libertà non solo di riusare qualcosa prodotto da altri, ma anche di migliorarla e ricondividerla al fine di ottimizzare le risorse”.

Perché l’apertura del codice in PA?

Nel caso della Pubblica Amministrazione, l’apertura del software, già presente nell’art. 69 del Codice di Amministrazione Digitale che impone di “rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta…”, aveva la necessità di linee guida in grado di indirizzare in modo più chiaro le Amministrazioni che commissionano software o ne producono internamente e che possono renderlo patrimonio collettivo. Tra gli obiettivi del documento quello di promuovere la composizione di comunità tra le PA per la realizzazione, gestione e diffusione di software open source, sviluppare modelli di business intorno all’utilizzo di soluzioni e componenti software open source di proprietà delle PA e ottimizzare costi e tempi di gestione del software utilizzato dalle PA.

Le nuove linee guida sul riuso – spiega Carlo Piana, avvocato esperto di diritto delle tecnologiehanno molti pregi, tra i quali di adottare un linguaggio più diretto, più simile a quello utilizzato dai programmatori e meno quello degli avvocati. Purtroppo giungono con qualche anno di ritardo e seguono una riforma (l’ennesima) del CAD che ha portato alcune luci come la chiarezza sul fatto che il riuso è open source e l’open source è il modo di fare riuso, ne è una, e qualche ombra come l’abolizione dell’obbligo generale di conseguire l’interoperabilità nella creazione del software della pubblica amministrazione, sostituito con una serie di obblighi specifici e sparsi, ad esempio. Dico qualche anno di ritardo perché avrei voluto che anche nelle linee guida sulla valutazione comparativa alla cui stesura partecipai, avessimo scelto una strada così radicale, ad esempio nell'”algoritmo” di scelta delle soluzioni open source”.

Si produce ancora software o si scelgono servizi in cloud?

Com’era prevedibile – continua Carlo Piana – la tendenza ora è sempre più spostare tutto in un ambito “software as a service” e “platform as a service”. Se ciò comporta vantaggi indubitabili, vedo che la tendenza è quella di privilegiare le soluzioni dei grandi operatori, con buona pace della tutela della privacy “vera”, rimpiazzata ormai da quella burocratica anche e soprattutto dopo l’entrata in vigore del GDPR. In tutto ciò, anche nella minore importanza che il software in riuso avrà con il paradigma montante, non posso non notare l’assenza pressoché totale di incentivi e sanzioni, che ovviamente non erano compito degli estensori. Purtroppo, quindi, rimangono molte chiazze di non piena osservanza”.

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