Economia circolare e bioeconomia? Economia digicircolare!

Dal 1970 al 2017 la popolazione mondiale è aumentata di 2 volte (da 3,7 a 7,5 miliardi di abitanti), ma il consumo mondiale di materiali è aumentato di 4 volte, passando da 26 a 104 Gt, con tutti gli effetti negativi che ne conseguono in termini per esempio di produzione di rifiuti. Tanto per dare dei numeri, ogni abitante della Terra utilizza più di 11.000 kg di materiali all’anno che, per un terzo, si trasformano in breve tempo in rifiuto e finiscono per lo più in discarica, e solo un altro terzo è ancora in uso dopo appena 12 mesi.

Passare da un modello di economia lineare a uno circolare è uno degli obiettivi più sfidanti di Agenda 2030 – è il goal 12 – ed una delle priorità della UE, tanto da trovare finanziamenti sia attraverso il Piano di investimenti per il Green Deal, che nei prossimi dieci anni punta a mobilitare almeno 1.000 miliardi di investimenti tra risorse pubbliche e private che, a livello nazionale, tramite la legge di bilancio 2020, che contiene alcune prime misure per il “Green new deal”, con l’istituzione di un fondo per gli investimenti pubblici (4,24 miliardi di euro per gli anni dal 2020 al 2023) destinato a sostenere progetti e programmi di investimento innovativi ad elevata sostenibilità ambientale.

Economia circolare: Italia promossa?

L’Italia, secondo il “Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia” 2020 realizzato dal CEN-Circular Economy Network, la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da 14 aziende e associazioni di impresa e da ENEA, risulta essere tra i primi cinque Paesi in Europa per indice di circolarità, ovvero il valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse in cinque categorie: produzione, consumo, gestione rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti e occupazione.

Le performance italiane di circolarità nel settore della produzione si confermano le migliori rispetto alle altre 4 principali economie europee, con uno stacco di dieci punti dalla Germania che si posiziona al secondo posto. L’ottimo posizionamento è il frutto di un alto valore economico generato per unità di consumo di materia e di un 3,5 € di PIL generato per ogni kg di risorsa consumato, a fronte di una media europea di 2,24.

Anche sotto il profilo del lavoro, Italia seconda solo alla Germania, con 517.000 occupati nei settori circolari, un 2,06% del totale, con una media UE pari all’1,7%.

Se si va a guardare il consumo di energia, questo fa posizionare il nostro Paese tra i primi cinque con circa 116 mila TEP (Tonnellate Equivalenti Petrolio) di energia all’anno, dato costante rispetto all’anno precedente. Il consumo di energia da parte delle famiglie rispecchia lo stesso andamento del consumo finale di energia: come registrato nel 2017, l’Italia risulta quarta con un totale di 32.000 TEP consumati nel 2018.

Ecoinnovazione punto debole italiano?

L’Italia, si legge nel rapporto, utilizza al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico e ha un buon indice di efficienza: per ogni chilo di risorsa consumata, infatti, si generano 3,5 euro di PIL, contro una media europea di 2,24. A fronte di questo, però, si registra una quota insufficiente di investimenti, che si traduce in carenza di ecoinnovazione che vede l’Italia all’ultimo posto per brevetti registrati in questo ambito.

Carenze importanti, secondo lo stesso rapporto, ci sono sul fronte normativo, visto che mancano ancora la Strategia nazionale e il Piano di azione per l’economia circolare, “due strumenti che potrebbero servire al Paese anche per avviare un percorso di uscita dai danni economici e sociali prodotti dall’epidemia del coronavirus ancora in corso”.

Quale il ruolo della bioeconomia?

Particolare attenzione è riservata dal report alla bioeconomia, che solo nel 2015 in Europa, ha fatturato complessivamente circa 2.300 miliardi di euro, con un numero di addetti pari a 18 milioni di occupati, pari all’8,2% della forza lavoro dell’UE. In Italia le attività connesse alla bioeconomia nel 2017 presentano un fatturato di oltre 312 miliardi di euro e circa 1,9 milioni di persone impiegate (177 volte i dipendenti dell’Ilva). I comparti che contribuiscono maggiormente al valore economico (63%) e occupazionale (73%) della bioeconomia sono l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco e quello della produzione primaria (agricoltura, silvicoltura e pesca).

Particolare attenzione dovrà essere riservata al suolo, dalla cui disponibilità e dal cui stato di salute dipendono i molteplici equilibri degli ecosistemi e visto che contiene oltre 2 mila miliardi di tonnellate di carbonio organico, il secondo sink di assorbimento dei gas serra dopo gli oceani. A livello mondiale si stima che il 33% dei suoli sia degradato e a livello europeo in media ogni anno un’area di 348 chilometri quadrati viene impermeabilizzata, senza contare l’erosione del suolo, che ne riduce lo strato fertile, diminuendone la produttività, impoverendo gli habitat e la biodiversità. In l’Italia, per portare qualche numero, l’indice di perdita media annua è il più elevato d’Europa: 8,46 t/ha, contro una media UE di 2,46 t/ha.

Un futuro che va verso una bioeconomia circolare?

La transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia rigenerativa è sempre più urgente e indispensabile anche per la mitigazione della crisi climatica”, ha sottolineato Edo Ronchi, presidente del CEN. “Oggi esistono importanti strumenti normativi a livello europeo ma vanno incoraggiati. Penso al piano investimenti presentato alla Commissione europea il 14 gennaio scorso: un primo passo che però non è ancora sufficiente. Per rendere operativo il Green Deal occorre almeno il triplo delle risorse stanziate: bisogna arrivare a 3.000 miliardi di euro. Per raggiungere questo obiettivo serve un pacchetto di interventi molto impegnativi: una riforma dei regolamenti alla base del Patto di Stabilità per favorire gli investimenti pubblici; una nuova strategia per la finanza sostenibile in modo da incoraggiare la mobilitazione di capitali privati; una revisione delle regole sugli aiuti di Stato. Indispensabili, infine, la revisione della fiscalità e la riforma degli stessi meccanismi istituzionali dell’Unione Europea”.

Verso l’economia digicircolare

Nel quadro tracciato, risulta indispensabile un nuovo approccio all’economia circolare che parta dalla attenta valutazione del ruolo della tecnologia digitale rispetto allo sviluppo di modelli di circolarità. “Non si deve sottovalutare l’imprescindibile connessione che lega l’economia circolare con la digitalizzazione e che, non a caso, Enrico Giovannini declina con il concetto di economia digicircolare”, afferma Stefano Epifani, direttore del Digital Transformation Institute ed autore del libro Sostenibilità Digitale.Un legame che ancora purtroppo sfugge a troppa gente, in particolar modo a persone che in questo settore operano, e che fanno ancora fatica a vedere la tecnologie come un attivatore di processi e percorsi di circolarità economica. Non è solo l’ottimizzazione dei processi consentito dal digitale il vero elemento di vantaggio competitivo rispetto al passato, ma la capacità della tecnologia di sviluppare percorsi di reintermediazione virtuosa, che mettono in contatto in maniera nuova e diversa i diversi anelli della catena produttiva. Si pensi, ad esempio, all’uso di blockchain come strumento di ottimizzazione della gestione delle materie riciclabili. La tokenizzazione del consumo di plastica, ad esempio, permetterebbe di distribuire la responsabilità (ed il costo: economico e sociale) sui diversi attori della catena, premiando quelli che assumono comportamenti virtuosi e gravando invece su quegli anelli della catena non orientati ad una gestione ottimale del problema. Ma è solo un esempio. La digitalizzazione consente di ripensare interi comparti ed interi processi, fornendo risposte nuove ma consentendoci anche di porci domande che prima erano semplicemente impensabili perché correlate a problemi irrisolvibili. Ma che oggi con la tecnologia possiamo affrontare e risolvere”.

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