Energia da fonti rinnovabili­: cosa e perché

A scuola tutti abbiamo imparato l’adagio attribuito ad Antoine-Laurent de LavoisierRien ne se perd, rien ne e crée, tout se transforme” vale a dire “nulla si distrugge, nulla si crea, tutto si trasforma”. In questa formula verbale troviamo la sintesi di un’intera epoca: la negazione illuministica della fede nei confronti della ragione (il “nulla si crea”), un richiamo alla filosofia classica (il “tutto si trasforma” che potrebbe far pensare a una citazione eraclitea), la sintesi apodittica di una affermazione scientifica motivata empiricamente.

Nessuno ignora che Lavoisier fu il padre della chimica moderna, il primo a usare metodi realmente quantitativi nel trattarla e quindi il primo a praticarla in modo completamente scientifico: purtroppo la sua zelante interpretazione del ruolo di esattore delle tasse gli costò la testa durante il terrore e, come ebbe a dire il suo caro amico Giuseppe Luigi Lagrange, “è bastato loro [la folla rivoluzionaria] un momento per far cadere quella testa e cento anni, forse, non basteranno a produrne un’altra simile”.

L’enunciazione della legge di conservazione della massa, che abbiamo ricordato in modo aneddotico appena adesso, è in effetti una delle grandi scoperte di Lavoisier: per essere precisi, lui la formulò intendendo che prima e dopo una reazione chimica la massa totale degli elementi in gioco rimane la stessa. La roboante formulazione che abbiamo menzionato sembra invece assumere un tono più generale ed assoluto, sostenendo che in Natura si hanno solo trasformazioni, non creazioni né distruzioni.

Va detto che prima di Lavoisier, una grande donna di scienza, Emilie du Chatelet, purtroppo nota principalmente per la sua relazione con Voltaire ma in realtà una delle grandi menti scientifiche della sua epoca, nel riformulare e commentare la teoria newtoniana la corredò del principio di conservazione dell’energia, secondo il quale nei sistemi “chiusi” (cioè che non hanno scambi con il resto dell’universo) è l’energia a non crearsi né distruggersi ma trasformarsi soltanto in forme differenti.

Fu soltanto con Einstein, nel 1905, che i due principi di conservazione, quello della massa e dell’energia, furono “spiegati” nella famosa relazione E = mc2, che rende massa ed energia proporzionali mercé il quadrato della velocità della luce (che è una costante di Natura).

Il concetto di energia si andava in effetti chiarendo proprio nel ‘700: se Newton aveva basato la sua dinamica, cioè la teoria del movimento dei corpi, sul concetto di “forza”, che sarebbe la causa del movimento, nel ‘700 si è posto l’accento sul concetto di energia, tanto che cento anni dopo Newton, il già citato Lagrange, riformulò la statica e la dinamica newtoniana in un contesto più generale nel quale la singola quantità “scalare” (cioè numerica) dell’energia giocava il ruolo centrale della quantità “vettoriale” data dalla forza di Newton. Ci piace anche ricordare che una contemporanea di Einstein, la grandissima matematica Emmy Noether, formulò le condizioni sotto le quali un sistema dinamico effettivamente soddisfa la legge di conservazione dell’energia dimostrando il celebre teorema che reca il suo nome.

Lagrange è stato in grado di descrivere in un singolo sistema di equazioni le leggi della dinamica di tutti i sistemi “conservativi”, vale a dire quelli nei quali l’energia, appunto, si conserva, cioè soddisfa il principio di du Chatelet. Nella sua magistrale “meccanica analitica”, che il suo epigono Hamilton ha chiamato “un poema matematico”, sono quindi studiati quei sistemi nei quali l’energia può trasformarsi in una forma o nell’altra ma alla fine resta la stessa che era prima della trasformazione.

Naturalmente questi sistemi costituiscono una “idealizzazione” di quel che sperimentiamo realmente intorno a noi: per esempio un pendolo (il sistema meccanico archetipico per il quale le equazioni di Lagrange sono particolarmente semplici) dovrebbe oscillare indefinitamente, mutando la sua energia potenziale in cinetica e viceversa per l’eternità. Ma, naturalmente, qualsiasi pendolo possiamo costruire, una volta messo in moto prima o poi si ferma: dov’è andata la sua energia cinetica che non è stata convertita in potenziale? Si è dissipata…

La Natura è matrigna

Perché il pendolo si ferma? Perché nell’oscillare, cede un po’ della sua energia all’ambiente. Questo in quanto, per esempio, il pendolo è costituito da un filo cui è agganciato un peso, e questo filo a sua volta è agganciato al soffitto o a un supporto. Il punto di contatto fra il filo del pendolo e il supporto che lo sostiene è sottoposto, mentre il pendolo si muove, a uno sfregamento e quindi a una forza di attrito.

L’attrito, a sua volta, altro non è (in questo caso) che la conversione di energia meccanica in energia termica che si dissipa nell’ambiente: naturalmente stiamo semplificando: gli effetti dissipativi sono più complessi ma della dissipazione di calore tramite attrito abbiamo tutti esperienza sfregando velocemente con un dito una superficie scabra.

Ricordiamo che la conservazione dell’energia riguarda i sistemi chiusi, ma effettivamente non sembrano esservene in Natura: ogni cosa interagisce con ogni altra, e quindi l’energia si dissipa in mille modi. Un altro esempio è quello della resistenza elettrica: l’energia potenziale, che si misura in Volt, fa scorrere la corrente fra i due poli di un circuito, ma nello scorrere attraverso il conduttore un po’ di questa energia va dispersa sotto forma di calore, prodotto dall’effetto Joule. Per questo gli apparecchi elettrici ed elettronici si scaldano quando sono in funzione!

L’energia elettrica, che è quella che muove il nostro mondo, è ottenuta dalla conversione di altre forme di energia: per esempio una centrale a carbone usa la combustione, cioè trasforma l’energia chimica ingabbiata nel combustibile in calore che quindi fa muovere una turbina, convertendo quindi il calore in energia meccanica, la quale viene poi a sua volta convertita in energia elettrica tramite un alternatore, che è uno strumento elettromeccanico che usa i campi magnetici (generati da elettromagneti in movimento) che a sua volta generano corrente elettrica alternata.

Come si vede ci sono diverse trasformazioni in gioco, e in ciascuna di esse si dissipa energia, cioè se ne disperde un po’ ottenendo alla fine meno di quel che si è “estratto” dalla fonte.

Già, ma cos’è una fonte energetica?

Il termine suggerisce qualcosa di analogo alla sorgente che alimenta un fiume, che poi sfocia nel mare, e che effettivamente lungo il passaggio cede acqua sotto forma di umidità, emissari, ecc. L’analogia è compatibile quindi anche con la presenza della dissipazione.

Pensiamo di nuovo alla centrale a carbone che produce energia elettrica: il funzionamento continuo della centrale è legato alla possibilità di produrre calore che scalda un fluido la cui condensazione ha poi l’effetto di attivare l’alternatore che produce la corrente poi inviata, tramite le reti elettriche, ai vari punti di consumo (manco a dirlo anche in questo suo viaggio se ne dissipa un po’, e il fatto che la corrente sia alternata e che il voltaggio delle linee elettriche sia molto elevato servono proprio a limitare questa dissipazione).

L’energia termica viene ottenuta dalla combustione di un combustibile fossile, la cui struttura chimica lo rende molto efficiente nel produrre calore: quindi l’energia immobilizzata nei legami chimici e nella struttura molecolare del combustibile è effettivamente la fonte dalla quale si attinge.

Nel caso delle centrali nucleari abbiamo una “filiera” analoga: solo che in questo caso non si brucia un combustibile, ma si controlla il decadimento di un elemento radioattivo, l’uranio arricchito per esempio, liberandone l’energia atomica che viene convertita in calore, trasferito a un liquido che genera il movimento di una turbina che a sua volta attiva l’alternatore che produce corrente elettrica alternata.

A ben vedere, le fonti di energia sono quindi “nascoste” nei materiali che si usano per innescare la combustione o il decadimento. Questi materiali sono estratti: il carbone è di origine organica, semplicemente piante fossili, l’uranio è presente nella crosta terrestre un po’ dappertutto, anche grazie ai sommovimenti tettonici e al vulcanismo.

Ma, per quanto la Terra fosse ricoperta di foreste nel periodo Carbonifero (chiaro perché si chiama in questo modo?), fra i 360 e 300 milioni di anni fa, questo materiale è comunque destinato ad esaurirsi se continuiamo ad estrarlo. Lo stesso vale per l’uranio e per qualsiasi altra sostanza che possa essere utilizzata per liberarne l’energia intrappolata al suo interno, sia essa chimica, atomica, etc.

Per questo motivo si dice che sono “fonti energetiche non rinnovabili”: semplicemente perché la modalità di produzione dell’energia che le coinvolge le rende inutilizzabili. Non possiamo bruciare il carbone bruciato, dobbiamo bruciarne di nuovo. E l’uranio, una volta decaduto, genera scorie dalle quali non è possibile trarre a sua volta energia allo stesso modo.

Verrebbe quindi da parafrasare il motto di Lavoisier come “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si consuma”.

Energie rinnovabili?

La risposta in breve a questa domanda è: non esistono! In effetti qualsiasi conversione di energia comporta il consumo del materiale, o della energia, da cui essa viene trasformata (di solito diciamo prodotta ma abbiamo visto che si tratta di un termine fuorviante).

Anche l’energia solare? Sì, anche l’energia solare. Ma soltanto per il motivo che, entro cinque miliardi di anni, il sole smetterà di produrre energia perché sarà morto in una espansione che lo trasformerà in una gigante rossa, e poi in una contrazione che lo renderà una nana bianca. Questo processo durerà milioni di anni, ma sicuramente nessuno sarà lì a vederlo: la Terra sarà stata bruciata dall’espansione e ridotta a un pianeta inabitabile.

Come ha detto John Maynard Keynes, “nel lungo periodo saremo tutti morti”: possiamo applicare questo principio alla nostra discussione e dedurne che, su scala umana, l’energia solare va considerata effettivamente inestinguibile, per l’ottimo motivo che ci estingueremo noi prima che si estingua lei.

Per lo stesso motivo, anche l’energia del vento, che nasce già come energia meccanica, la possiamo considerare rinnovabile: una Terra senza vento è impensabile a meno di non concepire un pianeta così stravolto nel suo assetto geofisico da renderlo incompatibile con la presenza della vita.

Fra le altre fonti rinnovabili possiamo annoverare l’energia geotermica, cioè lo sfruttamento del calore della crosta terrestre, che è dovuto al decadimento radioattivo degli elementi che dimorano nelle sue viscere (nucleo, mantello, ma anche nella crosta terrestre); sotto questo punto di vista l’energia geotermica è in realtà energia nucleare, che si sviluppa naturalmente sotto i nostri piedi e il cui calore giunge fino a noi e, in particolari condizioni, può essere trasformato in altre forme di energia. Ormai ce lo immaginiamo: dal calore si genera movimento, dal movimento corrente elettrica alternata.

D’altra parte c’è chi ritiene anche il nucleare una energia rinnovabile, in quanto la quantità di elementi radioattivi che sono necessari per produrre energia da essi è limitata e quindi meno esauribile dei combustibili fossili, e in quanto l’uranio è in realtà molto diffuso, più dell’oro e dell’argento per dirne una.

Ma la differenza fra le prime rinnovabili che abbiamo citato e l’energia nucleare, e a maggior ragione l’energia ricavata da combustibili fossili, sta anche nel fatto che le prime “nascono” già come fonti energetiche, mentre la seconda e le terze sono energie contenute in materiale che, una volta attivato per estrarne l’energia, per esempio col decadimento o la combustione, si trasforma in materiale inutilizzabile e dannoso, le scorie. Il decadimento dell’uranio, infatti, produce prodotti di fissione ancora radioattivi per quanto non utilizzabili per produrre energia.

Il solare e l’eolico non producono invece scorie, in quanto sono già forme di energia: radiazione elettromagnetica ed energia cinetica contenuta nelle masse d’aria in movimento. Nel colpire una cella fotovoltaica, i raggi solari non producono alcuna scoria, né lo fa il vento nel colpire le pale di un impianto eolico. Questa caratteristica rende le rinnovabili ulteriormente interessanti come fonti di energia: non solo sono inesauribili in tempi storici, ma non introducono nell’ambiente sostanze tossiche o comunque in grado di modificare gli equilibri dei nostri ecosistemi.

Energie rinnovabili!

In questa breve, e molto divulgativa, disamina speriamo di aver illustrato perché sia importante la ricerca, lo sviluppo e soprattutto l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile.

In effetti ci si potrebbe chiedere perché non siano state utilizzate fin dagli albori della rivoluzione industriale, il cui impatto sul pianeta è stimato dagli indicatori sulle percentuali di gas serra e della temperatura media cresciuta di circa un grado dall’epoca pre-industriale.

Apriamo una breve parentesi per sottolineare che, se un 1° sembra poco, si deve riflettere sul fatto che nell’ultima era glaciale, circa 20.000 anni or sono, quando le isole britanniche e Scandinavia erano coperte dai ghiacci, la temperatura media era di soli 6-8° inferiore a quella attuale. Inoltre, negli ultimi due milioni di anni, incrementi di temperatura di 5° sono mediamente avvenuti nell’arco di 5000 anni e oltre. Quindi non solo la temperatura è aumentata di una frazione pari al 12%-16% del gradiente che ci separa dall’era glaciale, ma questo cambiamento è avvenuto in un tempo 5 volte minore rispetto a quanto avviene in assenza di intervento antropico (dati precisi sulle temperature sono pubblicati da vari enti di ricerca, la NASA offre elaborazioni particolarmente utili).

Il fatto è che utilizzare le energie rinnovabili in modo efficiente richiede tecnologie che soltanto negli ultimi anni sono state sviluppate in modo efficace: per bruciare il carbone non serve una tecnologia sofisticata, si pensi alle locomotive a vapore. Per trasformare la radiazione solare in elettricità occorre la tecnologia fotovoltaica, nei suoi sviluppi più recenti. Il principio fisico alla base della conversione della radiazione solare in elettricità è stato descritto da Einstein nel 1905 (pochi sanno che il premio Nobel gli fu dato per questo e non per la teoria della relatività!). La costruzione delle celle e dei pannelli fotovoltaici resta onerosa in termini di costi, e quindi il costo iniziale dell’impianto ha bisogno di essere ammortizzato per un tempo rilevante prima che si possa beneficiare della produzione di energia allo stesso livello di efficienza delle non rinnovabili. Le difficoltà tecniche legate al mondo delle rinnovabili rendono costosa la realizzazione degli impianti, e quindi una lungimiranza che solitamente non siamo disposti ad avere. Inoltre gli impianti sia fotovoltaici che eolici hanno un impatto legato all’ingombro degli impianti stessi: l’estensione dei pannelli solari nel caso degli impianti fotovoltaici, l’ingombro delle pale eoliche e della loro collocazione a grandi altezze (infatti il vento spira maggiormente in quota che al livello del suolo), ecc.

Per questo motivo gli incentivi nella realizzazione di questi impianti, sia a livello industriale che domestico, sono uno strumento fondamentale per diffonderli e per invertire la tendenza nella produzione di scorie per la produzione di energia, il che non vuol dire abbattere i livelli di gas serra o la temperatura media (le emissioni che abbiamo già riversato nell’atmosfera ci garantiscono un lungo periodo di surriscaldamento), ma contribuire a non farli aumentare ulteriormente.

Il clima è un sistema complesso, nel senso tecnico del termine, e i comportamenti, virtuosi o viziosi, hanno conseguenze non nel breve ma nel medio e lungo termine, che dipendono dalle cause in maniera altamente non lineare.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here