Economia circolare per le imprese. Simbiosi industriale per l’obiettivo 9

Costruire un’infrastruttura resiliente consente trasporto veloce di persone e mezzi con un occhio sempre vigile alle emissioni, quello che l’economia circolare può fare per il nono obiettivo di sostenibilità ha a che fare principalmente con le imprese e viene denominata simbiosi industriale

Immagine distribuita da Flickr con licenza CCO

Costruire un’infrastruttura resiliente, promuovere l’industrializzazione inclusiva e sostenibile e sostenere l’innovazione è la richiesta dell’Agenda 2030 per quel che riguarda il benessere sostenibile di imprese e cittadini. Un’infrastruttura inclusiva e sostenibile consente trasporto veloce di persone e mezzi con un occhio sempre vigile alle emissioni; l’industrializzazione inclusiva ridurrebbe i divari e le disuguaglianze tra luoghi del mondo ad alto tasso di crescita (ma insostenibile!) e luoghi abbandonati a se stessi e in decrescita infelice; infine, l’accesso ai mezzi di informazione e comunicazione e la possibilità di usufruire delle innovazioni dell’attuale società digitale dovrebbe essere un diritto primario di tutte le popolazioni.

L’Italia presenta, secondo il rapporto Istat del 2020 che analizza ogni obiettivo dell’Agenda 2030, diversi gap per quel che riguarda l’SDG 9: il divario infrastrutturale tra le regioni del Settentrione e del Centro rispetto al Mezzogiorno, soprattutto per quel che riguarda i trasporti ferroviari, ma anche secondo un altro indicatore dell’obiettivo 9, e cioè l’intensità di ricerca e sviluppo in relazione al Pil. Il Sud Italia, nel decennio 2008-2017 si è assestato sull’1% del Pil, ma anche l’intensità di R&S delle regioni del Nord non risulta competitiva rispetto alla media europea (2,2%). Altro aspetto critico della corsa all’obiettivo 9 nel nostro Paese è la riduzione per valore aggiunto per abitante dell’industria manifatturiera, secondo gli ultimi report AsVis e Istat, che però tengono in considerazione anche la recessione da Covid.

L’ecologia industriale non è un ossimoro

Quello che l’economia circolare può fare per il nono obiettivo di sostenibilità ha a che fare principalmente con le imprese, con il loro portato di innovazione, con la riduzione delle emissioni e con una forma di crescita sostenibile dei territori. La ricetta, ancora poco utilizzata in Italia, ma che pullula di casi di studio sia in Europa che nei paesi in via di sviluppo è la simbiosi industriale, quel sistema in cui i sottoprodotti di scarto di un processo produttivo vengono utilizzati da altri processi, in altre strutture, di solito molto vicine tra loro. La rete interconnessa che si crea è completamente circolare e si ispira proprio ai sistemi naturali in cui materiali ed energia si trasformano a ciclo chiuso senza disperdersi o diventare rifiuto. È proprio rispetto alle materie prime e all’energia che la tecnosfera può imparare dalla biosfera, trasformando i propri processi. La simbiosi e così lo scambio possono costruire un sistema di cooperazione tra le aziende vicine che hanno accesso agli stessi dati dei loro prodotti e processi, e in tal modo possono gestirli senza sprechi. I benefici della simbiosi industriale sono ambientali, economici e sociali. Oltre alla riduzione delle emissioni, stimata in 450 milioni di tonnellate annue, infatti, con un’applicazione sistematica della simbiosi industriale, le imprese europee potrebbero risparmiare l’8% del loro fatturato annuale e creare 580mila posti di lavoro.

L’unione fa la forza

Già dal 2018 l’UE ha indicato la simbiosi industriale come una delle strategie per stimolare una produzione più efficiente soprattutto per l’industria pesante. Per quanto riguarda il nostro Paese si stanno sviluppando e concretizzando molte esperienze di simbiosi industriale grazie anche alla piattaforma messa a punto dall’ENEA che ha l’obiettivo di facilitare l’attivazione di processi circolari tra le imprese mettendo tra loro in comunicazione i vari progetti di questo tipo. Consente inoltre di fare il primo passo per un percorso di ecologia industriale: l’analisi dei processi di input e output delle risorse e – di conseguenza – le informazioni sul punto del processo in cui avviene lo spreco.

L’interdipendenza circolare tra imprese coinvolge diversi fattori: la condivisione di utility e infrastrutture per l’utilizzo e la gestione di risorse, come il vapore, l’energia, l’acqua e i reflui; la fornitura congiunta di servizi per soddisfare bisogni accessori comuni alle imprese connessi alla sicurezza, all’igiene, ai trasporti e alla gestione dei rifiuti; l’utilizzo di materiali tradizionalmente intesi come scarti o sottoprodotti in sostituzione di prodotti commerciali o materie prime.

Il primo settore coinvolto nella simbiosi industriale è l’agricoltura, dove i “biosistemi integrati” che imitano i percorsi dell’ecologia riescono a sfruttare sottoprodotti molto più utili degli scarti di processi industriali: è quello che succede nel Monfort Boys Town Integrated Biosystem realizzato a Suva nelle Fiji dove i rifiuti derivati dal processo di produzione della birra sono utilizzati come substrato per far crescere i funghi che vengono poi utilizzati per decomporre i rifiuti e trasformarli in cibo ad alto valore per l’alimentazione degli animali. I rifiuti generati dai suini o vengono trasformati attraverso un digestore anaerobico e convogliati in appositi stagni dove l’acqua ricca di nutrienti genera cibo per quattro livelli trofici di pesci, oppure usati come fertilizzante per la coltivazione di ortaggi in un meccanismo di circolarità totale.

Parchi ecoindustriali ed esperienze virtuose

L’esperienza più conosciuta di simbiosi industriale che coinvolge il settore agricolo è molto probabilmente quella dell’area industriale di Kalundborg in Danimarca. In questa municipalità si sono realizzati, per la prima volta, in maniera sistemica, diversi percorsi di simbiosi industriale che hanno riguardato risorse come l’acqua, l’energia e una grande varietà di residui industriali che sono diventati materie prime secondarie per altri processi. Questo ecosistema industriale non ha richiesto particolari strumenti di pianificazione, ma è stato realizzato mediante graduali, volontari ed economicamente redditizi accordi bilaterali che hanno coinvolto, dagli anni sessanta in poi, diverse imprese locali (una raffineria, una centrale elettrica, un impianto farmaceutico, un’attività di acquacoltura, l’amministrazione comunale, un produttore di pannelli di rivestimento e diversi produttori agricoli). Un grande ruolo nelle organizzazioni di simbiosi industriale lo ricopre l’assetto normativo: il divieto di smaltire flussi di rifiuti organici in discarica ha portato l’azienda farmaceutica Novo Nordisk, operante in quella località, a cercare accordi con le aziende agricole locali. Nello specifico, la produzione di enzimi a fini farmaceutici richiedeva la fermentazione di particolari componenti come la farina di patate o l’amido di grano, generando elevate quantità di fanghi ricchi di azoto, che sono state cedute come fertilizzanti agli agricoltori locali. Questa sinergia tra settore farmaceutico e agricolo ha evitato, nel corso degli anni, che oltre un milione di metri cubi di fanghi da trattamento delle acque venissero smaltiti in discarica o a mare. Va comunque precisato che i rifiuti aventi natura prevalentemente organica (come l’effluente dalla fermentazione di prodotti farmaceutici o birra), così come i sottoprodotti agricoli o forestali, prima di essere utilizzati come mangimi o fertilizzanti devono essere opportunamente trattati.
Kalundborg è un parco industriale “bottom-up” con all’attivo circa 25 scambi di risorse. La centrale termo-elettrica presente nel parco cede il vapore in eccesso alle aziende Equinor e Novo Nordisk; cede il calore con sistema di teleriscaldamento alla città di Kalundborg e rilascia a Gyproc (cartongesso) 80.000 t/anno di gessi residui dell’abbattimento dello zolfo. Riceve inoltre dalla raffineria Equinor acque di scarico trattate da utilizzare come acque di raffreddamento e infine recupera acqua piovana accumulandola in laghetto artificiale.

Ma come funziona la sinergia industriale?

I fattori chiave per la simbiosi industriale sono la collaborazione tra attori e le possibilità sinergiche offerte dalla vicinanza geografica (Chertow 2000). Diverse possono essere le modalità per condividere le risorse: scambio di sottoprodotti (dove per sottoprodotti e  residui di produzione, si intende non solo materia ma anche energia, ad esempio il calore altrimenti disperso, condivisione infrastrutture, sistemi di approvvigionamento idrico, energetico o termico o impianti di trattamento delle acque reflue),  approvvigionamento condiviso di servizi, come posso essere i servizi ausiliari (impianti antincendio, sicurezza, pulizia, catering e gestione dei rifiuti). Dando un’occhiata ai risultati, dall’analisi di Ellen MacArthur Foundation i risparmi annui per le imprese in simbiosi del distretto di Kalundborg ammontano a: 14 milioni di euro di risparmi, 635.000 t di CO2, 3,6 milioni m3 di acqua, 100 GWh di energia, 87.000 t di risparmio di materia.

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