Coronavirus e inquinamento: effetto casuale o causale?

Sul nesso pandemia da Coronavirus e inquinamento si è letto molto, a volte una affermazione e subito il suo contrario. Tanto da portare il genetista Edoardo Boncinelli a commentare in questo modo su Il corriere della Sera: “La superficialità può causare i danni più profondi”. Superficialità che c’è quando si confonde la casualità di un certo fenomeno, quella che si trova spesso nei “commenti da social”, con la causalità, che deve essere invece dimostrata scientificamente.

Coronavirus e effetto causale sull’inquinamento

Uno degli effetti della pandemia, riscontrato a livello mondiale laddove si sono adottate misure restrittive finalizzate al distanziamento sociale, è quello di una significativa diminuzione delle concentrazioni di diossido di azoto, uno dei principali inquinanti dell’atmosfera.

Nella dimostrazione di questo “effetto causale” la tecnologia digitale ha avuto il suo peso, visto che il calo di inquinamento atmosferico è stato rilevato, da parte degli scienziati del KNMI, analizzando una mappa dell’inquinamento atmosferico di Europa e Cina fornita dal satellite Copernicus Sentinel-5P.

Le immagini da satellite rilevate, tra il 14 e il 25 marzo 2020, mostrano una media mensile di concentrazione di diossido d’azoto molto inferiori rispetto allo stesso periodo del 2019. L’equipe del KNMI ha avviato un’attività di ricerca più approfondita utilizzando dati raccolti a terra, dati meteorologici e modelli inversi, per interpretare in modo corretto l’influenza delle misure restrittive adottate dai diversi Paesi con le concentrazioni di diossido d’azoto rilevate.

Per le stime quantitative dei cambiamenti nelle emissioni dovute ai trasporti e all’industria – ha commentato uno dei ricercatori – dobbiamo combinare i dati dello strumento Tropomi, TROPOspheric Monitoring Instrument, del satellite Copernicus Sentinel-5P con i modelli di chimica atmosferica. Questi studi sono cominciati, ma ci vorrà del tempo per completarli“.

Lo stop, anche economico da Covid-19, sembra aver avuto, pertanto, un impatto diretto sulla riduzione dell’inquinamento.

Mortalità da Coronavirus e inquinamento: un effetto casuale o no?

Nonostante circolino diverse fake news intorno a Covid-19, come quella che lo vorrebbe causato dal 5G (ampiamente smentita ma ancora presente sui social), cominciano a farsi largo anche alcuni studi basati su rilevazioni scientifiche, come per esempio quelli che hanno studiato un nesso di causa-effetto tra zone inquinate del mondo e una più alta mortalità per Coronavirus.

L’inquinamento da polveri sottili, secondo lo studio Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States dell’Università di Harvard, potrebbe aumentare la probabilità di morte in caso di contagio da Coronavirus.

L’analisi statistica di dati sulla concentrazione dei particolati fini rilevati negli ultimi 17 anni su oltre 3.000 contee, incrociati con i decessi Covid-19, hanno evidenziato che ad un aumento di solo 1 μg/m3 di polveri sottili PM2.5 sarebbe associato un incremento di circa il 15% nel tasso di mortalità da Covid-19. Evidenza questa che ricorda quella dimostrata da uno studio analogo, condotto dalla University of California sulla correlazione tra inquinamento in Cina e morti da epidemia Sars.

Secondo i ricercatori “esiste una grande sovrapposizione tra le cause di decesso dei pazienti Covid-19 e le malattie che sono legate all’esposizione a lungo termine al particolato fine (PM2.5), che influisce negativamente sul sistema respiratorio e cardiovascolare”. Tanto che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta la probabilità che si vada incontro, quando ci si ammala di Coronavirus, a complicazioni quale, per esempio, la necessità di essere ricoverati in terapia intensiva.

Andando a guardare la situazione italiana, i ricercatori Dario Caro dell’Università di Aarhus, Bruno Frediani e Edoardo Conticini dell’Università di Siena hanno pubblicato un articolo scientifico su Environmental Pollution che analizza proprio la correlazione fra inquinamento e letalità per Coronavirus. Le ricerche sono state fatte confrontando i dati del satellite Aura della Nasa con il cosiddetto Air Quality Index, un indice della qualità dell’aria sviluppato dall’Agenzia europea dell’ambiente che raccoglie dati da migliaia di stazioni in tutta Europa, per arrivare alla conclusione che gli abitanti di Lombardia ed Emilia Romagna sono esposti a un livello più elevato di inquinamento atmosferico che potrebbe essere causa di complicazioni per i pazienti Covid-19.

In quell’area – ha commentato Dario Caro – vivono tantissime persone con malattie pregresse, anche respiratorie, dovute all’inquinamento. Noi sappiamo che i decessi legati al Covid-19 sono per lo più causati da gravissime polmoniti, la cosiddetta sindrome da distress respiratorio acuto (Ards), che sua volta è causata da un rilascio massivo di citochine infiammatorie. Dal punto di vista medico abbiamo notato che nelle popolazioni sottoposte ad alti livelli di inquinamento queste citochine infiammatorie sono persistentemente elevate, anche nei soggetti sani. Quindi, sintetizzando, queste popolazioni partono purtroppo già avvantaggiate nell’avere una problematica che può portare alla letalità del virus“.

Lesson learned?

Se una lezione si può trarre dagli studi che dimostrano alcune correlazioni tra salute e inquinamento, è che la sostenibilità ambientale e gli obiettivi di Agenda 2030 non possono certo passare in secondo piano a seguito dell’emergenza Covid-19. Un monito è arrivato anche da Faith Birol, direttore dell’Agenzia di Parigi, che ha suggerito ai Governi europei di non farsi “distrarre” dall’emergenza, ma di continuare a mettere in campo tutti gli strumenti utili a contrastare i cambiamenti climatici.

Il mondo dopo il COVID non sarà quello che conoscevamo” – commenta Stefano Epifani, autore di Sostenibilità Digitale. “Tuttavia, una lezione l’abbiamo già imparata: cambiare è possibile. Se percepiamo un rischio concreto ed immediato siamo capaci di mutare i nostri comportamenti ed adeguarci alla nuova situazione. Con il coronavirus lo abbiamo fatto, e dovremo farlo ancora di più in vista della fase 2. Dobbiamo ricordarci che l’inquinamento non sta producendo meno morti di quelli del COVID, lo sta solo facendo più silenziosamente ed in tempi più lunghi. Dovremmo partire da questa considerazione per ridisegnare la società post-COVID, una società che dovrà sì pensare a come proteggersi dal virus, ma nel farlo dovrà guardare anche a processi di sostenibilità che tengano conto del fatto che salvarsi dal coronavirus per ammalarsi a causa dell’inquinamento ha davvero poco senso”.

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