Rinnovabili, la strada è aperta: intervista a Giuseppe Tannoia

Lo sviluppo delle rinnovabili, sempre più radicato e veloce, è sotto gli occhi di tutti, pertanto, personalmente almeno dal punto di vista della ricerca e sviluppo, sono ottimista rispetto al raggiungimento dei target previsti dal goal 7 di Agenda 2030”. Giuseppe Tannoia, Eni Executive Vice President e Direttore Ricerca e Innovazione Tecnologica Eni, non ha dubbi rispetto all’impatto positivo che le tecnologie hanno e avranno nella decarbonizzazione. “È comunque necessario – precisa –un impegno globale e coordinato, in quanto le emissioni di anidride carbonica di un Paese incidono sul futuro di tutti gli altri”.

Quali le tecnologie sulle quali state investendo per raggiungere l’obiettivo emissioni zero?

Diversi sono i filoni di ricerca sui quali stiamo lavorando. Il primo riguarda il solare, dove conduciamo sperimentazioni sul solare termico (CSP) e sul fotovoltaico organico (OPV), ovvero celle solari, ricavate da materiali organici non inquinanti e stampabili su pellicole sottili come carta, quindi flessibili. Altro filone di ricerca, a medio e lungo termine, al quale stiamo lavorando in collaborazione con MIT, quello della fusione a confinamento magnetico. Non è proprio una fonte rinnovabile quanto piuttosto una inesauribile. In questo caso il combustibile della fusione, infatti, è rappresentato dagli isotopi dell’idrogeno che si trovano nell’acqua per cui ne basta una quantità minima per estrarre quelli necessari a produrre un quantitativo di energia pressoché infinito.

Il solare fotovoltaico ha raggiunto la maturità? Esistono altre tecnologie che permettono di ampliare lo sfruttamento dell’energia solare?

Il fotovoltaico classico al silicio è da ritenersi sicuramente una tecnologia matura, ancora migliorabile, ma per la quale siamo vicini ai limiti teorici di resa. Adesso, per esempio, molto interessanti sono i pannelli bifacciali, che prendono energia non solo dal sole, ma anche in maniera indiretta dall’albedo, ovvero dalla luce riflessa da rocce, asfalto o altro. Come Eni lavoriamo molto sul solare organico OPV, una tecnologia che utilizza composti organici come generatori di energia elettrica, con il vantaggio di essere flessibile e leggerissimo. Volendo dare un’idea, a parità di kW prodotti, il solare organico pesa fino a 100 volte di meno di quello tradizionale. Inoltre, si può utilizzare per rivestire pareti o tetti, oltre che essere trasportato in modo molto semplice. Nel nostro Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara, per esempio, abbiamo installato 1,2 kW di solare organico su un lato di un capannone industriale che praticamente non occupa spazio, visto che la parete era già esistente. Altro vantaggio è riferibile al fatto che questo tipo di tecnologia è in grado di produrre energia per un maggiore numero di ore all’interno della giornata, quasi il 20% più a lungo rispetto ai pannelli al silicio, nonostante ci sia uno svantaggio in termini di efficienza rispetto alla superficie occupata. Il solare organico, infatti, produce 4 volte meno rispetto al fotovoltaico tradizionale, ma è in grado di sfruttare anche la luce diffusa, all’alba, al tramonto o quando ci sono nuvole o nebbia. Ma come Eni abbiamo già sviluppato materiali che riescono a raggiungere il 12% in termini di efficienza – non troppo lontano dal silicio – e, insieme a MIT, stiamo lavorando ad altri materiali, tipo perovskite, in grado superare il 25% di efficienza. Questa tecnologia, inoltre, è stampabile, ovvero la parte fotoattiva che produce energia viene stampata in strati sottilissimi di particolari inchiostri su fogli di plastica. Per questo potenzialmente può arrivare a costi molto ridotti e in termini ambientali comporta molte meno emissioni, visto che non necessita delle elevate temperature necessarie all’ottenimento del silicio cristallino e della successiva catena di produzione dei pannelli tradizionali.

Come innovazione e ricerca possono migliorare le modalità di accumulo nelle rinnovabili?

Uno degli svantaggi delle rinnovabili, eoliche e solari, è proprio legato alla intermittenza di queste fonti e quindi alla necessità di impiegare batterie che possano immagazzinare in modo sicuro ed economicamente sostenibile grandi quantità di energia elettrica. In Eni, sempre a Novara, lavoriamo su varie tipologie di accumulo come, per esempio, le batterie a flusso che permettono di ottimizzare separatamente l’accumulo di energia e l’erogazione di potenza in funzione dell’applicazione richiesta. Il pilota novarese di batteria a flusso accumula 2.5 kW e alimenta un impianto in continuo della stessa potenza per 10 ore, cioè 25 KWh di energia. In termini di costi, se la paragoniamo a un pacco di batterie al litio utilizzate per scopi industriali, sono già oggi più convenienti. Per utilizzi domestici il costo è ancora alto, ma in tempi brevi si abbasserà e si potrà avere una maggiore diffusione di questo tipo di batteria accoppiandola agli impianti fotovoltaici sui nostri tetti.

Come l’Intelligenza Artificiale contribuisce già oggi a migliorare le rinnovabili?

L’intelligenza artificiale può impattare positivamente in diversi modi sulle rinnovabili, per esempio, attraverso gli smart grid, andando a regolare e ottimizzare i flussi sulla rete elettrica, al fine di ridurre al minimo i problemi legati alla intermittenza di solare ed eolico e minimizzare la necessità di compensare gli squilibri della rete con centrali termoelettriche. Una seconda interessante applicazione riguarda la progettazione di un’altra serie di tecnologie rinnovabili, quelle che sfruttano il moto ondoso. In questo caso l’AI individua il migliore assetto dei nostri sistemi di produzione in funzione delle condizioni marine, che possono essere previste con grande precisione. Per concludere, come detto in premessa, le tecnologie ci sono, la strada è aperta, adesso è necessario uno sforzo globale.

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