Brucia l’Australia. Cosa può fare la tecnologia digitale? E l’uomo?

Circa 10 milioni di ettari di territorio bruciato, 6.000 edifici e 2.000 abitazioni coinvolte, 100.000 sfollati, 28 morti e una stima di un miliardo di animali selvatici, tra cui 8 mila koala, vittime degli incendi, che stanno devastando l’Australia del sud da ottobre ad oggi. Incendi che hanno coperto zone molto più estese di quelle coinvolte nei roghi avvenuti in Amazzonia lo scorso anno e in California nel 2018. Il fumo ha coperto più di 20 milioni di Km quadrati e, secondo quanto riportato dalla Nasa che sta monitorando tramite satellite le conseguenze del fuoco, farà almeno un giro completo intorno al globo.

Vite, speranze, sogni in cenere” aveva commentato in un primo tweet dalla stazione spaziale il comandante Luca Parmitano guardando gli incendi dallo spazio per poi condividerne le immagini. Parlando con i miei compagni di equipaggio, abbiamo realizzato che nessuno di noi ha mai visto incendi di portata così terrificante“, ha commentato ancora Astroluca sul suo profilo.

Fuoco, distruzione, emissioni di CO2

Oltre a tanta vita che se ne va, il MIT, in un articolo, evidenzia come altri danni, meno percepiti, siano già realtà. Gli incendi, infatti, hanno immesso in atmosfera circa 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica, quantità più elevata di quella emessa annualmente, in totale, da 116 Paesi con basse emissioni e 9 volte quella prodotta durante la stagione degli incendi del 2018 da record in California. Secondo il servizio di monitoraggio dell’atmosfera UE Copernicus, queste non sono neppure le emissioni da incendio più elevate rilevate in Australia, visto sono state 600 milioni di tonnellate quelle, per esempio, emesse da settembre ai primi di gennaio durante la stagione degli incendi avvenuti tra il 2011 e il 2012.

Incendi da cambiamento climatico o da piromani?

Sulle cause degli incendi si sono rincorse le notizie, tra chi attribuiva la colpa ai cambiamenti climatici (e ai decisori negazionisti climatici, che negli anni avevano fatto finta di nulla) e chi invece chiamava in causa i piromani, anche per alcune notizie false diffuse in questi giorni che parlavano di oltre 180 persone arrestate, a fronte di una venticinquina realmente coinvolte negli incendi attuali. Il ricercatore della Queensland University of Technology (QUT), Timothy Graham, ha analizzato oltre 300 account che twittavano con l’hashtag #ArsonEmergency, ovvero richiamando l’attenzione su “incendio doloso/colposo”, e notato un comportamento automatico riconducibile all’azione di troll o bot. Tra foto diffuse come attuali, ma relative a incendi passati, e ricostruzioni 3D scambiate per scatti satellitari che davano una percezione sbagliata delle dimensioni degli incendi, diversi sono stati i tentativi di spostare l’attenzione dalle possibili responsabilità del riscaldamento globale.

Se a scatenare gli incendi possono aver contribuito cause differenti – dai fulmini, alla caduta di pali dell’alta tensione, alla mano di qualche piromane – ciò che deve preoccupare è la rapida propagazione del fuoco agevolata dalla siccità nelle zone colpite. Se si guarda la cartina elaborata dall’Australian Bureau of Meteorology si nota come le aree che bruciano da gennaio 2017 a ottobre 2019 hanno sofferto una siccità estrema. Il Forest Fire Danger Index (FFDI), un indice australiano che stima il pericolo d’incendio in un determinato giorno in base alle osservazioni di temperatura, pioggia, umidità e velocità del vento, infatti, è aumentato negli ultimi decenni in molte regioni dell’Australia, in particolare nell’Australia meridionale e orientale. Nel Climate Report 2018 australiano si legge che il cambiamento climatico ha contribuito al peggioramento delle condizioni di incendio della nazione, visto che le temperature medie sono aumentate di oltre 1 ° C dal 1910 ad oggi.

La tecnologia digitale cosa può fare per prevenire, monitorare, bloccare gli incendi?

Se è vero che la disinformazione ha sfruttato la Rete e i social network per diffondersi rapidamente e arrivare a molti utenti, il digitale ha permesso e permette a chi ama informarsi basandosi sui dati di rimanere aggiornati sulla situazione degli incendi nel mondo, consultando il sito Global Forest Watch Fires, dove è possibile fare ricerche su specifiche aree geografiche di interesse o in riferimento a un intervallo di tempo stabilito.

Oltre all’informarsi su ciò che sta avvenendo, la combinazione tra Intelligenza Artificiale e Big Data viene già utilizzata oggi in alcuni contesti per prevedere le zone a più alto rischio di incendio e monitorarle.

Altra interessante applicazione, quella lanciata dalla startup Descartes Labs che, attraverso l’utilizzo di immagini satellitari e AI, è in grado di individuare un incendio in soli 9 minuti (a fronte delle ore adesso necessarie prima di accorgersi di un rogo). 9 minuti, destinati a ridursi grazie all’evoluzione dell’intelligenza artificiale impiegata, e in grado di salvare vite umane intervenendo prima che l’incendio diventi indomabile.

Molto può la tecnologia, dunque. E molto può l’uomo per evitare – come sottolineato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres nel corso della cerimonia che ha designato Lisbona capitale verde d’Europa per il 2020 – di combattere “una guerra suicida contro la natura che reagisce e risponde con uragani, incendi e gravi siccità in molte regioni del mondo“.

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