“In giorni infettati dal Covid-19 che ha espanso la sua corsa attraverso il pianeta costringendo in quarantena miliardi di persone per proteggerci da un nemico invisibile, in giorni passati computando la inarrestabile espansione del contagio, commuovendoci per i morti e valutando le drammatiche conseguenze anche sull’economia, molti non vedono l’ora che la crisi passi perché tutto torni come prima. Alcuni, invece, non vogliono che tutto torni come prima, perché è quello che facevamo prima che ha co-generato la pandemia, perché sono stati anche i nostri comportamenti a cacciare il virus dal suo ambiente silvestre, offrendogli una nuova specie da infettare, e poi anche aiutandolo ad espandersi correndo lungo le linee del nostro mondo malato in cui ci illudevamo di essere sani, come ha ricordato Papa Francesco nella sua dolente e potente benedizione Urbi et Orbi del 27 marzo”. Maurizio Carta, urbanista, architetto e professore ordinario di urbanistica del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo, sottolinea in questo modo la necessità di ripensare alle città, ridisegnarle, ripensarle avendo come obiettivo la sostenibilità ambientale, sociale ed economica. “La pandemia – continua – è anch’essa figlia del cambiamento climatico, e mette drammaticamente in crisi un modello di sviluppo insostenibile, eccessivamente fondato sul consumo di suolo, sulla finanza e sull’espansione metropolitana, su una forsennata accelerazione della crescita invece che su una corretta relazione ecologica con il pianeta e sulla riduzione delle diseguaglianze. La pandemia, quindi, ci sollecita a usare tutta la nostra audacia per cambiare i vecchi orizzonti di crescita quantitativa senza qualità, coltivando un’evoluzione dell’economia civile, una cultura del bene comune, dei beni relazionali e ambientali, avanzando una proposta di azione condivisa che preveda tempi e modi di attuazione diversi. Ma, soprattutto, dobbiamo cambiare il modo stesso di abitare il pianeta, ripensando sia il rapporto delle città con gli ecosistemi naturali, sia i rapporti tra spazi domestici, luoghi pubblici, mobilità e sistemi produttivi, tornando a progettare città salubri e sicure. Insomma, a un nuovo modello di sviluppo ecologico dovrà corrispondere un nuovo progetto di città a prova di pandemia (questa, ma anche la prossima, o la prossima crisi ambientale)”.
Come potrebbero essere le città nel post COVID? Quali le caratteristiche della mobilità che diventa “smart”?
Dobbiamo cominciare a pensare in termini di “città aumentate” (come descrivo nel mio libro Augmented City. A Paradigm Shift) che per me sono lo strumento per entrare nel Neoantropocene generativo e collaborativo, superando il Paleoantropocene erosivo e dissipativo che ha caratterizzato la società – e la città – industriale dell’Ottocento e del Novecento (ne parlo abbondantemente anche su Futuro, Rubbettino, 2019). La città aumentata pretende un salto di paradigma in tutti i settori e cicli di vita, ma forse è la mobilità una delle sfide più importanti, poiché essa è ancora ferma al modello novecentesco della macchina privata inquinante. Serve un modello urbano in cui la mobilità sostenibile sia il propulsore più efficace del cambiamento. Nuove infrastrutture per il trasporto collettivo e slow per connettere una città sempre più policentrica e reticolare che concorrano non solo a soddisfare gli attuali fabbisogni di mobilità (che nel post Covid-19 muteranno), ma siano indispensabili attivatrici di nuovi stili di vita e abilitatrici di opportunità per generare attorno ad esse nuovi spazi, socialità e diritti.
In Italia, tranne rare eccezioni, le città si dibattono in un grave deficit infrastrutturale, sia in termini di dotazione, che di innovazione che di sicurezza e in un drammatico gap di qualità ed efficacia per quanto riguarda la mobilità. Per rimediare non dobbiamo solo accelerare l’innovazione, ma soprattutto farlo nella direzione giusta. Serve un investimento politico, economico, urbanistico e culturale sull’innovazione verso una mobilità sostenibile, con particolare attenzione alle tecnologie digitali per i trasporti intelligenti.
Le città aumentate integrano i diversi modi di trasporto collettivo e condiviso (ferrovie, metropolitane, tram, bus, car-sharing, bike-sharing, etc,) in un sistema unitario di offerta, garantendo elevata qualità delle interconnessioni, e sostenendo l’integrazione attraverso un’urbanistica e una politica per la mobilità coerenti: accessibilità ai nodi delle stazioni di interscambio, sviluppo di corsie preferenziali, istituzione di “zone 30” sono tutte componenti determinanti per accompagnare il necessario mutamento nelle preferenze di mobilità dal trasporto individuale (egoista) alla mobilità sostenibile (sociale).
La tecnologia digitale applicata ai trasporti renderà le persone più intelligenti nei comportamenti: partiremo da casa in bicicletta, monopattino o con una piccola auto elettrica condivisa, lasceremo il mezzo in una stazione del tram o della metropolitana, raggiungeremo una stazione per prendere un aereo o un porto per imbarcarci e a destinazione c’è già un’auto condivisa – presto a guida autonoma – che ci aspetta per portarci a destinazione, per poi “andarsi a cercare” un altro passeggero, tutto sulla punta delle dita possedendo uno smartphone invece che un’auto.
Non sottovalutiamo, infine, che la sempre più avanzata interconnessione digitale delle auto e dei mezzi pubblici produrrà a breve una mole straordinaria di dati sulla vita urbana – raccolti e scambiati in tempo reale dalle vetture – e che saranno la base sia del prossimo salto infrastrutturale che della rivoluzione urbanistica basata sulla conoscenza distribuita e condivisa.
La rivoluzione infrastrutturale delle città aumentate genererà, inoltre, un prezioso dividendo spaziale dalla rimodellazione delle infrastrutture, delle aree di parcheggio e dei nodi di interscambio, dalla pedonalizzazione e ciclabilità: nuove architetture sotterranee della “città-mangrovia”, nuovo spazio pubblico della “città-arcipelago”, spazi sottratti alle auto che si ritornano luoghi per le persone, necessarie estensioni dell’abitare da riprogettare e riconfigurare, come sta accadendo nel Poble Nou di Barcelona con il progetto Superilla, a Madrid con il Proyecto Madrid Centro, a Parigi e a Milano con la “città dei 15 minuti”.
Infine, in tema di mobilità sostenibile è necessario raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi non solo per la riduzione delle emissioni, ma anche per la convergenza verso modalità di trasporto che promuovano l’innovazione energetica da fonti rinnovabili, generando anche un benefico surplus energetico per illuminare, ad esempio, un quartiere o un lungomare.
Quali sono le tecnologie digitali che possono aiutarci a cogliere le opportunità che ci permetteranno di ripensare la nostra società?
Abbiamo dolorosamente toccato con mano che i servizi urbani sono stati i primi ad essere colpiti nelle situazioni di emergenza e, quindi, sono i primi a dover essere migliorati e potenziati per contribuire a gestire la crescente complessità urbana, garantendo in tal modo comunicazioni, relazioni, diffusione delle conoscenze e servizi alla cittadinanza senza interruzioni e anzi concorrendo alla prevenzione dei rischi, alla gestione dell’emergenza e alla riattivazione delle attività. E, come abbiamo sperimentato nei giorni del lockdown, la trasformazione digitale ha consentito di sopperire alla mancata erogazione fisica di numerosi servizi, facendo compiere un salto di innovazione all’Italia che auspicavamo da tempo: smart working e e-learning sono diventati la nostra quotidianità. Adesso dobbiamo fare un ulteriore salto per mettere a sistema la digitalizzazione compiuta e sperimentare la digital governance, per promuovere una politica di governo del territorio, in particolare delle città, più senziente perché capace di usare la grande mole di dati a disposizione, più intelligente nell’aggregare dati e settori e più dialogica per estendere la partecipazione dei cittadini al campo della co-responsabilità. Una città in grado di interagire in tempo reale con gli obiettivi di innovazione, competitività e coesione perseguiti dagli attori sociali, civili ed economici. Una trasformazione digitale applicata alle politiche urbane ci potrebbe permettere di accelerare il cambio di modello di sviluppo post pandemia di cui ho parlato prima. Serve aggregare in modo intelligente dati e conoscenze per convertirli in diversi output: dispositivi intelligenti (IoT), mobile apps per la gestione urbana e dashboard civiche per una gestione efficace dei diversi campi e cicli di vita della città. Questi strumenti potranno fornire una risposta efficace alle diverse esigenze della comunità (elaborazione delle politiche, regolamentazione, fiscalità, servizi per la famiglia, mobilità, manutenzione degli edifici, qualità ambientale, innovazione, alloggio, gestione urbana, pianificazione dello spazio).
Sono convinto che dobbiamo sperimentare questa innovazione digitale delle politiche urbane in diverse realtà locali, attivando progetti sia di innovazione digitale, sia di innovazione sociale, che di trasformazione spaziale volti anche a promuovere la creazione di reti di città che applichino un protocollo comune e lo estendano alla scala regionale. I vantaggi della trasformazione digitale nei processi di pianificazione e gestione sono oggi evidenti, poiché le mappe, i dati e i modelli di valutazione stanno diventando sempre più un patrimonio comune: l’integrazione delle tecnologie web e wiki con le applicazioni GIS e BIM e con i processi di data analytics è un modo molto fruttuoso per migliorare le possibilità di interazione costruttiva tra i cittadini, i decisori politici e le competenze professionali in gioco nei processi di pianificazione e gestione urbana. I dati aperti, la mappatura collaborativa e i sistemi georeferenziati sono fondamentali per i processi decisionali a livello locale e regionale, facilitando le decisioni degli attori istituzionali e imprenditoriali, ad esempio condividendo la conoscenza del territorio, incoraggiando un rapido monitoraggio delle procedure amministrative, facilitando risposte differenziate. E nei prossimi giorni dopo la pandemia avremo bisogno di semplificare e accelerare molte procedure, ma anche di renderle solide ed efficaci perché supportate dalla conoscenza dei dati e degli impatti.
L’aggregazione e la condivisione di banche dati, inoltre, potrà incoraggiare partenariati pubblico-privati e il project financing mettendo a disposizione dei decisori, delle amministrazioni e delle imprese dati, informazioni e studi di fattibilità o garantendo contributi multiutility. Inoltre, la condivisione multipiattaforma dei dati aumenta le opportunità per nuove attività lavorative, il che significa aprire nuovi spazi per l’istruzione superiore, l’educazione permanente e il riposizionamento di ampie categorie professionali di lavoratori, in particolare dei giovani.
Quali le sfide del dopo?
Superata la prima fase emergenziale di ricostruzione del tessuto economico e sociale devastato dal lockdown e dalla pandemia, bisognerà indirizzare il finanziamento pubblico (ma anche molte risorse private) a quelle azioni che attivino lo sviluppo ecologico, l’economia circolare, l’eguaglianza, coinvolgendo la responsabilità dei molteplici attori necessari. Sarà necessario dare un impulso economico poderoso anche attraverso finanziamenti a fondo perduto e altre forme di credito agevolato, attraverso semplificazioni burocratiche e de-fiscalizzazione alle azioni dei singoli e delle imprese che concretamente perseguano i tre obiettivi che abbiamo ritenuto inderogabili per un’Italia antifragile che impari dalla crisi. Si tratta di obiettivi semplici, adattivi ai diversi contesti e alle diverse scale dell’azione di cambiamento per il miglioramento della qualità della vita e la valorizzazione delle risorse delle società e dei territori locali. Ogni obiettivo prevede di essere raggiunto attraverso alcune sfide da perseguire e combattere quotidianamente, perché possano generare progresso, emancipazione sociale, benessere e spazi di vita ad elevata qualità ambientale.
Il primo obiettivo è migliorare la governance, la coesione sociale e il welfare, agendo sull’educazione e l’eliminazione del digital divide, sulle infrastrutture digitali e lo sviluppo di tecnologie abilitanti, sulla condivisione degli open data. Serviranno spazi sociali ibridi e politiche per la valorizzazione della cultura, del paesaggio, del saper fare locale. Dovremo incentivare la diffusione territoriale dei presidi sanitari, ma anche azioni per la felicità delle persone e la bellezza degli ambienti di vita e azioni di contrasto alle disuguaglianze sociali e territoriali.
Il secondo obiettivo è promuovere la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, attraverso la sfida del controllo delle emissioni climalteranti e l’uso di energia da fonti rinnovabili, il riciclo dei rifiuti. Serviranno piani di adattamento climatico e la progettazione di città “climate proof” e a prova di crisi. Infine, il terzo obiettivo è progettare un habitat sostenibile, che significa garantire nessun aumento dell’urban footprint (il consumo di suolo) attraverso politiche di riciclo-rigenerazione (invece che demolizione e ricostruzione). Significa promuovere il riuso del patrimonio insediativo esistente, la riorganizzazione della mobilità privata urbana, e il rafforzamento della salubrità e benessere. Significa valorizzare le risorse ambientali e i dispositivi paesaggistici attraverso le infrastrutture verdi e blu, e prendersi cura dello spazio pubblico come spazio salubre. Anche gli spazi domestici e gli spazi di quartiere dovranno essere più flessibili e capaci di accogliere i nuovi stili di vita. Così come dovremo perseguire politiche di sviluppo delle aree interne e di montagna come luoghi da riabitare in salute, non come rifugi temporanei, ma come “colonie” del nuovo mondo ecologico.
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