Ricordate il “MessagePad”? Correva l’anno 1993 e in una sala affollata di Las Vegas il vecchio CEO di Apple, John Sculley annunciò il lancio di un computer palmare portatile estremamente evoluto: dal punto di vista software era caratterizzato dal riconoscimento della scrittura a quello vocale, dalla navigazione su internet agli applicativi base e introduceva anche un touchscreen da 5 pollici resistivo via stilo. Eppure, il declamato device che avrebbe dovuto cambiare il mondo del lavoro assistito da pc, non ha avuto una vita facile e, anzi, cinque anni dopo il varo del progetto, Apple chiuse la divisione dedicata ai MessagePad.
L’antesignano dei modernissimi smartphone e tablet, che oggi permeano la nostra vita, non aveva solo un problema di prezzo o di prestazioni non esaltanti ma, come accade in molti casi quando si parla di nuove tecnologie, secondo gli analisti, erano gli utenti a non percepire la reale utilità del nuovo oggetto: in definitiva, le persone non erano socialmente pronte a fare propria la novità. E’ l’ennesima riprova della validità della nota “Regola dei 30 anni” elaborata da Paul Saffo, direttore dell’Institute for Future della California, secondo cui la quantità di tempo richiesta perché nuove idee possano penetrare completamente all’interno di una cultura, è di circa tre decenni. E’ questo il lasso di tempi in cui società e persone si “adattano” e fanno progressivamente proprie le novità, anche quelle tecnologiche, nel loro quotidiano.
Oggi la nuova frontiera è rappresentata dai wearable device che pongono un nuovo quesito: non stiamo rischiando di ritrovarci di fronte allo stesso problema di Apple anni fa? I dati e le proiezioni di vendita per ora ci dicono di no, ma i dati di utilizzo ci mettono in guardia sul fatto che gli utenti non ne percepiscono la reale utilità o li abbandonano dopo pochi mesi di utilizzo. La società di ricerca IDC ha stimato che nel corso del primo trimestre di quest’anno sono stati spediti circa 11,4 milioni di dispositivi indossabili in tutto il mondo e, secondo Cisco, per tutto l’arco del 2014 i suddetti device hanno generato in media un traffico dati mensile 6 volte maggiore rispetto a quello degli smartphone.
In potenza, i wearable hanno la capacità di toccare in maniera significativa la società e la vita quotidiana delle persone, rappresentando un importante elemento di innovazione per molteplici ambiti. Abbiamo qui raccolto cinque modi in cui i wearable potrebbero influenzare (in meglio) le nostre vite:
- Shopping: mai più code e offerte “a caso”. Grazie alle tecnologie indossabili, i retailer potranno rendere più interessanti le esperienze di acquisto dei consumatori, creando offerte personalizzate per i singoli utenti (di cui vengono tracciate abitudini e preferenze), velocizzando i processi d’acquisto e riducendo le code alle casse. In Inghilterra è già possibile, ad esempio, utilizzare l’atteso Apple Watch per il pagamento dei panini da McDonald o il caffè da Starbucks, ma non solo: sarà possibile effettuare transazioni fino a venti sterline per gli acquisti veloci semplicemente avvicinando il proprio orologio intelligente ad un POS.
- Salute e medicina: monitoring a distanza e formazione. Molti medici, come nel 2013 il Dr. Parekh Professor of Clinical Surgery Division of Hepatobiliary Surgery Keck School of Medicine of USC, hanno utilizzato i Google Glass in sala operatoria: da quel giorno, secondo il New York Times, il chirurgo ha adoperato il device per registrare e archiviare tutti i suoi interventi “e presto lo impiegherà per lo streaming dal vivo delle sue operazioni per gli ospedali indiani” a scopi formativi. E come lui anche medici Usa e anche italiani. Ciò vuol dire che le potenzialità dei wearable, nell’ottica dell’Internet of Everything, sono vastissime e lo sono anche in ottica paziente, se è vero che lo scorso anno in America la Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha approvato due app di aziende della Silicon Valley che permettono di monitorare l’attività cardiaca, mettendo a segno un risultato combattuto e costoso che rappresenta una vittoria per l’industria tech applicata alla salute. Senza dimenticare l’avveniristico, forse anche troppo, progetto delle lenti a contatto intelligenti per i diabetici.
- Abbigliamento e fitness: i nostri vestiti ci diranno chi siamo. La capacità di tracciare al meglio le nostre performance sportive attraverso i wearable è già una realtà consolidata. Secondo IDC, Il braccialetto connesso Fitbit, infatti, detiene ben il 34% del mercato dei device indossabili, ma il settore non si limita solo ai braccialetti: come riportato da Mashable, Ralph Laurean ha progettato una t-shirt smart in grado di tracciare i dati biometrici, trasmettendo i dati in real time tramite bluetooth ad uno smartphone. Le applicazioni, ovviamente, non si fermano qui: attraverso i vestiti potremo monitorare gli effetti del regime alimentare che stiamo seguendo, i passi compiuti durante la giornata, la distanza percorsa e molto altro.
- Lavoro: saremo sempre connessi e in modo più “leggero”. Come sostiene John Rampton su Forbes, uno dei vantaggi più pratici dei wearable è che consentono ai dipendenti di ridurre la loro dipendenza dai dispositivi ingombranti e dagli schermi: invece di dover portarsi dietro uno smartphone, un tablet o addirittura un computer, i lavoratori avranno la possibilità di spostarsi più liberamente. Inoltre in alcuni ambienti dove è necessario avere le mani libere, la possibilità di eliminare le periferiche inutili potrebbe essere di vitale importanza (si considerino ad esempio i medici di un pronto soccorso o i vigili del fuoco). Lo dice anche Trend Micro: il 77% delle imprese incoraggia attivamente l’uso di wearable device in azienda.
- Sicurezza dei cittadini: le sperimentazioni della polizia. I wearable sono in sperimentazione presso alcuni dipartimenti di polizia e questo potrebbe cambiare moltissimo l’efficacia e l’efficienza dei tutori dell’ordine (ma anche monitorare eventuali soprusi). A Dubai, ad esempio, la polizia ha iniziato a utilizzare i Google Glass per reprimere le infrazioni del traffico e il dipartimento ha già sviluppato due app personalizzate: una per scattare e inviare le foto dei trasgressori del codice della strada e un’altra per identificare le auto ricercate in base ai dati delle targhe e delle licenze.
Al netto quindi di tutti questi impatti importanti che (in teoria) potranno avere i wearable, come stanno andando effettivamente le cose per gli utenti? C’è davvero questa percezione? Sembra di no. A fronte di buone vendite, l’utilizzo dei device indossabili da parte dei consumatori non sembra essere costante: come riporta Business Insider, infatti, la società di ricerca Endeavour Partners stima che circa un terzo dei proprietari di un wearable Fitbit lo abbandoni dopo appena sei mesi. Inoltre, in un sondaggio condotto da BI Intelligence, il 51% degli intervistati che non hanno intenzione di acquistare uno smartwatch ha affermato che non ne vede l’utilità. Non è certamente solo questa la causa della molta prudenza da parte degli utenti: la stessa ricerca evidenzia nella mancanza di “killer application” e nella limitata funzionalità di molti orologi intelligenti di oggi, possibili freni.
Ma il tasso di “abbandono” dei wearable, è comunque un dato: secondo una ricerca di PwC diffusa alla fine dell’anno scorso, il 33% di chi ha comprato un wearable da più di un anno smette di usarlo, o lo utilizza raramente; probabilmente, affermano gli analisti, l’esperienza registrata non è così coinvolgente da spingere ad un uso continuato. A pesare, in questo caso, anche preoccupazioni per la privacy o di intrusione informatica.
In conclusione, l’importanza dei wearable nella re-ingegnerizzazione dei processi è evidente, dal lavoro alla sanità, dalla sicurezza al mondo dello shopping. Il problema però rimane: per quanto la tecnologia sia sviluppata e le potenzialità evidenti, la società è pronta a questi cambiamenti? O siamo di fronte ad un nuovo “MessagePad” ma su vasta scala (e con rischi di mercato, quindi, ancora più grandi)?
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