Salviamo agricoltura e foreste, anche con il digitale? Intervista a Francesco Martella

Si chiama carta di Matera ed è un manifesto sottoscritto come atto finale del congresso nazionale dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali (Conaf), incentrato su 4 ambiti: sicurezza alimentare; città vivibili; sicurezza ambientale; gestione sostenibile delle foreste. “Abbiamo delineato, per ognuno dei quattro goal presi in esame, il contributo fattivo che la nostra categoria può dare al fine di raggiungere i vari target” – spiega Francesco Martella, Presidente della Federazione regionale dottori agronomi e dottori forestali Umbria. “Nella carta di Matera sono stati delineati anche i fabbisogni formativi della categoria necessari a migliorare, approfondire e reinterpretare le nostre competenze in funzione del raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030 e quindi funzionali a progettare traiettorie di sviluppo in chiave sostenibile. Come categoria, infatti, abbiamo approcciato in maniera sistemica il tema della sostenibilità già da diversi anni, e a Matera abbiamo posto l’attenzione verso un’evoluzione delle nostre competenze professionali in chiave sostenibile”.

Come si declina la sostenibilità nel settore agricolo e forestale?

La sostenibilità in campo agricolo e forestale può essere declinata contemporaneamente secondo tre direttrici imprescindibili: economica, ambientale, sociale. Un processo agricolo deve produrre un valore aggiunto rispetto agli input impiegati, un reddito per l’impresa che lo realizza, perché qualora sia in perdita porta all’abbandono dell’attività e del territorio. Ma un processo agricolo deve avere una valenza ambientale; i nuovi modelli di sviluppo e produzione agro zootecnica non possono non tener conto del rispetto dell’ambiente, soprattutto oggi dove aumenta la quota di consumatori attenta a questi temi, disponibile a pagare qualcosa in più per un prodotto rispettoso dell’ambiente. L’analisi dei consumi, infatti, ci dice che aumenta la richiesta di prodotti bio e a residuo zero e ci dice che c’è un nuovo mercato, per esempio, per i prodotti con un’impronta carbonica ridotta, ottenuti con la riduzione dell’utilizzo d’acqua. Sempre più importante, poi, la sostenibilità sociale, ovvero il rispetto dei lavoratori, la remunerazione del lavoro con salario adeguato, tanto che cominciano a essere una realtà le imprese che si certificano o sottoscrivono protocolli per l’adozione di pratiche anti sfruttamento dei lavoratori.

Quali sono i goal di Agenda 2030 dove siamo posizionati meglio e quali quelli per i quali c’è ancora molto da fare?

A livello globale i risultati non sono esaltanti, tutt’altro. In base a quanto riportato nel rapporto presentato dall’Onu nel luglio 2019, il raggiungimento degli obiettivi fissati nel 2015 sono molto lontani. Se il mondo migliora con la stessa velocità che ha avuto dal 2016 a oggi è facile immaginare che il risultato del 2030 sarà disatteso. Basti pensare che l’Europa è il continente più sostenibile ma, nonostante questo, secondo il Rapporto presentato dall’Unione Europea nel giugno 2019 ci sono 9 goal per i quali le attività messe in campo sono ancora insufficienti: 6, Acqua pulita ed igiene, 7, Energia pulita ed accessibile, 8, Lavoro dignitoso e crescita economica, 9, Industria innovazione e infrastrutture, 10, Ridurre le diseguaglianze, 11, Città e comunità sostenibili, 12, Consumo e produzioni responsabili, 13 Agire per il clima e 14, La vita sott’acqua. Per quanto riguarda l’Italia ASviS, nel suo ultimo rapporto, ci prospetta segnali incoraggianti. Il nostro Paese migliora in nove aree, peggiora in sei e per due resta stabile. Peggioriamo innanzitutto su obiettivo 1, Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo, visto che si registra un aumento della povertà assoluta e relativa. Se guardiamo a obiettivo 8, Incentivare una crescita duratura inclusiva e sostenibile, in Italia si è registrata una situazione altalenante: questo indicatore è peggiorato fino al 2014 a causa dell’aumento della disoccupazione e della quota dei giovani NEET, mentre dal 2015 si è cominciato a registrare un lento recupero. Su obiettivo 11, rendere città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili, il confronto degli indicatori italiani rispetto ai valori del 2010 sono ancora negativi, nonostante si registri una ripresa negli ultimi tre anni. Anche su obiettivo 14, Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine, l’andamento è altalenante e su obiettivo 15, Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, si va veramente male. Questo è l’indicatore che detiene l’andamento peggiore, con una tendenza costantemente negativa, dovuta in modo particolare alla frammentazione del territorio e alla copertura del suolo, nonostante migliori solo l’indice di boscosità. Siamo in miglioramento per l’obiettivo 2, porre fine alla fame e raggiungere la sicurezza alimentare, visto che negli ultimi anni è migliorata la produzione per unità di superficie, e si è ridotto il consumo di prodotti fitosanitari.

Le tecnologie digitali hanno cambiato il lavoro dell’agronomo e il modo di produrre in agricoltura. In quale modo?

Su questo è necessario distinguere due macro ambiti di applicazione delle tecnologie digitali in campo agro zootecnico. In un caso parliamo dell’applicazione del digitale per la raccolta, l’analisi e l’utilizzo di dati importanti: per esempio quelli necessari al monitoraggio dei processi aziendali, alle produzioni e consumo di input, oltre a quelli riferiti ai rapporti con la pubblica amministrazione (quaderno di campagna, registri di stalla, assegnazione carburante, fatturazione elettronica). Una corretta gestione del flusso di informazioni consente di semplificare l’attività tradizionale e velocizzare il calcolo degli indici di perfomance tecnica ed economa dell’azienda, oltre a consentire il confronto con aziende dello stesso segmento e territorio. Altre applicazioni interessanti sono quelle relative all’introduzione dei sistemi informativi finalizzati alle certificazioni e all’interscambio lungo la filiera per la tracciabilità e l’agricoltura di precisione, con due grandi campi applicativi: l’automazione delle operazioni colturali da una parte, e i sistemi di supporto alle decisioni basate sull’elaborazione di informazioni provenienti da fonti satellitari, droni, sensori e così via. Questa nuova agricoltura comporta nuove conoscenze anche per il dottore agronomo, intese come capacità di lettura e interpretazione di grandi moli di dati finalizzata anche alla previsione di situazioni future e al miglioramento della qualità delle produzioni, soprattutto in chiave di sostenibilità ambientale, economica e sociale e in termine di riqualificazioni del lavoro.

Come nuove conoscenze e competenze possono contribuire al raggiungimento degli SDGs?

Certamente la conoscenza puntuale dell’ecosistema agrario e del contesto agro-climatico consente di migliorare l’uso delle risorse naturali. Basti pensare alla razionalizzazione dell’uso dell’acqua e alla scelta di “input” che, nei diversi contesti, hanno il minor impatto ambientale. L’agricoltura di precisione, del resto, non sostituisce né l’agricoltore né il tecnico, ma fornisce un supporto in termini di dati e capacità di elaborazione degli stessi. Per questo un agronomo oggi deve possedere competenze di informatica almeno di base. Dopodiché le aziende e le organizzazioni devono passare dall’approccio secondo filiera ad un approccio di sistema che tenga conto di un modello di organizzazione complessa. E’ importante ritrovare la capacità di interlocuzione con l’agricoltore, condividendo lo stesso linguaggio. L’agronomo deve tornare ad essere l’interfaccia tra agricoltore e il mondo dell’innovazione e ricerca, deve assolvere al compito di facilitatore per l’introduzione dell’innovazione nelle imprese. Questa è una competenza che dobbiamo recuperare attraverso percorsi di formazione continua.

Quale a suo avviso la tecnologia digitale che più di altre contribuirà al miglioramento del settore agricolo e forestale?

Sicuramente è l’insieme delle tecnologie a fare la differenza: dalle satellitari, ai droni, ai Big Data che consentono previsioni a medio e breve termine sempre più attendibili, fino ad arrivare a Blockchain e Intelligenza Artificiale. Ma per la giusta diffusione delle tecnologie digitali dobbiamo affrontare due questioni: la prima è di natura economica, visto che il costo ne limita a volte l’accesso, come nel caso di produzioni a basso valore aggiunto. Su questo sarebbe necessaria una politica di incentivazione. La seconda questione è altrettanto determinante e su questo ci stiamo lavorando: la formazione continua, professionisti compresi.

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