Il cloud computing come strumento a sostegno della decarbonizzazione

Secondo le stime 2020 della Telco britannica Colt Technology Services Il mercato globale del cloud computing dovrebbe raggiungere entro il 2021 un valore pari a 295 miliardi di dollari, con una crescita rispetto al 2019 (nonostante le difficoltà causate dall’emergenza Covid) pari al + 12,5%. Questo perché sempre più aziende, hanno compreso il potenziale di redditività del cloud computing in termini di riduzione delle spese, flessibilità ed efficienza.

Ma il cloud computing oggi consente anche di rendere sostenibili a livello ambientale gli attuali standard produttivi delle imprese mondiali, dando vita a nuovi modelli di business incentrati sulla riduzione delle emissioni di CO2.

Stando alle analisi del World Economic Forum, infatti, in futuro la connettività sarà sempre più un fattore chiave per molte delle soluzioni climatiche “virtuose”, cioè quelle in grado di generare “effetti esponenziali” sulla riduzione dei gas serra, portando le tecnologie digitali nel loro complesso a giocare un ruolo chiave per una riduzione pari al 15% delle emissioni globali.

In questo scenario, infatti, il cloud computing, assieme all’automazione industriale, alle reti mobili inclusa la rete 5G, all’Intelligenza Artificiale e all’IoT, può rappresentare il quadro tecnologico ed infrastrutturale di riferimento per l’efficentamento delle reti energetiche e produttive su scala globale.

Con simili soluzioni nei settori dei servizi, dei trasporti, dell’energia, dell’industria manifatturiera e dell’agricoltura, stima il World Economic Forum che si potrebbe raggiungere con il solo impatto positivo delle tecnologie digitali una riduzione complessiva delle emissioni globali di carbonio pari all’impronta carbonica di Stati Uniti ed Unione Europea messe assieme.

Ma qual è l’impatto sul clima delle tecnologie digitali?

Da una interessante ricerca condotta dalla Ericsson, emerge un’analisi del potenziale impatto sul clima del settore dell’ICT, che può essere classificato secondo la compagnia svedese secondo tre aspetti:

  • Le emissioni dirette di carbonio associate alla produzione, all’uso e allo smaltimento dell’ICT (la vera impronta carbonica dell’ICT). Questo include i dispositivi degli utenti come smatphone, computer e piccoli router domestici; tutte le parti delle reti fisse e mobili; ed i Data Center che includono anche le reti aziendali.
  • Gli effetti indiretti (positivi o negativi) derivanti dall’uso delle tecnologie ICT, come ad esempio, la riduzione dei viaggi e degli spostamenti o ottimizzazione dei trasporti.
  • L’impatto dei comportamenti e delle scelte individuali legate al modo in cui conduciamo la nostra vita a livello sociale ed individuale.

Secondo i calcoli di Ericsson, l’impronta carbonica del settore ICT nel suo insieme è pari a circa l’1,4% delle emissioni globali di gas serra, compreso l’intero ciclo di vita di tutte le componenti del settore. In cifre reali, si tratta quindi di circa 730 milioni di tonnellate di CO2-eq. Anche se l’impronta di carbonio del settore ICT è aumentata fino al 2010, da allora è rimasta abbastanza costante nonostante il numero crescente di utenti ICT in tutto il mondo e la crescita esponenziale del traffico dati.

Fonte: Ericsson research

Il Cloud computing protagonista della decarbonizzazione attraverso i Green Data Center

Un fattore chiave per rendere il cloud computing centrale rispetto alla decarbonizzazione risiede nello sviluppo sempre più ampio dei green data center.

In questo l’Italia può vantare degli esempi virtuosi notevoli come, ad esempio, il Green Data Center di Eni a Ferrera Erbognone, in provincia di Pavia, che racchiude tutti i sistemi informatici centrali di elaborazione di Eni, sia l’informatica gestionale che le applicazioni Oil & Gas. Ospita al suo interno da febbraio 2020 anche l’HPC5 (High Performance Computing 5), e il suo predecessore l’HPC4, il primo dei quali si conferma uno dei supercomputer più potenti del mondo. Per l’esattezza, il sesto più potente a livello globale, il primo in Europa ed il primo in assoluto fra i sistemi non governativi. Una struttura interamente concepita in favore della sostenibilità energetico-ambientale da Eni, prodotta e realizzata con know-how italiano.  “Il nostro Green Data Center – ricordano dalla stessa Eni – è stato sviluppato con l’obiettivo di garantire altissima affidabilità per tutte le esigenze informatiche aziendali ed ottenere risultati di efficienza energetica “green”, registrando fin dalla sua inaugurazione, nel 2013, risultati di assoluta eccellenza mondiale”.

Anche Aruba, leader nel settore per i servizi cloud a privati e imprese, ha da tempo accettato la sfida dei “green data center” in Italia, ed ha inaugurato in un comune alle porte di Milano il suo Global Cloud Data Center, interamente alimentato da pannelli fotovoltaici e da un impianto idroelettrico di proprietà. A breve, stando ai programmi di Aruba, sorgerà un altro impianto simile eco-sostenibile anche in provincia di Roma.

Sia che si tratti di sistemi di cloud computing pensati e strutturati in modo sostenibile per gli usi interni alle grandi multinazionali come Eni, oppure di infrastrutture a supporto di altri business come nel caso dei Data Center di Aruba; emerge un’ulteriore potenzialità dei sistemi cloud al servizio della decarbonizzazione: la centralizzazione presso i green data center consente di operare una decarbonizzazione ulteriore dell’intero ecosistema dell’ICT potenzialmente applicabile su scala globale.

Il Cloud computing e l’effetto di “bilanciamento” sulla decarbonizzazione complessiva del pianeta

Escludendo il terzo elemento della ricerca di Ericsson, ovvero i comportamenti individuali, e concentrandoci sui due aspetti “strutturali” delle tecnologie digitali (l’industria dell’ICT e gli effetti sulle altre filiere produttive); emerge infatti chiaramente come le tecnologie di Cloud Computing possano giocare un ruolo centrale nella decarbonizzazione.

Infatti, le tecnologie cloud oggi possono avere un duplice effetto sulla decarbonizzazione, così come è previsto nell’Agenda 2030:

  • da un lato, il cloud computing consente di potenziare la digitalizzazione dei settori tradizionali di produzione industriale ed agricola oltre che della logistica, aumentandone l’efficienza e riducendone gli sprechi;
  • dall’altro lato, lavorando sulle infrastrutture stesse delle reti, consente di accentrare i sistemi ICT e di ridurre conseguentemente l’impatto stesso delle tecnologie ICT sulle emissioni di CO2 globali.

Prendendo spunto proprio dalla ricerca di Ericsson possiamo fare un esempio comparando l’impatto dell’ICT ed il settore del trasporto aereo, per capire meglio il “bilanciamento” possibile tra digitalizzazione e filiere tradizionali d’impresa.

Basti pensare, infatti, che il settore dell’aviazione, considerando il solo consumo dei voli aerei e tralasciando tutti i costi ambientali di infrastrutture e catene produttive collegate, pesa sull’ambiente per 800 milioni di tonnellate all’anno di CO2; ma l’impatto è ancor più pesante se si tiene conto del fatto che i voli aerei riguardano poco più del 10% della popolazione mondiale, mentre più del 70% della popolazione del pianeta utilizza servizi e tecnologie ICT ogni giorno.

Se riuscissimo quindi ad estendere la digitalizzazione alla maggior parte dei sistemi globali di produzione, complessivamente l’incremento dell’impronta carbonica dell’ICT in proporzione alla decarbonizzazione nei settori produttivi tradizionali “digitalizzati” consentirebbe comunque di “bilanciare” in positivo la decarbonizzazione complessiva del pianeta.

Fonte: Ericsson research

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