Anche per le ferrovie e il trasporto su ferro c’è un’epoca pre-Covid e una post-Covid. Fino al febbraio 2020 era in crescita ovunque il numero dei passeggeri sui treni: dall’Alta velocità, che continuava a correre – era passata da 6 milioni e mezzo di passeggeri l’anno nel 2008 a 40 milioni nel 2019, vale a dire +515% – agli intercity (+0,8% nel 2019 dopo anni di rallentamento), ai treni regionali (+0,6%) e soprattutto alle metropolitane (+9,7%).
Dal marzo scorso del primo, grande Lockdown, le possibilità di spostamento anche sul trasporto pubblico si sono drasticamente ridotte, il servizio regionale e quello Intercity, come l’Alta velocità, non hanno mai smesso di funzionare ma con limitazioni al riempimento massimo dei treni del 50%.
Ora si tratta di guardare al futuro e di ripartire, e il piano europeo di sostegno e finanziamento Next Generation EU può essere un’opportunità di svolta e di nuovo slancio anche per il trasporto su ferro: gli interventi dovranno accelerare la decarbonizzazione del settore, avere un impatto occupazionale positivo e rispondere ai criteri della tassonomia europei.
Un tesoro da 35 miliardi per il sistema dei trasporti
Importante è anche l’entità delle risorse, considerando che, nella bozza di Recovery Plan italiano, ai trasporti sono destinati oltre 35 miliardi di euro.
La bozza programmatica approvata dal Consiglio dei Ministri a metà gennaio, per poi passare al vaglio delle Camere, prevede di destinare complessivamente 7,5 miliardi di euro della missione denominata ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’ a interventi che riguardano il trasporto locale sostenibile, le ciclovie e il rinnovo del parco rotabile, ma soprattutto 28 miliardi per interventi che riguardano “Alta velocità ferroviaria e manutenzione stradale 4.0”, nell’ambito della missione ‘Infrastrutture per una mobilità sostenibile’.
Ma oltre a questa pioggia di miliardi per ora sulla carta, non sono ancora molto chiare le finalità concrete per cui potranno servire tutti questi soldi; e le modalità con cui verrebbero impiegati.
La CO2 non scende, e manca una visione per farla scendere
Lo rileva anche il Rapporto ‘Pendolaria 2021’, realizzato come ogni anno da Legambiente per descrivere situazione e prospettive del sistema ferroviario italiano: nel piano di Recovery Plan italiano ai trasporti “troviamo un elenco di interventi condivisibili ma senza una visione di come potranno cambiare e migliorare la mobilità del Paese”, rileva l’analisi del settore, “né si spiega in che modo contribuiranno a conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 del settore dei trasporti, mai calate dal 1990 a oggi”.
In pratica, da trent’anni il mondo dei trasporti si muove e cerca di evolvere, ma le sue emissioni di anidride carbonica nell’aria restano le stesse e ancora non diminuiscono.
Inoltre, fa notare il Rapporto di Legambiente, alcuni interventi previsti nella bozza di Recovery Plan italiano “possono essere ridotti e stralciati, per destinarli ad altri più utili”.
Sperimentare con 2 o 3 treni va bene, ma con 20 …
Un esempio è la previsione di acquistare 21 treni a idrogeno completi delle infrastrutture e di 7 stazioni di rifornimento. “È una scelta che in questa scala non convince”, fanno notare gli specialisti dell’associazione ambientalista, “visto che oggi è una tecnologia ancora costosa e inefficiente, con idrogeno prodotto da fonti fossili”, vale a dire il cosiddetto ‘idrogeno grigio’, ancora molto inquinante e generatore di CO2 nella sua creazione, mentre quello ‘blu’ (che prevede cattura e stoccaggio della CO2 prodotta) e ‘verde’ (generato con elettrolisi usando energia rinnovabile senza emissioni) sono ancora presenti ai minimi termini.
L’osservazione e il ragionamento sulla possibilità di mettere su rotaia una ventina di treni a idrogeno prosegue: “mentre ha senso come sperimentazione su una linea specifica con 2 o 3 treni, vicina a un polo di produzione di idrogeno – che ha problemi di trasporto non indifferenti –, per capire come in futuro potrà essere utilizzato su linee non elettrificabili, ad esempio per i costi di adeguamento di gallerie storiche”.
Meno soldi alle autostrade e più alla decarbonizzazione
Insomma, partire con una sperimentazione ad hoc con pochi treni a idrogeno può essere interessante e sostenibile, ma correre subito comprando oltre 20 treni e sviluppando tutta l’infrastruttura che servirebbe loro, comprese 7 stazioni per il rifornimento di idrogeno, è una scelta, un investimento e una prospettiva che convincono poco anche gli ambientalisti più accesi.
Che non si fermano qui, e fanno un altro appunto ai piani di sviluppo e utilizzo del Recovery Plan applicato al sistema italiano dei trasporti: importanti e utili risorse finanziarie – per oltre un miliardo di euro – si potrebbero poi recuperare anche “dai fondi destinati alle autostrade A24 e A25 (da Roma a L’Aquila e Teramo e da Roma a Pescara) per la digitalizzazione nella gestione dei flussi di traffico, la manutenzione e messa in sicurezza”, perché “una spesa di questa entità non si motiva per un’autostrada a gestione in concessione che, oltretutto, prevede tariffe tra le più alte d’Italia per la manutenzione e gestione dell’opera”. Insomma, vogliamo fare un favore alla mobilità sostenibile e che punta alla decarbonizzazione, o ai gestori delle concessioni autostradali, si chiedono gli ambientalisti, e anche noi.
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