La mobilità elettrica ci proietta verso nuovi paradigmi

Il ruolo del digitale nella mobilità elettrica, perché quest'ultima rappresenta il futuro e la mobilità aumentata: solo alcuni degli argomenti affrontati in questa intervista ad Antonio De Bellis, ingegnere elettronico ed E-Mobility Lead Manager di ABB Italia

Qual è il ruolo del digitale nella mobilità elettrica? Quali opportunità offre questo settore in così forte espansione, sia a livello di lavoro che di nuove competenze? Cosa nasconde il concetto di mobilità aumentata? A poche settimane dalla prossima tappa romana del Campionato ABB Formula E, ne parliamo con Antonio De Bellis, ingegnere elettronico ed E-Mobility Lead Manager di ABB Italia.

Qual è il ruolo del digitale nello sviluppo e nella diffusione dell’emobility?

Antonio De Bellis, ingegnere elettronico ed E-Mobility Lead Manager di ABB Italia

È un ruolo molto importante perché è legato all’interazione con l’utente, che in ambito sia pubblico che privato ricorre sempre più spesso a delle app per usufruire dei servizi legati all’emobility. È necessario che ci sia connettività dell’infrastruttura con questo ecosistema, anche per dare la possibilità all’utente di pianificare e usare al meglio il proprio tempo.

L’infrastruttura stessa, per sua natura, è viva e non passiva. Deve tener conto dell’evoluzione dei mezzi che circolano per strada, delle varie normative, dei protocolli di comunicazione o anche degli aggiornamenti che ricevono i veicoli stessi. Necessita di essere connessa e di essere aggiornabile in modo semplice. Inoltre, c’è sempre un’interazione con qualcuno sta vendendo o comunque fornendo un servizio, e quindi ha necessità di conoscere come viene utilizzata l’infrastruttura e adeguarsi di conseguenza.

Dal punto di vista di chi costruisce e fornisce questa tecnologia è sicuramente consigliabile che l’infrastruttura sia sempre connessa. Anche perché solo capendo come viene usata si può far tesoro delle evoluzioni di prodotto o di sistema sottese alla rivoluzione nei trasporti che stiamo vivendo. Del resto, si possono fare tutti i test che si vogliono, ma la verità la si scopre sul campo.

Perché secondo lei la mobilità elettrica rappresenta già oggi il futuro?

Perché è un dato di fatto, ed ingegneristicamente parlando è la cosa più efficiente che si possa fare. Se consideriamo tutte le possibili declinazioni di motori endotermici, ma anche a idrogeno, oggi non c’è paragone con un motore elettrico per uso efficiente dell’energia – possibilmente prodotta da fonti rinnovabili.

Non basta solo comprarsi l’auto elettrica o il camion elettrico; non basta dotarsi dell’infrastruttura più bella e più potente del mondo. Bisogna guardare a tutto tondo, anche quello che c’è a monte. E questo è compito di ciascun attore della filiera. Non tocca esclusivamente alle utility, oggi anche i privati possono fare la differenza, perché con le tecnologie digitali di cui si dispone creiamo dei microcosmi, in gergo elettrico “microreti”, in cui possiamo unire generazione, ottimizzazione e consumo intelligenti che, anche con l’ausilio di sistemi di accumulo di varia natura, ci porteranno in tempi anche brevi alla creazione di un ecosistema carbon neutral autosufficiente dal punto di vista energetico.

Formula E, cosa implica e cosa offre a livello di innovazione?

Il Campionato ABB Formula E è un po’ come l’evoluzione della specie. In una prima fase è stata anche un atto altamente provocatorio, una scommessa che, in un Paese come l’Italia molto legato al rombo dei motori, non è stata cosa da poco. Anche perché il cambio di paradigma qua non è solo tecnologico, ma è prettamente culturale.

La Formula E è sicuramente un laboratorio in cui testare nuove tecnologie, digitali e non, ma anche estremizzare alcuni concetti; è una vetrina per far vedere che è possibile provare determinate emozioni o cambiare certe abitudini. Non solo, porta anche a una serie di domande, soprattutto a livello di sostenibilità. Si sono poi scelti dei circuiti cittadini, avvicinando ancora di più la mobilità elettrica al mondo reale, quello delle masse.

Qual è l’impatto non tanto di una giornata o due di gare in un circuito cittadino, ma appunto di un cambio di paradigma, quando le auto elettriche cominceranno ad avere un tasso di penetrazione di un certo tipo? Cosa significa riuscire effettivamente a sostenere il cambiamento? Qui non si tratta solo di vendere auto elettriche o infrastrutture di ricarica, ma di rimettere in discussione la mobilità nel suo complesso, come stiamo concependo in alcune città il trasporto pubblico, come possiamo agevolare il trasporto di persone, idee, servizi nel modo meno impattante per il nostro ambiente. Anche perché, è opportuno ricordarlo, l’inquinamento atmosferico è un killer, soprattutto in città.

Mobilità aumentata, di cosa si tratta e cosa significa essere dei pionieri in questo senso?

Come è ben evidenziato dagli esperti ospitati nel recente podcast “The future of mobility”, il mondo della mobilità sta cambiando rapidamente. Ad oggi, serve soprattutto una certa capacità di sapersi proiettare in avanti. Rispetto ad altri business tradizionali, quello legato alla mobilità aumentata è un mercato immaturo, nel senso che sta partendo adesso. Il mercato sta evidenziando che si possono cambiare le abitudini e di conseguenza introdurre nuovi paradigmi, con effetti simili a quelli che ebbe sul trasporto con i cavalli l’arrivo delle prime auto a motore. Oggi i cavalli ci sono ancora, ma hanno valore perlopiù a livello ludico. Allora invece servivano per muovere persone, merci ed erano alla base di un’economia. Abbiamo distrutto un certo tipo di paradigma e ne abbiamo creato un altro che, comunque, ha migliorato il tenore generale di vita. Ci ha fatto evolvere. Poi magari con un prezzo che stiamo pagando, ad esempio a livello di sostenibilità, che ci porta oggi a dover rimediare agli errori che sono stati fatti.

La mobilità aumentata implica che ci sono vari scenari in cui dobbiamo trovare delle risposte. Questo significa che, sulla base dell’esperienza che abbiamo fatto con le centinaia di migliaia di punti di ricarica installati ed i milioni di ricariche effettuate, abbiamo capito che c’è necessità di tante soluzioni che siano digitalmente connesse fra loro e che siano flessibili, perché i diversi scenari di mobilità da affrontare devono unire tutte queste soluzioni per dei piani che non siano legati al mero acquisto di un’auto elettrica o di una colonnina oggi, ma proiettarsi su cosa si farà e che cosa ci servirà da qua ai prossimi due, cinque o dieci anni. Sono delle scommesse che vanno fatte, ma oggi ci sono tutti gli elementi per poterle fare con investimenti che non siano dei vuoti a perdere.

Cosa risponde a chi afferma che in Italia l’emobility causa più perdite che vantaggi?

Che se non si fa niente sarà anche peggio di quello che immaginiamo. O sono tutti diventati matti in giro per il mondo, oppure qualcuno ha iniziato ad usare il buon senso e ha cominciato ad implementare al meglio le soluzioni che abbiamo a disposizione. Da noi c’è stato in molti ambiti un abbandono del concetto di industria e oggi ne paghiamo le conseguenze, ritrovandoci senza un’impalcatura imprenditoriale e industriale che possa dar seguito a iniziative che meriterebbero ben più di trovarsi sempre in una fase di affanno o di recupero. Non dobbiamo aver paura di affrontare il cambiamento e c’è il dovere sia industriale che soprattutto politico di creare le condizioni, nell’arco dei prossimi decenni, affinché ci sia un passaggio graduale verso l’emobility. E che questo si tramuti in un’opportunità, inclusa quella di creare nuove competenze.

Qual è la vostra prospettiva a livello industriale, quando si parla di mobilità elettrica?

Considerando che l’Italia non gode di fama di Paese che aiuta chi vuole produrre e chi vuole esportare, è degno di nota il fatto che un’azienda con tante opportunità in giro per il mondo come ABB abbia deciso di rinnovare la fiducia ad un polo produttivo italiano, investendo 30 milioni per costruirne uno nuovo. Mi riferisco allo stabilimento di Valdarno (Arezzo), dove si costruisce la quasi totalità dei nostri caricatori e colonnine di ricarica. Questo conferma che c’è ancora possibilità di competere, valorizzando il concetto di Made in Italy. Che, almeno nel nostro settore, non può più essere visto come qualcosa che nasce artigianalmente su territorio e cresce di vita propria collocandosi nel panorama mondiale, ma è un tassello all’interno di un nuovo partenariato globale dove sussistono collaborazioni con altre aziende, italiane e non.

Un altro aspetto che crescerà nel tempo è il connubio della robotica con il mondo della ricarica, che si porta dietro una serie di vantaggi e di opportunità, aprendo a professionalità che oggi non esistono. Vanno messe insieme competenze che oggi operano in settori completamente differenti, per creare qualcosa di nuovo che trovi sbocco in questo nuovo scenario che si sta prospettando.

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