Il cloud è la soluzione più sostenibile per conservare l’enorme mole di dati che produciamo: la virtualizzazione delle risorse nel cloud consente alle imprese di non accumulare macchine fisiche a favore delle macchine virtuali, diminuisce l’utilizzo degli hardware e quindi dei processi di manutenzione e raffreddamento dei data center situati in metà del mondo “fisico”.
In termini di sostenibilità il cloud potrebbe già essere una delle soluzioni, se si pensa che i principali provider, Amazon Web Services e Google Cloud si ripromettono di diventare carbon-neutral entro il 2030. Il vantaggio strutturale è anche dovuto al fatto che il cloud è una tecnologia facilmente scalabile verso il basso e verso l’alto, disponibile on-demand in base alle esigenze ed è per questo che sempre più organizzazioni, soprattutto nel periodo della pandemia, si stanno dirigendo verso infrastrutture cloud-native.
Quante aziende con la testa “fra le nuvole”?
La pandemia ha accelerato i processi digitali di molte imprese: l’adozione delle soluzioni cloud nelle PMI italiane è cresciuta del 42% (rispetto al tasso di crescita del 30% degli anni precedenti) secondo i dati dell’Osservatorio Cloud Transformation: certamente questo è avvenuto per i cambiamenti del lavoro che si svolge da remoto e per l’interconnessione dei sistemi che ne consegue. La trasformazione definitiva verso il modello cloud (IaaS, PaaS e SaaS) è preannunciata dal fatto che l’11% delle grandi imprese non ha più un data center di proprietà. Per il momento si tratta di dati che non vanno interpretati con troppo entusiasmo: va considerata la reazione improvvisa ad una situazione di emergenza, anche perché sempre dal report dell’Osservatorio si rileva come le PMI non abbiano formazione adeguata all’utilizzo dei servizi in cloud, mentre il 50% delle grandi imprese secondo le previsioni intenzionali si avvarrà di soluzioni ibride, integrando i servizi cloud con quelli on-premise.
Una scarsa formazione per quel che riguarda le potenzialità del cloud e il suo impatto ambientale potrebbe far passare in secondo piano il consumo energetico: se il cloud è la tecnologia più sostenibile rispetto alle infrastrutture fisiche e all’uso di server in loco per le aziende, solo il 43% degli 800 provider di server cloud intervistati da Schneider Electric afferma di portare avanti iniziative di sostenibilità strategica e di miglioramento all’efficienza della propria infrastruttura. Il 44% del campione, suddiviso in tutto il mondo, ha affermato di non tenere traccia di alcune metriche come il consumo e l’efficienza energetica.
Perché il cloud è indispensabile all’economia circolare
Sebbene la tecnologia cloud based rimanga completamente sostenibile solo per i grandi player, il cloud computing costituisce un asset incredibilmente significativo per i nuovi modelli di economia circolare. Si può dire che alla base di ogni aspetto della digital servitization ci sia il cloud. I servizi integrati sul web e l’e-commerce si basano quasi completamente sul monitoraggio dei dati: profilazione degli utenti, offerte e servizi aggiuntivi personalizzati, fidelizzazione e assistenza. Prendiamo ad esempio il caso di AARRE, centro di ricerca finlandese che monitora e diffonde i risultati dell’economia circolare e che con un’analisi sui processi di noleggio di oggetti e strumenti, ci offre un caso-tipo dei nuovi modelli di business della CE e replicabile su tutti i servizi della sharing economy.
Al momento del noleggio degli articoli sono necessarie diverse informazioni: la disponibilità, l’ubicazione all’interno dei magazzini, le condizioni. Il tracciamento di tutto il processo logistico rende più facile e più efficiente il noleggio. In questo caso i dati che vanno a confluire nel cloud verrebbero raccolti con diversi mezzi: un’app che analizza i gusti dell’utente, lo storico delle scelte, la profilazione ai fini di marketing e che potrebbe garantire un servizio di rating riguardante sia gli altri utenti sia gli oggetti sia il fornitore del servizio. Ad aggiungere ulteriori dati ci sono poi gli altri servizi web, ad esempio il sito o i social media e il cloud si troverebbe ad aggregare e analizzare informazioni da tutti questi touch point per fornire all’utente un’esperienza quanto più soddisfacente e personalizzata. Particolarmente importanti come raccoglitori di dati nel caso dell’economia circolare sono i sensori, che avrebbero la capacità di conoscere l’oggetto e quindi il funzionamento, l’usura, la possibilità di essere riparato. Conoscere e archiviare – e avere sempre “a portata di mano” – i dati su temperatura, vibrazioni, umidità e in generale lo stato degli oggetti è la chiave per la manutenzione predittiva e per allungarne il ciclo di vita, monitorando le caratteristiche adatte all’eventuale ricondizionamento o al riciclo di alcune parti.
Il cloud computing diventa quindi indispensabile perché mette a disposizione in tempo reale dati utili all’utente e al fornitore ma anche strategico, nel momento in cui insieme alle tecnologie IoT dotate di sensori e con un accurato data mining può prevedere il ciclo di vita dell’oggetto in questione costruendo schemi e modelli closed-loop utili per il futuro dell’intera supply chain.
Un cloud aperto per il ciclo chiuso
Dal momento che – come si dice – i dati sono il nuovo petrolio, allora sono necessarie tecniche di raffinazione ed estrazione che mettano questa tecnologia al servizio dell’economia circolare in modo più possibile coerente: per gli scopi della CE l’analisi dei dati deve attingere da fonti eterogenee e superare la varietà, l’eterogeneità e il “rumore”.
L’approccio cloud-based ha permesso alla startup indiana Banyan Nation, vincitrice di uno dei premi del Circulars Awards at the World Economic Forum di Davos nel 2019, di sviluppare un sistema di riciclo della plastica di altissimo livello, portando la plastica riciclata a una qualità molto vicina alla plastica vergine. A detta degli stessi fondatori, questo non sarebbe stato possibile senza un sistema integrato di data intelligence in grado di analizzare e coinvolgere i luoghi dello smaltimento della plastica e i lavoratori connessi al settore in moltissime regioni di un paese che produce 550.000 tonnellate di rifiuti di plastica all’anno.
Un progetto simile è quello di Rubicon, piattaforma per i big data basata sul cloud, che collega i produttori di rifiuti con una rete di trasportatori in 50 stati negli USA e in 18 paesi del Canada. Ciò consente tassi di riciclo più elevati, riutilizzo creativo dei materiali di scarto, percorsi ottimizzati dei camion e analisi dettagliata dei dati sui materiali dei rifiuti.
AMP Robotics, invece, si serve di un sistema incentrato sul recupero di materiale da rifiuti solidi urbani, rifiuti elettronici e provenienti da demolizioni. Guidati dall’intelligenza artificiale, i robot ordinano, raccolgono e posizionano il materiale. I dati raccolti da ogni flusso di prodotti vengono acquisiti nel cloud e resi disponibili tramite un hub di insights, che prende decisioni informate per ottimizzare le operazioni.
Installazione di macchine virtuali, configurazione di backup, lancio di applicazioni web, customizzazione e scalabilità totale rendono il cloud uno strumento particolarmente creativo per le necessità di modelli circolari. Mentre, per tornare alla sostenibilità del cloud, anche l’infrastruttura stessa della nuvola può chiudere il ciclo: Accenture, nel report The green behind the cloud 2020, calcola che costruire macchine cloud modulabili, longeve e “circolari” consente di ottimizzare del 16% i profitti alle imprese che ne fanno uso.
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