K come Knowledge economy, l’Economia della conoscenza cresce insieme a trasformazione digitale e decarbonizzazione

Per la serie di articoli della rubrica ‘ABC, Zero Carbon’, questa volta trattiamo la lettera ‘K’, e parliamo di Knowledge economy, l’Economia della conoscenza. Caratterizzata dall’uso delle risorse digitali e da una forza lavoro altamente qualificata: si producono idee, si dà valore ai dati e alle informazioni. Il capitale intellettuale umano è il motore chiave del miglioramento economico, dello Sviluppo Zero carbon e sostenibile

Immagine distribuita da Pixabay

Per la serie di articoli della rubrica ‘ABC Zero Carbon’, che passa in rassegna tutte le lettere dell’alfabeto – non necessariamente in ordine alfabetico –, a cui abbina per ognuna la lettera iniziale di un tema rilevante per lo Sviluppo sostenibile, questa volta trattiamo la lettera ‘K’, e parliamo di Knowledge economy, l’Economia della conoscenza (o Economia basata sulla conoscenza).

Un obiettivo e una sfida centrali – per ogni Paese industrializzato e più in generale per il mondo intero – sono che l’Economia della conoscenza favorisca e sia portatrice di uno sviluppo sempre più sostenibile e decarbonizzato. Come? Per esempio, è forte il ruolo dell’informazione – e quindi della Knowledge economy – nello sviluppo di modelli di economia circolare che puntano ad abbattere l’impatto carbonico nelle varie attività economiche e industriali. Un altro Trend molto importante, e decisivo sulla strada della decarbonizzazione, riguarda l’uso dei dati – attraverso intelligenza artificiale e specifici algoritmi, Big data e Analytics – per la lotta contro i cambiamenti climatici.

Cos’è la Knowledge economy?

È un sistema economico in cui la produzione di beni e servizi si basa principalmente su attività ad alta intensità di conoscenza, che contribuiscono a un rapido progresso nell’innovazione tecnica e scientifica. La risorsa primaria è la conoscenza, insieme alla capacità di agire, in modo da creare valore economico. Centrali sono il capitale umano e la proprietà intellettuale, come fonte delle idee, delle informazioni e delle attività innovative.

Un’economia basata sulla conoscenza fa quindi affidamento sul ruolo cruciale dei beni immateriali, ed è caratterizzata da una forza lavoro altamente qualificata, e da competenze specialistiche. Con l’Economia della conoscenza, il capitale intellettuale umano è il motore chiave del miglioramento. Non solo: informazione è uguale a sviluppo e (si auspica) prosperità.

Knowledge economy, creazione di valore utilizzando l’intelligenza umana

Dato che la Knowledge economy è la creazione di valore tramite l’intelligenza umana, ci sono alcuni settori di attività che, meglio e più di altri, rappresentano questa creazione di valore: Design, Information technology, Marketing ed Engineering, per fare degli esempi. Ma anche tutto il settore della Cultura, dei Media, dell’Education, dell’istruzione e della formazione.

Anche i processi di business applicati all’industria e alle aziende sono tasselli della Knowledge economy, che in questo caso puntano all’innovazione, al miglioramento della qualità e dell’efficienza della produzione. Inoltre, anche il campo della Ricerca e Sviluppo rappresenta un pilastro di questo mondo, un ambito vasto e variegato che va dalle attività di R&D all’interno delle imprese ai centri di ricerca universitari e aziendali, fino alle startup che scoprono e creano nuove soluzioni e nuovi modelli di business. Tutto questo è anche in sostanza il cosiddetto know how tecnico e tecnologico, le galassie di competenze e specializzazioni, il saper creare valore – ancor prima che dall’operatività materiale e dalla lavorazione – dalla capacità di ideazione, progettazione, ricerca e sviluppo.

Su quali fondamenta si basa e sviluppa l’Economia della conoscenza?

Secondo gli studi della Banca Mondiale, la Knowledge economy si costruisce su quattro presupposti di base. Primo: facile accesso alle nuove tecnologie, a infrastrutture informatiche moderne, per la diffusione ed elaborazione delle informazioni e delle risorse della conoscenza. Secondo: innovazione nel mondo accademico, nel settore privato e nella società civile, con un grande livello di innovazione all’interno di aziende, industrie e interi Paesi, per stare al passo con le ultime tecnologie digitali e globali.

Terzo pilastro: una forza lavoro bene istruita e qualificata, con buoni sistemi di istruzione, perché i lavoratori devono avere la capacità di apprendere continuamente. Quarto punto centrale: un sistema economico e istituzionale che incentivi all’imprenditorialità e all’uso adeguato e di valore delle informazioni. Sulla base di questi criteri, tutti i Paesi Ocse si stanno muovendo per diventare economie della conoscenza.

Informazione, conoscenza, decarbonizzazione

La sfida della decarbonizzazione non può essere vinta solo da un paio di economie consapevoli, disposte a tagliare, potendo, le proprie emissioni del 60 o dell’80 per cento: se si deve stabilizzare il livello di gas serra nell’atmosfera nel corso di questo secolo, tutti i grandi inquinatori devono imboccare una strada che li conduca a un taglio sostanziale, e il settore elettrico deve arrivare a zero emissioni di carbonio molto prima della fine del secolo.

Se agisse solo la metà dei Paesi interessati, non si otterrebbe la riduzione necessaria e, per un meccanismo poco virtuoso di mercato, il calo della domanda porterebbe al crollo del prezzo dei combustibili fossili per l’altra metà dei Paesi più inquinanti. Da questo scenario è rilevante il ruolo dell’informazione e della Knowledge economy nello sviluppo di modelli di economia circolare in grado di favorire la decarbonizzazione dei Paesi e delle loro attività.

Per esempio, i negoziati internazionali sono importanti perché aiutano a mantenere alto il livello dello scopo finale, e ottengono qualche risultato. Ma un accordo internazionale non indurrà nessun governo a seguire politiche climatiche che, per ragioni ideologiche, economiche o di qualunque altra natura, non riscuotano consenso in patria. Per questo, la strada verso la decarbonizzazione è anche una questione di informazione – come del resto TechEconomy 2030 si propone di fare – e consenso politico e popolare.

Che ruolo hanno in questo scenario le tecnologie?

Gli strumenti digitali democratizzano e semplificano l’accesso alla conoscenza. Anche per questo, lo sviluppo economico sarà fortemente dominato dalle tecnologie e dall’espansione della rete. Per le aziende, la proprietà intellettuale come segreti industriali e commerciali, materiale protetto da Copyright, brevetti e processi brevettati, diventano più preziosi e strategici in un’Economia della conoscenza rispetto alle epoche precedenti. Nella Knowledge economy, la forza lavoro specializzata è caratterizzata da forte alfabetizzazione informatica ed è ben addestrata nella gestione dei dati, nello sviluppo di algoritmi e modelli simulati, nell’innovazione su processi e sistemi. È il regno dei Big data, Analitycs e intelligenza artificiale.

Molte città e territori cercano di seguire un paradigma di sviluppo basato sulla conoscenza, e di aumentare la propria base di conoscenze investendo in infrastrutture digitali – come connessioni in Fibra, a Banda ultra larga e reti 5G –, ma anche nell’istruzione superiore e negli istituti di ricerca.

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