Social e Trasformazione Digitale per una cultura d’impresa convergente

Uno dei risultati più significativi che emerge dall’analisi dei dati riportati nella ricerca “Retail Transformation, il senso di una rivoluzione di senso”, elaborato dal Digital Transformation Institute e da CFMT, è che i Social Media e i Social Network Sites (SNS) non costituiscono più una novità. Non possono più essere considerati new media. Non vengono più percepiti come l’avanguardia dell’innovazione tecnologica.

Nonostante l’immenso carico di opportunità che ci continuano ad offrire e di criticità con cui ci costringono a confrontarci, i Social, ormai, appartengono al nostro modo di vivere, di interagire, di conoscere e di pensare. Fanno parte, nel bene e nel male, delle nostre pratiche quotidiane, dei nostri consumi culturali, delle nostre diete mediali, esattamente come la televisione, la radio o il cinema. Anzi, quantitativamente e qualitativamente, soprattutto per alcune fasce di popolazione, sono molto più importanti e centrali.

Uno degli elementi distintivi della Digital Transformation in atto, rispetto alla dimensione dei Social, dunque, non riguarda semplicemente la loro esistenza o la loro presenza, ma la loro persistenza. Il loro significato dinamico. Le loro traiettorie di diffusione. Le modalità attraverso cui vengono o non vengono utilizzati. Le possibilità di implementazione futura. Persino la loro normalizzazione.

È questo quello che ci raccontano i dati, a partire da un fondamentale presupposto: la distanza sempre più ridotta, ormai quasi annullata, tra reale e virtuale. Internet in primis e poi anche i Social non si sono trasformati in quella temuta dimensione alternativa al cui interno tutti, prima o poi, ci saremmo potuti (o dovuti) smarrire. A dispetto delle visioni distopiche e delle fobie tecnologiche, è avvenuto esattamente il contrario. La realtà virtuale di Internet si è andata integrando con quella concreta, come dimostra il passaggio all’Internet of Things (IoT). I Social completano, potenziano e, certamente, condizionano (positivamente e negativamente) la nostra realtà offline. I Social oggi non sono più soltanto piattaforme in grado di attivare relazioni tecnologicamente determinate.

I Social costituiscono ambienti tecnologicamente determinati e culturalmente abitati.

Questo vuol dire che tutti noi, istituzioni-aziende-consumatori-utenti, riportiamo, più o meno consapevolmente, all’interno di questi habitat tecnoculturali, connotati paradossalmente da uno spazio virtuale e da un tempo reale, quelle dinamiche di interazione e quei comportamenti che attuiamo anche al di fuori della Rete. È per questo che la ricerca di informazioni sul web non si limita esclusivamente alla consultazione dei primi risultati offerti dai motori di ricerca, esattamente come, nella realtà concreta, non è quasi mai sufficiente una singola pubblicità su un giornale, un’affissione o un unico spot televisivo a convincerci ad attivare un nuovo comportamento d’acquisto o a modificare un’opinione radicata. Quello che ci interessa, online come offline, si trasforma quasi sempre in un confronto, in una discussione. Soprattutto quando quel particolare argomento-prodotto-bene-servizio per noi risulta rilevante. Quando cioè è la risposta ad un bisogno o l’oggetto di un interesse, di una passione.

Nell’ambito di queste dinamiche i Social acquisiscono una duplice valenza. Consentono di moltiplicare, rispetto alla realtà offline, le possibilità di ricerca e di approfondimento, permettendo al contempo di ridurre sensibilmente il tempo necessario a farlo. Quindi, tendono, strutturalmente, a rendere molto più visibile, effettivamente ad esaltare, la differenza tra ciò che è o non è promozione, fornendo all’utente la sensazione di poter scegliere in modo più efficace e critico.

In altre parole, i Social si pongono come ambienti elettivi per lo scambio e la condivisione (funzioni tipiche di una relazione/comunicazione simmetrica) tra utenti e utenti, tra imprese e utenti, tra istituzioni e utenti. Si rivelano, invece, meno adatti per le forme tradizionali di advertising e pubblicità (attività riconducibili ad un tipo di relazione/comunicazione asimmetrica).

Sui Social di oggi, dunque, ha più senso creare e diffondere contenuti in grado di catturare l’attenzione di interlocutori interessati a conoscere, parlando ma anche rispondendo, anziché limitarsi a produrre e a “trasmettere” contenuti persuasivi, orientati a convincere un pubblico passivo. I Social, infatti, sono connotati da una logica del coinvolgimento, dell’engagement, e non da una della persuasione.

Come dimostrano i dati, la maggior parte degli utenti riconosce le potenzialità informative dei Social, fondamentali per acquisire competenze, ma anche capacità critiche. Nei Social, infatti, si moltiplicano le occasioni di incontro con “esperti”: i processi di following nei confronti degli influencer non sono altro che l’attualizzazione digitale delle tradizionali forme di influenza personale. Continuiamo a fidarci più di persone esperte in un certo campo (opinion leader, influencer, micro-influencer, nano-influencer, superinfluencer, etc.), che di contenuti esplicitamente promozionali. L’unica differenza rispetto al passato è che i legami che intratteniamo non sono più riconducibili alla sola dimensione delle nostre cerchie sociali offline, ma anche all’insieme, variegato e moltiplicato, di quelle online.

Allo stesso tempo, il fatto che gli ambienti Social siano, tecnologicamente e culturalmente, più idonei alla conversazione, fornisce una spiegazione alla forte resistenza da parte degli utenti alle forme di rumore (overload informativo), ma anche e soprattutto a quelle di contaminazione e di inquinamento promozionale. L’insieme delle risposte fornite dagli intervistati, infatti, fa emergere con sufficiente chiarezza che i Social non servono a vendere. Possono aumentare la visibilità, produrre buzz, attivare il passaparola, implementare la brand awareness, generare viralità. In altre parole, possono funzionare per quello per cui sono stati progettati dai loro ideatori e contemporaneamente per quello per cui vengono utilizzati dagli utenti. Nel primo caso, l’attivazione di forme di interazione many to many. Nel secondo, la messa a punto di una dinamica di generazione di usi e di soddisfazione di gratificazioni.

Orientarsi ad una più accurata comprensione dell’universo dei Social, capire il modo in cui funzionano e come si differenziano, risalire alle motivazioni per cui gli utenti li utilizzano o smettono di accedervi, costituiscono un insieme di risorse, cognitive e pratiche, fondamentali per pianificare le proprie strategie aziendali e istituzionali. Seppure all’interno di questo breve contributo si è fatto volutamente riferimento alla formula sintetica e suggestiva di “Social”, ciò che è opportuno sottolineare è che i Social non sono tutti uguali. Ogni Social, ideato e progettato per assolvere una certa serie di funzioni, per differenziarsi dagli altri che lo hanno preceduto, in realtà trova la sua effettiva definizione soltanto nel momento in cui gli utenti che lo abitano iniziano a sviluppare e a condividere specifiche modalità di utilizzo per soddisfare specifiche gratificazioni. Ovviamente è possibile identificare alcune logiche trasversali in grado di accomunare Social diversi, ma, allo stesso tempo, è determinante ri-conoscere quelle pratiche tipiche soltanto di alcuni specifici Social. È a partire da questa consapevolezza che può, e dovrebbe avvenire, anche da parte delle imprese e delle istituzioni, quel cambiamento, compreso e realizzato già da tempo dagli utenti, rispetto alle modalità di utilizzo dei Social. Un mutamento che, come sottolineano nuovamente i dati, coincide con una necessità sempre più avvertita: tanto in funzione di una prospettiva multipiattaforma, quanto in quella di una logica transmediale, l’approccio (aziendale e/o istituzionale) ai Social deve passare da episodico a continuativo. Il loro utilizzo da marginale a integrato.

È solo così che, coerentemente con le caratteristiche e i principi che definiscono la Digital Transformation, può farsi largo una cultura d’impresa finalmente convergente. In grado cioè di declinare rispetto ai propri valori di riferimento le opportunità offerte dalla trasformazione digitale, ma anche di saper leggere gli inarrestabili processi di cambiamenti connessi a quella stessa trasformazione.

È solo così che diviene possibile cogliere la duplice essenza della Digital Transformation: il modo in cui il digitale sta trasformando la società in cui viviamo, ma anche quello in cui il digitale stesso, complessivamente, si sta trasformando.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here