Dal Green New Deal al new normal: (ri)mettere al centro la sostenibilità

Era il 14 gennaio 2020 quando Ursula von der Leyen iniziava a far percorrere all’Europa la strada del Green New Deal. Un ingente ed ambizioso piano di investimenti orientato a mettere al centro dell’agenda europea la trasformazione delle economie degli Stati membri nella direzione della sostenibilità, con l’obiettivo di raggiungere l’impatto climatico zero entro il 2050. Una vera e propria rivoluzione ambientale, economica e sociale che avrebbe toccato tutta l’Europa facendo della sostenibilità non un vincolo da rispettare, ma un vero e proprio volano di sviluppo.

Dal Green New Deal al new normal

Poi è arrivato il Covid-19. E parlare del “prima”, anche se questo prima era soltanto 5 mesi fa, sembra parlare di un’epoca lontana. Qualcuno, all’inizio della crisi, sosteneva – con tanto di hashtag – che sarebbe andato tutto bene. Altri, bollati come pessimisti, evidenziavano come le possibilità che tutto potesse andar bene erano invero pochine. Oggi, con decine di migliaia di morti e un’economia al collasso, la voglia di cantare dai balconi è passata, e con essa l’idea che il coronavirus avrebbe rappresentato un incidente di percorso da lasciarsi rapidamente alle spalle.

Ed ecco che il pensiero e la prospettiva del Green New Deal sono stati sostituiti dalle ansie per la ripartenza, e dal sospetto sempre più fondato che nulla sarà più come prima e che il coronavirus non abbia portato con sè “solo” decine di migliaia di morti, ma anche la necessità di ripensare profondamente molte delle dinamiche della nostra società.

Che il Green New Deal rappresenti una prospettiva da accantonare, però, dipende da noi. Dipende – e dipenderà – dalla capacità della politica e dei cittadini, delle istituzioni e delle aziende di ripensare la nostra società dando il giusto significato a quel concetto di “new normal” che ha cominciato a farsi strada nel dibattito pubblico e che – come sempre succede – è nella delicata fase in cui può ridursi all’ennesimo termine da prosciugare di significato nei confini di un dibattito da salotto oppure diventare una reale prospettiva di ripartenza.

Non dobbiamo tornare alla normalità, ma costruirne una nuova

Qualcuno pensa al “new normal” come un progressivo ritorno alla normalità. Come dire: passata la tempesta, torniamo alle nostre vite. Ma al di là del fatto che la condizione economica mondiale, nei suoi effetti su processi che si consideravano consolidati, non lo permetterebbe, tornare di nuovo alla normalità sarebbe davvero un’occasione persa rispetto alla possibilità di sviluppare, in questa fase di ripartenza, una nuova normalità.

Una nuova normalità che parta dalla consapevolezza che cambiare abitudini e comportamenti si può, e se lo abbiamo fatto in una condizione straordinaria per un evento imprevisto lo possiamo e lo dobbiamo fare per una situazione certamente non meno grave del Coronavirus, come quella dell’inquinamento e del cambiamento climatico. Condizione non meno grave, ma che – non presentando caratteri di emergenza percepiti come tali (i morti a causa dell’inquinamento sono più silenziosi dei morti per il coronavirus) – non ha generato un cambiamento così significativo nei comportamenti delle persone e nelle strategie globali.

La sostenibilità molto forte non è sostenibile

Alla fiera dell’ovvio non sono mancati, in questi mesi, quanti hanno fatto notare come il blocco totale delle città, delle industrie, della produzione abbia generato effetti positivi sull’ambiente. E non è mancato chi ha approfittato del trionfo di La Palice per stigmatizzare il fatto che l’uomo abbia un impatto su clima ed ecosistema (ma dai?). Insomma: abbiamo assistito al trionfo della banalità derivante dagli effetti più distorsivi di quella sostenibilità definita eco-centrica che già negli anni ’90 Robert Costanza definiva “molto forte” e che, francamente, non ha prodotto effetti positivi nell’affrontare il tema della sostenibilità, creando un’opposizione insuperabile tra progresso e benessere.

Insomma: è chiaro che se l’uomo si estinguesse smetterebbe di produrre impatti negativi sull’ambiente, ma sarebbe utile capire come fare per evitare di estinguersi garantendo da una parte il benessere degli esseri umani, dall’altra il fatto che tale benessere non sia ottenuto a discapito dell’ecosistema che ci ospita e che, buon per lui, andrebbe avanti benissimo senza di noi.

La nuova normalità che andremo a ricostruire, quindi, può e deve partire da questo. Può e deve partire da una rinnovata concezione del ruolo dell’essere umano nell’ecosistema e da 3 elementi di consapevolezza che, nella tragedia, ci ha portato il coronavirus.

Primo elemento: cambiare si può. Anzi si deve

Si può fare. Siamo nelle condizioni di cambiare i nostri comportamenti, e se possiamo farlo in un’ottica emergenziale con grandi disagi, lo possiamo fare anche – e per di più con minori disagi – su tempi più lunghi e con impatti strutturali. Questo vuol dire, ad esempio, che perseguire politiche energetiche orientate alla decarbonizzazione, non può prescindere da un’analisi dell’impatto sociale ed economico che avranno tali politiche sulla società. È questa la forza del Green New Deal della Von Der Leyen: disegnare la nuova normalità vorrà dire comprendere come mettere le strategie zero carbon al centro dell’economia garantendo nel contempo il benessere e lo sviluppo economico e sociale. Certo, dobbiamo volerlo, e per volerlo dobbiamo percepirne l’importanza.

Secondo elemento: il cambiamento deve essere sostenibile

Può sembrare un gioco di parole, ma il cambiamento nella direzione della sostenibilità deve essere a sua volta sostenibile. Oppure, sciogliendo il gioco di parole, la sostenibilità ambientale non può essere perseguita se non si garantiscono sostenibilità economica e sociale. È evidente che bloccare economia e società riduca gli impatti sull’inquinamento. Ma se per ridurre l’inquinamento si puntasse a recludere l’umanità, blindandola in casa ed annichilendo la produzione, a ridursi non sarebbe solo l’inquinamento. Chiaramente quella che stiamo vivendo è una situazione estrema, ma evidenzia bene – come tutte le condizioni limite – gli effetti delle azioni e le loro conseguenze. Nel cambiamento dei comportamenti che sarà richiesto alle persone nella nuova normalità sarà fondamentale da una parte promuovere comportamenti sostenibili, dall’altra rendere il cambiamento accettabile e desiderabile. Diversamente c’è il rischio concreto che non sarà agito.

Terzo elemento: la sostenibilità digitale

Questi mesi hanno dimostrato il ruolo centrale del digitale nella quotidianità di milioni di persone. In tal senso il Coronavirus è stato un fortissimo catalizzatore nella penetrazione della tecnologia nella vita delle persone. Tuttavia, se il virus ci ha messo alla guida di un’automobile molto potente, non ci ha certo insegnato a guidarla. La confusione tra lavoro remoto e smartworking o quella tra teledidattica ed e-learning lo dimostrano. Fare della tecnologia una leva di cambiamento e uno strumento di crescita sostenibile, ossia agire nella direzione della sostenibilità digitale, diventa un elemento imprescindibile nel cammino verso quella nuova normalità che dovrebbe andare nella direzione del Green New Deal. Ma per farlo non basta che milioni di persone abbiano per la prima volta avuto accesso agli strumenti tecnologici: serve che quei milioni di nuovi utenti abbiano consapevolezza dei punti di forza e di debolezza di strumenti che, in ogni caso, cambieranno le loro vite.

Verso un “nuovo” Green New Deal?

Pochi programmi di sviluppo sono stati sfortunati come il Green New Deal di Ursula Von Der Leyen, reso obsoleto da uno sciagurato cigno nero e superato da una crisi che richiederà di ripensare interi modelli economici, oltre che la vita di milioni di persone. Tuttavia, forse il Green New Deal trova in questa sciagura la sua più grande opportunità. Perché da nessuna parte è scritto che la nuova normalità che costruiremo dopo il coronavirus debba essere peggiore della precedente.

Oggi dobbiamo ripensare la nostra normalità in un contesto in cui non possiamo escludere altri cigni neri e nel quale – anzi – la sfida è quella di disegnare una società che faccia della resilienza un reale principio di sviluppo e non uno slogan che, nel caso del Coronavirus, si è dimostrato ancora lontano dall’avere una reale dimensione di concretezza. Ma nulla toglie che, anche grazie alla lezione del coronavirus, non si comprenda davvero la necessità di costruire una normalità migliore di quella che abbiamo già inesorabilmente perso. Una normalità che sia resiliente e sostenibile, e che veda nella tecnologia uno strumento di sviluppo in grado di accompagnarci nel perseguimento degli obbiettivi di un’Agenda 2030 che – seppure perfettibile – è e resta un riferimento importante al quale puntare ed uno strumento decisivo al quale riferirsi nella definizione di quelle scelte che si renderanno necessarie per la costruzione di un nuovo Green New Deal.

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