Il dopo COVID-19 accelererà o rallenterà il cambiamento climatico?

700 politiche di stimolo e lezioni apprese dalla crisi finanziaria del 2008, analizzate da 231 esperti, hanno dato vita ad alcuni suggerimenti di politiche, fiscali e non, da attuare per agevolare la ripresa post COVID-19, nel rispetto degli obiettivi climatici per il 2050 e di quelli fissati da Agenda 2030 verso la zero carbon. “Per il bene dell’economia, la ripresa economica internazionale dal Covid-19 deve essere attenta all’ambiente”. Questa una delle affermazioni contenute nelle prime pagine dello studioWill COVID-19 fiscal recovery packages accelerate or retard progress on climate change?, pubblicato in questi giorni sull’Oxford Review of Economic Policy. Un report che non solo fa il punto sugli impatti del lockdown su economia, lavoro e società, ma che indica la sostenibilità e l’innovazione come la via per uscire dalla crisi con “politiche climate-friendly, che potrebbero produrre un risultato migliore sia per le economie che per l’ambiente”.

Quali gli effetti generati dalla pandemia?

Secondo lo studio, la crisi COVID-19 potrebbe segnare una svolta epocale rispetto al climate change, visto che quest’anno le emissioni globali di gas serra (GHG) diminuiranno di più rispetto a qualsiasi altro anno registrato. Ma la percentuale di probabile calo del 2020, secondo il report, dovrebbe essere ripetuta, anno dopo anno, per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050. Cosa pressoché impossibile, visto che si prevede un rimbalzo emissioni già con l’inizio della fase 2. Eppure, gli esperti che hanno elaborato lo studio tra i quali figura il premio Nobel Stiglitz e il noto economista climatico Lord Stern, affermano che dovrà esserci un “forte allineamento tra l’economia e l’ambiente”, visto che “la costruzione di infrastrutture per l’energia pulita crea il doppio dei posti di lavoro per dollaro rispetto agli investimenti in combustibili fossili”.

L’emergenza COVID somiglia all’emergenza climatica?

Secondo il rapporto, “l’emergenza climatica è come l’emergenza COVID-19, solo al rallentatore e molto più grave”. Entrambe le emergenze, infatti, implicano fallimenti del mercato, necessità di cooperazione internazionale, complessità di risoluzione, bisogno di resilienza del sistema insieme a leadership politica e azioni di sostegno pubblico utili a superare la crisi. Per questo il sostegno pubblico all’azione sui cambiamenti climatici, aumentato prima della pandemia e che rischia di fermarsi proprio a causa di questa, dovrebbe essere messo al centro dell’azione politica dei Governi. Tanto più in questo momento un cui “le persone sembrano aver compreso la bellezza del poter respirare l’aria pulita, nell’avere strade non congestionate e di quanto potrebbe esserci bisogno di ricostruire meglio” (Ipsos, 2020)”.

Quali le possibili politiche? Quale il ruolo del digitale?

Secondo il report, le politiche da attuare nel post COVID dovrebbero includere la pianificazione della spesa per l’efficienza energetica, la ricerca e lo sviluppo di tecnologie utili al settore green e alla zero carbon, gli investimenti nella formazione e nell’educazione a distanza, necessaria sia per la scuola che per affrontare la disoccupazione creata dall’emergenza Covid-19 e sviluppare opportunità strutturali per l’occupazione derivanti dalla decarbonizzazione. Politiche di investimento importanti, inoltre secondo il report, devono essere orientate a migliorare le infrastrutture di rete, che hanno dimostrato in tempo di pandemia, di contribuire alla riduzione degli spostamenti e in generale alla trasformazione digitale delle aziende.

Cosa aspettarsi nel dopo COVID?

Nell’entrare nella fase 2 e nel “dopo coronavirus”, lo studio afferma che i politici hanno l’opportunità di investire in attività produttive a lungo termine traendo il massimo dai cambiamenti di abitudini e di comportamenti umani già in atto. In vista di COP26, saltata dal 2020 al 2021 proprio a causa della pandemia, l’attenzione dovrebbe essere indirizzata verso quelle sinergie tra clima e obiettivi economici di ripresa, affinché si possa non solo aumentare la ricchezza nazionale e la produttività, ma anche il capitale umano, sociale e naturale.

 

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