4 domande sull’Economia Circolare

La rubrica ABC Zero Carbon introduce e spiega volta per volta, attraverso quattro semplici domande, i principali temi e tendenze al centro dello Sviluppo sostenibile. Dopo gli articoli dedicati ad Anidride carbonica, Biocarburante, Climate Change e Decarbonizzazione, per la lettera E parliamo di Economia Circolare. La circolarità è sempre stato il principio guida della natura. L’Economia Circolare è un’economia migliore perché utilizza le risorse in modo più efficiente. Vediamo come e perché.

Che cos’è l’Economia circolare?

Di fatto oggi non esiste una definizione univoca di Economia Circolare. Secondo un articolo accademico del 2017 in quella data esistevano già circa 115 definizioni di Economia Circolare. Oggi potremmo essere arrivati tranquillamente a quota 150 o forse molte di più. Per questo, per sapere che cosa è l’Economia Circolare, bisogna analizzarla nella sua complessità, non ingabbiata in una definizione sintetica.

Uno dei suoi (tanti) slogan ispiratori può essere quello delle 3R, “riciclare, riusare, ridurre”. L’obiettivo non è e non può essere soltanto il riciclo, ma ancora di più la riduzione degli sprechi e dell’uso delle risorse. L’Economia Circolare industriale si occupa di mantenere e gestire il controllo lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti creati dall’uomo, che siano oggetti o materiali; i proprietari e utenti – tutti coloro che da consumatori diventano utenti – devono agire in modo che gli oggetti industriali rimangano in buono stato. Proprio per non doverli sostituire. L’Economia Circolare è uso condiviso, produzione artigianale, attitudine alla cura, riutilizzo, manutenzione. È recupero, evitare sprechi e duplicazioni superflue, estensione del ciclo di vita dei prodotti, remanufacturing.

Quando è stata la prima volta che si è parlato di qualcosa di simile? Nel 1966 l’economista Kenneth Boulding introduce, nel suo libro “The Economics of the coming spaceship earth”, l’idea della Terra come una navicella spaziale che ha a disposizione un quantitativo limitato sia di risorse sia di possibilità di smaltimento dei rifiuti: la nostra sopravvivenza appare dunque legata alla capacità di usare bene e custodire con cura quello che abbiamo a disposizione, rigenerando i materiali che utilizziamo. Il viaggio parte da lì, ed è strettamente connesso a Zero Carbon.

In Italia, sul quotidiano La Repubblica Economia Circolare appare per la prima volta il 12 marzo 1998, mentre nell’archivio storico dell’Ansa c’è una prima citazione nel 2003.

Che differenza c’è tra Economia Circolare e lineare (tradizionale)?

L’Economia Circolare nasce in antitesi e in alternativa a un modello economico basato sul processo e sul percorso “prendi, produci, vendi, usa e butta via”, ovvero l’economia lineare. É stata già la prima rivoluzione industriale, quindi nella seconda metà del Settecento e inizi Ottocento, a sviluppare la produzione di massa, e quindi il consumo di massa: da allora, riusare, riadattare, riciclare prodotti e oggetti è stato sempre meno necessario, potevano e possono essere facilmente sostituiti ricomprandone di nuovi. Ai produttori conviene tutto questo, per vendere prodotti nuovi.

L’economia industriale lineare finisce al punto vendita, dove la proprietà e la responsabilità legale vengono trasferite all’acquirente. I rifiuti sono un problema non del produttore, ma di qualcun altro. Un’Economia Circolare inizia invece al punto vendita, e punta a mantenere il valore e l’utilità degli oggetti industriali, e il valore e la purezza dei materiali industriali, il più a lungo possibile. Ha sempre avuto l’obiettivo di ottimizzare l’utilizzo degli oggetti, non la loro produzione; di preservare il valore d’uso degli stock di beni.

L’Economia Circolare evolve attraverso due grandi trasformazioni: da necessità a soluzione urgente, e da soluzione urgente a opzione e scelta principale. Cioè: da una società che, a causa della povertà delle persone e della scarsità delle risorse, è circolare per necessità, a un’economia circolare dell’abbondanza come soluzione al devastante problema dell’inquinamento, degli sprechi, dei costi, e dei rifiuti. Per arrivare, alla fine, a un’economia circolare come opzione e scelta a priori, più desiderabile e sostenibile. E l’ultimo passaggio è il più difficoltoso.

Quali sono vantaggi e benefici dell’Economia Circolare?

L’Economia Circolare industriale non è l’unica strategia Smart e Green esistente, ma è probabilmente il modello di business più sostenibile, capace di migliorare insieme e allo stesso tempo più fattori ecologici, economici e sociali. Quindi, uno dei modelli di riferimento più efficaci, in chiave di sostenibilità.

L’impatto dello spreco, a livello globale, è immenso: dal punto di vista energetico, il solo spreco alimentare contribuisce ogni anno all’emissione di 3,3 miliardi di tonnellate di Anidride Carbonica. Un volume dieci volte superiore a quello prodotto dall’Italia. In termini idrici, si butta l’equivalente di 250 chilometri cubi di acqua (in pratica, il flusso annuale di un grande fiume), sufficienti a irrigare 1,4 miliardi di ettari di terra. E lo spreco di denaro: secondo i dati di LastMinute Market – Università di Bologna, ogni anno gettiamo nella spazzatura alimenti per un valore medio di 210 euro a persona.

Ci sono poi gli sprechi e le inefficienze nella produzione, nella mobilità e trasporti, nell’abbigliamento e moda, nelle scelte di consumo, nella finanza, negli investimenti, in pratica, in ogni attività umana e collettiva.

Nei Paesi industrializzati, i vantaggi di un passaggio a un’economia circolare sono, ad esempio, una riduzione dei 2/3 delle emissioni di Anidride Carbonica, e la creazione di occupazione locale. Meno sprechi, meno costi, meno inquinamento, riduzione dei costi anche per la lotta all’inquinamento e la gestione dei rifiuti. Un esempio tra i tantissimi possibili: le lavatrici tradizionali impiegano il 90% dell’energia per riscaldare l’acqua per i lavaggi, che altrimenti sono meno efficaci; mentre usando alcuni enzimi funzionano in acqua fredda e consentono lavaggi efficaci a freddo. Consumando meno, spendendo meno, inquinando meno.

L’impatto macroeconomico di una Economia Circolare matura è stato studiato, ad esempio, in Francia, Spagna, Svezia, Polonia, Olanda, Repubblica Ceca e Finlandia: un’analisi del 2016 ha calcolato che un passaggio su scala nazionale a un modello di Economia circolare ridurrebbe le emissioni di gas serra di circa il 70%, e aumenterebbe i posti di lavoro a livello nazionale del 5%.

Cosa si può fare? Come singoli individui, si sostiene l’Economia circolare ad esempio decidendo di riparare un oggetto, invece di buttarlo e comprarne uno nuovo, o di comprarne uno di seconda mano. In questo modo, tra l’altro, si sostiene l’economia locale piuttosto che l’industria globale. Come produttori, si sviluppa l’Economia circolare decidendo, ad esempio, di vendere beni con una garanzia più lunga, con una garanzia di Buy-back, o affittando beni invece di venderli. Come politici, si favorisce l’Economia circolare per esempio introducendo tasse sui rifiuti e sul consumo delle risorse piuttosto che sul lavoro. Secondo questa visione, il lavoro umano è una risorsa rinnovabile, e quindi circolare, e non dovrebbe essere tassato, o il meno possibile: 11 Stati americani, tra cui Florida e Texas (due potenze dell’economia Usa), non tassano il reddito da lavoro. In questo caso, lo fanno più per scelte liberiste che “circolari”, ma ciò dimostra che il successo economico di un territorio non dipende dalle imposte sul reddito.

Le tecnologie digitali come sviluppano la Circular Economy?

La trasformazione digitale ha un ruolo molto importante per l’economia circolare, perché rende possibile, e sviluppa, modelli di business nuovi, più efficienti, funzionali e profittevoli rispetto al passato. La tecnologia abbatte i costi e aiuta a raggiungere massa critica di mercato. Supporta i processi di circolarità e rende possibili ecosistemi altrimenti estremamente complessi da realizzare. Qualche esempio? Si è parlato di sprechi alimentari. In un mondo dominato dal fenomeno della “platformization”, come la definiscono Van Dijck, De Waal e Poell, autori di Platform Society, talvolta le piattaforme possono essere una soluzione utile in termini di Economia Circolare. È il caso di iniziative come C, ONG inglese che ha creato una piattaforma attraverso la quale i supermercati possono dare nuova vita ai generi alimentari acquistati in eccesso, così che non finiscano nella spazzatura. FoodCloud, utilizzando una piattaforma in cloud alla quale sono collegate centinaia di associazioni di volontariato ed una rete capillare di supermarket, distribuisce oltre 65 milioni di pasti l’anno a persone in difficoltà economica, facendo del bene ed ottenendo un risparmio, in termini ambientali, di ben 87 mila tonnellate di CO2.

Ripensare le value chain utilizzando le possibilità della tecnologia consente inoltre di introdurre strumenti e modelli in grado di fornire una vera e propria “infrastruttura” all’Economia Circolare. È il caso di Blockchain, tecnologia tanto discussa quanto spesso fraintesa, che può essere utilizzata nella gestione dei rifiuti e delle materie prime. Grazie ad un processo di tokenizzazione, infatti, si possono sviluppare dei veri e propri ecosistemi decentralizzati nei quali il costo dello smaltimento delle materie prime utilizzate nei processi di filiera (si pensi a vetro e plastica) non sia a carico soltanto del consumatore, ultimo anello della catena, ma possa essere distribuito su tutti gli attori coinvolti nella gestione. In tal modo si possono immaginare contesti nei quali ad ogni prodotto corrispondano dei token che – correttamente gestiti dai diversi attori che compongono la filiera di distribuzione prima e di smaltimento poi – possano trasformarsi in vantaggi concreti (economici o meno). Il produttore fornisce le indicazioni corrette per lo smaltimento della plastica che compone i suoi prodotti e quindi i consumatori sono facilitati nella gestione del processo? Ciò potrà essere tracciato e contribuirà al rating di sostenibilità del produttore. Il consumatore finale effettua correttamente la raccolta differenziata? Potrà guadagnare così dei crediti per abbattere le tasse sui rifiuti. Perché ciò sia possibile, ovviamente, non basta una sola tecnologia, ma serve ragionare in termini di ecosistema, appunto. E quindi per gestire entità che hanno ovviamente una loro dimensione “fisica” e materiale, sarà sempre più importante implementare tecnologie IoT per lo sviluppo di sensoristica diffusa in grado di monitorare la veridicità di ciò che si vorrà “scrivere” nella blockchain. Ancora: importante è il contributo delle piattaforme di sharing economy, così come lo sviluppo di modelli di business a supporto della “servitizzazione”, ossia la possibilità di poter trattare il prodotto come un servizio, così da poter sposare modelli di gestione che ne estendano il ciclo di vita e permettano di ottimizzarne manutenzione, riparazione e rimessa sul mercato. Insomma: la sostenibilità digitale e lo sviluppo di ecosistemi digitali pensati per favorire la sostenibilità sociale, economica ed ambientale rappresentano degli alleati indispensabili per l’economia circolare.

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