4 domande sull’Anidride Carbonica

Ci sono parole che troviamo scritte nelle colonne dei giornali, che sentiamo pronunciare nei telegiornali, che ritroviamo sulle notizie lette in fretta dalla timeline di un social network e alle quali associamo un significato o un legame che a volte in realtà non hanno.

E’ il caso di Anidride Carbonica che trova spazio, come prima parola da spiegare, in questa nuova rubrica ABC sulla zero carbon che vuole sfatare qualche mito, smontare alcuni pregiudizi ma soprattutto aiutare a fare chiarezza sul significato di certi termini, attraverso la risposta a semplici domande. Quelle che a volte non facciamo perché ritenute scontate.

L’Anidride Carbonica fa male?

L’anidride carbonica è un gas composto da 2 atomi di ossigeno e 1 atomo di carbonio, indispensabile per il processo di fotosintesi delle piante, dove si utilizza CO2 e acqua per produrre ossigeno e glucosio. Dalla CO2 dipende, quindi, la vita delle piante, degli erbivori che se ne cibano e dei carnivori che sopravvivono grazie a questi ultimi. In pratica, tutta la vita sulla Terra è costruita usando come mattone fondamentale il carbonio che le piante riescono a separare dall’ossigeno grazie all’energia del Sole.

La CO2, pertanto, non fa male in assoluto, ma un eccesso di emissioni di questo gas, derivate da processi di combustione, e troppo intense per poter essere naturalmente assorbite dai processi naturali prima descritti, comportano l’aumento di concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera e con questo diversi danni ambientali ormai, purtroppo, concretamente verificabili in modo inequivocabile. Il surriscaldamento globale, per esempio, sembra essere figlio di un eccesso di emissioni visto che una elevata concentrazione di CO2 forma nell’atmosfera una sorta di “cappa” che impedisce l’espulsione del calore assorbito dalla terra nelle ore diurne, portando a un innalzamento graduale delle temperature. Per questa ragione l’anidride carbonica viene spesso associata all’idea di “danno ambientale” e rientra nella categoria dei gas climalteranti, ovvero in grado di modificare il clima. L’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, la maggiore autorità internazionale sul cambiamento climatico riconosciuta dai Governi di tutto il mondo, ha individuato la causa dell’aumento della temperatura mondiale nell’aumento di emissioni di gas serra. Tra questi, considerando le singole molecole, il contributo climatico maggiore lo dà certamente il meano e altri gas minori, ma considerando la mole di emissioni, la CO2 è quella che dà il maggiore contributo al cambiamento climatico.

Solo le industrie sono “colpevoli” delle emissioni di CO2?

Secondo numerose analisi indipendenti effettuate da differenti centri ricerche, la concentrazione di anidride carbonica è aumentata del 35% dalla Rivoluzione Industriale ad oggi. Se è vero, quindi, che c’è una correlazione tra attività industriale, tipica dei Paesi sviluppati, e emissioni di anidride carbonica derivanti dal processo di combustione di fossili, è anche vero che per esempio le attività di deforestazione incontrollate non hanno certo aiutato l’equilibrio dell’ecosistema.

Tutti produciamo anidride carbonica, sia attraverso la respirazione per la quale si emettono quantità irrilevanti di CO2 facilmente riassorbibili dall’ambiente, sia attraverso i nostri comportamenti quotidiani. Tanto per avere qualche riferimento, tenere una lampadina accesa per 4 ore produce 0,2 kg di CO2 o fare una doccia o attivare la lavastoviglie produce 1 kg di CO2. Valori che sfiorano i 20 Kg di anidride carbonica al giorno si raggiungono riscaldando un appartamento di circa 60 metri quadrati. A fronte di questi numeri, secondo l’IEA la produzione di energia nel 2018 ha comportato l’emissione di circa 33 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2, il 30% (10 Gt) dei quali è stato prodotto da centrali a carbone.

Le tecnologie possono fare qualcosa per limitare i danni prodotti da un eccesso di emissioni di CO2?

Come sottolineato da Roberto Millini, Direzione Ricerca e Innovazione Tecnologica, Vice President Cattura e Utilizzo CO2 Eni, grazie alle tecnologie è possibile mettere in campo progetti di gestione della CO2, consistenti nella sua cattura e stoccaggio geologico (Carbon Capture and Sequestration, CCS) o nel suo utilizzo (Carbon Capture and Utilization, CCU). Lo stoccaggio, ad oggi, è purtroppo ancora lontano dal dare il contributo richiesto: al momento, infatti si stoccano circa 35 milioni di tonnellate l’anno quando lo scenario 2DS dell’International Energy Agency (IEA) prevede uno stoccaggio annuale di 0,8 Gt nel 2030 e di 4,9 Gt nel 2060. Ancora troppo poco sviluppato anche il processo di riuso della CO2 pari, al momento attuale, a circa 300 milioni di tonnellate l’anno, ovvero meno dell’1% di quella emessa. Il limite, rappresentato dalla onerosità in termini energetici di tutti i processi di trasformazione e riutilizzo di CO2, può essere superato solo attraverso il miglioramento o la scoperta di tecnologie innovative.

Quali sono gli impatti della trasformazione digitale sull’Anidride Carbonica?

L’aumento della CO2 è figlio di una tecnologia basata sul carbone, ed anche oggi l’impronta carbonica è un elemento che viene utilizzato per valutare l’impatto di alcune tecnologie digitali, come per esempio Intelligenza Artificiale o la registrazione di scambi tramite Blockchain. Tuttavia il digitale non si limita a produrre CO2, ma consente di supportare i processi industriali ed economici in modo da renderli più efficienti e quindi ridurre la quantità di CO2 prodotta. In altri termini, così come le tecnologie digitali supportano la reingegnerizzazione dei processi permettendo una loro ottimizzazione, allo stesso modo supportano una reingegnerizzazione delle emissioni per consentire un loro abbattimento.

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