Il trade-off tra l’impronta carbonica della Blockchain e il suo utilizzo contro il climate change

La blockchain ha sicuramente un impatto sul clima, come alcuni studi hanno dimostrato: d'altra parte, però, la sua applicazione potrebbe abilitare comportamenti sostenibili contribuendo alla lotta al cambiamento climatico

Su TechEconomy2030 si è spesso fatto riferimento a come la Blockchain non sia una tecnologia applicabile solo al mondo delle criptovalute, ma che questa possa essere utilizzata anche per il raggiungimento di vari obiettivi di sostenibilità, tra cui quello della carbon neutrality.

Tuttavia, se è vero che la Blockchain può essere un valido strumento di sostenibilità ambientale, è pur vero che il suo funzionamento la rende una tecnologia a sua volta fortemente emissiva. Quindi, per comprendere se essa sia sostenibile o meno, è necessario ragionare in termini di tradeoff tra quanto “consuma” e quanto consente invece di risparmiare in funzione degli specifici usi che se ne possono fare.

L’impronta carbonica della Blockchain

Per funzionare, una Blockchain ha bisogno di una grossa quantità di elettricità che genera un livello importante di emissioni di CO2: migliaia e migliaia di computer connessi tra loro che processano continuamente dati hanno senz’altro un’impronta carbonica da non sottovalutare.

Per impronta carbonica, o Carbon Footprint (CF), si intende l’indicatore che esprime la quantità di carbonio emessa da un’attività e si misura in Kg di CO2 equivalente (KgCO2eq). Per farsi un’idea sul tema è possibile stimare quanta anidride carbonica produca, ad esempio, il proprio sito web: un sito che registra 50mila pageview al mese produce circa 211.2 KgCO2eq all’anno. Quindi un sito come Amazon, ad esempio, ne produce migliaia di tonnellate.

Da uno studio del 2019 emergono alcuni dati interessanti sull’impronta carbonica della blockchain che si basano proprio sul calcolo dell’energia consumata dall’applicazione più nota: Bitcoin. A novembre 2018, il consumo annuale di elettricità dei Bitcoin era di 45,8 TWh, con una produzione di emissioni quanto lo Sri Lanka e la Giordania messe insieme, per un totale di 22,9 milioni di tonnellate di C02. Un dato, questo, in netto aumento: a novembre 2020, infatti, il consumo di energia dei Bitcoin era stimato intorno ai 76,87 TWh all’anno. Il tutto dipende, naturalmente, anche in larga parte dall’efficienza degli hardware utilizzati per gestire la catena dei bitcoin e generare nuovi bitcoin (operazione computazionalmente molto complessa): maggiore sarà il livello di efficienza dell’hardware, tanto minore sarà la quantità di anidride carbonica emessa.

Quindi le blockchain hanno un’impronta carbonica che viene influenzata sostanzialmente da due fattori:

  1. diffusione della tecnologia;
  2. efficienza degli hardware.

Nel 2020 la spesa globale per la blockchain ha raggiunto i 4,1 miliardi di dollari e si stima una crescita del 337% entro il 2024, raggiungendo i 17,9 miliardi. Questo per dire che seppur l’adozione di hardware che via via consumano meno elettricità dovesse aumentare, la diffusione della tecnologia crescerebbe più che proporzionalmente e di conseguenza anche la sua impronta carbonica.

Quindi la blockchain ha sicuramente un impatto sul clima, ma la sua adozione quanti benefici effettivi potrebbe portare in termini di lotta al cambiamento climatico?

Proviamo a dare una risposta

È noto a tutti che la produzione alimentare è un’attività che ha una sua impronta carbonica: ad esempio, per avere una bistecca di 250 grammi si producono 3,4 KgCO2eq, stessa cosa per un chilo di pomodori in serra. Oggi accedere ad alimenti eticamente prodotti non è facile, o quantomeno non è così facile recuperare le informazioni sui processi di produzione: la blockchain può essere utilizzata per avere visibilità su tutte le tappe che un prodotto percorre dal produttore al punto vendita e aiutare i consumatori a fare scelte d’acquisto sostenibili. Un esempio di blockchain applicata all’agrifood è Foodtrack, ossia un’app mobile che rende visibili tutti gli step di una filiera di produzione alimentare, così da permettere agli utenti più consapevoli di scegliere un prodotto che adotta metodi produttivi a basso impatto ambientale rispetto ad uno che, invece, è più inquinante.

Anche dal punto di vista del riciclaggio dei rifiuti, questa tecnologia può aiutare tanto le persone quanto le aziende nell’adozione di comportamenti più attenti e responsabili. Ad esempio grazie alla blockchain è possibile incentivare la partecipazione alla raccolta differenziata tramite una ricompensa con dei token crittografici, ossia oggetti (digitali) che rappresentano un valore economico scambiabile in rete. Verrebbe inoltre garantita maggiore trasparenza sia sulla quantità che sulla qualità dei rifiuti riciclati, con un controllo tanto sulle attività di riciclaggio dei vari attori presenti nella rete. È esattamente quello di cui si occupa il progetto Plastic Bank, dove i token riconosciuti ai membri che decidono di portare a smaltire la plastica presso alcuni punti di riciclaggio, possono essere riutilizzati per l’acquisto di beni alimentari, prodotti per la scuola, assicurazioni sanitarie ed altro ancora. Il vantaggio di Blockchain, in questo caso, è costituito dal fatto di configurarsi come elemento che “coede” attorno ad una soluzione tecnologica “terza” una catena di gestione che contempla numerosi attori.

La blockchain può essere applicata anche al settore energetico, come è stato fatto a New York nel 2016. Tramite l’archiviazione decentralizzata propria della tecnologia, ogni famiglia in grado di produrre elettricità tramite pannelli solari poteva vendere la quantità di energia prodotta in eccesso al proprio vicino sostituendosi, di fatto, ad un operatore energetico terzo. Questa soluzione ha permesso di riutilizzare tutta quell’energia solare che sarebbe stata in ogni caso prodotta, ad esempio, quando le famiglie erano fuori senza disperderla inutilmente, ed economizzando tutto il processo. Anche in questo caso Blockchain ha il ruolo di tecnologia “garante” di un processo per il quale altrimenti il cittadino si sarebbe dovuto “affidare” alla sua controparte, ossia il gestore dell’energia.

Sempre nel mondo dell’energia, un altro esempio interessante è senza dubbio quello di Eni. L’azienda, infatti, all’inizio del 2017 ha lanciato, insieme a BP e Wien Energy, un progetto pilota per la blockchain nella gestione degli scambi di energia tra diversi soggetti. In questo senso, grazie alla piattaforma blockchain “Interbit”, sviluppata dalla canadese BTL, è stato possibile realizzare il primo sistema di commercio elettronico dell’energia, sicuro ed autogarantito.

Oltre a quelle che abbiamo menzionato, un video di Future Thinkers spiega molto bene alcuni esempi di come la blockchain possa essere applicata al contrasto del cambiamento climatico e alla salvaguardia dell’ambiente a dimostrazione di come ci sono tante realtà che, seppur applicando una tecnologia che ha un impatto sulle emissioni non del tutto trascurabile, è in grado di incentivare comportamenti responsabili grazie ai quali il suo bilancio complessivo può diventare attivo.

Bilancio che, peraltro, potrebbe essere gestito proprio con Blockchain. Per il mercato dei crediti di carbonio introdotto con il Protocollo di Kyoto, ad esempio, lo scambio e la gestione dei diritti di rilascio delle emissioni tra le aziende – appunto i crediti – vede nel database decentralizzato un potente strumento di controllo, monitoraggio e ottimizzazione. Quando un’azienda produce meno emissioni di quelle concordate come limite massimo, l’avanzo viene nuovamente archiviato nel database e rinegoziato. Questo significa che se un’azienda ha acquistato il diritto ad una certa quantità di emissioni e non la raggiunge, la restante parte può essere trasferita ad un’altra azienda senza che questa ne acquisti delle ulteriori.

Riprendendo la domanda di partenza dove ci chiedevamo se esiste un trade-off tra l’impronta carbonica della blockchain e la sua diffusione per mitigare il cambiamento climatico, gli esempi che abbiamo portato sul tavolo ci mettono di fronte al fatto che questa tecnologia è un ulteriore valido strumento a disposizione di tutti per adottare pratiche comportamentali sostenibili. Sappiamo che l’applicazione della blockchain per il contrasto al cambiamento climatico è relativamente nuova e ha ancora molte potenzialità e contesti di applicazione ancora inesplorati, così come sappiamo che azzerare le emissioni di CO2 è impossibile ma è comunque possibile ridurle. La contropartita dell’impronta carbonica di questa tecnologia è la sua capacità di abilitare nuove abitudini sostenibili su larga scala e su più livelli permettendo a vari attori di svolgere la propria parte nella lotta al cambiamento climatico.

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