La difficile sfida di Xi Jinping: decarbonizzare l’economia Cinese entro il 2060

La decarbonizzazione della Cina avrebbe un impatto enorme a livello planetario, ma il percorso verso questo obiettivo non sembra essere privo di difficoltà a livello politico, economico e tecnologico

L’obiettivo della Cina è quello di raggiungere la “neutralità carbonica” entro il 2060, giungendo in una prima fase a ridurre i propri consumi di risorse di almeno il 30% entro i prossimi due decenni. O almeno, questo è ciò che ha annunciato il Presidente cinese Xi Jinping a fine Settembre 2020 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

L’impatto di una simile riduzione da parte della Cina, avrebbe una incidenza enorme sui livelli di decarbonizzazione necessari per ristabilire un equilibrio nell’ecosistema del pianeta: basti pensare che solo il colosso cinese è responsabile ogni anno di più del 30% delle emissioni complessive di gas serra, togliendo agli USA il loro primato di maggiori responsabili delle emissioni fin dal 2018.

Tuttavia, questo richiede parallelamente una profonda riconversione del sistema economico del gigante asiatico basato sia su di una massiccia riconversione industriale sia, soprattutto, su un passaggio più avanzato verso il settore dei servizi.

In questa transizione, inevitabilmente la tecnologia giocherà un ruolo fondamentale sia a livello endogeno sia esogeno, ovvero, sia come strumento per la riqualificazione industriale sia come segmento di prodotti e servizi avanzati da offrire sul mercato mondiale. In pratica si tratterebbe di traghettare il colosso cinese da settori ad alta intensità di capitale verso una attività ad alto livello di know-how e valore aggiunto.

La strategia di “transizione economica” cinese per la decarbonizzazione

Non è ancora chiaro come ciò potrebbe incidere sul bilanciamento complessivo dell’economia globale, tuttavia un effetto più che certo interno all’economia cinese sarà quello di una transizione dai forti livelli di esportazione ad una rapida crescita della domanda e dei consumi interni. Si tratta però di un processo lungo, che la Cina ha programmato e sta sviluppando da anni, per il quale sono state poste le basi (tecnologiche ed economiche) già tra il 2013 ed il 2015; come emerge anche da alcune ricerche degli economisti della LSE nel 2016, e dagli studi del 2019 dell’Accademia Americana delle Scienze e di quella di Stoccolma.

Ciò vuol dire che oltre a sviluppare un piano energetico diversificato, basato sulle energie rinnovabili, la Cina punterà sul riequilibrare i propri settori economici di riferimento, così da incidere sui “driver” economici che implicano il consumo massiccio di determinate risorse ed i più elevati livelli di emissioni. Una sfida che se raggiungesse i risultati auspicati dal 14 piano quinquennale del Governo Cinese, avrebbe un impatto fondamentale sulla riduzione.

In particolare, il riequilibrio contribuirà alla transizione energetica della Cina passando da attività ad alta intensità di energia ad altre attività a basso consumo energetico. Ciò avverrebbe facendo in modo che il capitale e la manodopera oggi impiegati in settori come la produzione di acciaio, di cemento e vari beni industriali, vengano traslati a tutt’altri ambiti di impiego. Ad esempio, spostando le attività di impiego verso la fornitura di servizi, verso servizi di istruzione, di assistenza sanitaria e quant’altro rientri nell’ambito del terziario avanzato; ciò porterebbe l’economia cinese gradualmente a consumare meno energia per ogni unità di PIL prodotta.

Le difficoltà politiche ed economiche per decarbonizzare la Cina

Che la Cina raggiunga, entro i prossimi quarant’anni, la piena sostenibilità in termini di emissioni nocive per la salute e per l’ecosistema è decisamente auspicabile; tuttavia, l’obiettivo del Presidente Xi Jinping di “restituire un cielo blu alla Cina” richiede un percorso non privo di ostacoli.

Innanzitutto, secondo i maggiori commentatori internazionali, il piano della Cina per la decarbonizzazione della sua economia entro il 2060 è una sfida ardua soprattutto perché richiede che 1,4 miliardi di persone si “ri-convertano” ad un’altra economia nell’arco di pochi anni, con il rischio di creare profonde crisi sociali e nuove povertà in alcune fasce della popolazione.

Tuttavia, S&P Global Ratings prevede che il PIL cinese crescerà a un tasso medio annualizzato del 3,6% nei prossimi due decenni, e questo si ritiene possa far si che i fattori critici “interni” all’economia cinese possano essere tenuti sotto controllo; anzi, la riqualificazione professionale di milioni di individui richiederà altre forme di occupazione nel settore della formazione e, contemporaneamente, innalzerà nel medio-lungo periodo le condizioni sociali e salariali di molti lavoratori non specializzati.

Gli ostacoli tecnologici e politici per la decarbonizzazione cinese

Tuttavia, il fattore tecnologico come si è detto svolgerà un ruolo fondamentale, sia sul fronte della riconversione del sistema economico sia sul fronte della decarbonizzazione attraverso le energie rinnovabili. Questo secondo aspetto non è secondario se si tiene conto del fatto che, secondo le stime della Wood Mackenzie, per raggiungere i suoi obiettivi di decarbonizzazione la Cina dovrebbe aumentare di 11 volte la sua attuale capacità in termini di energia solare, eolica e di stoccaggio, il tutto per un ammontare complessivo di 5.040 giga watt di energia entro il 2050. Per queste ragioni, la migliore alternativa per Pechino potrebbe essere quella di utilizzare anche tecnologie CCS, senza le quali la neutralità carbonica potrebbe rivelarsi pressoché impossibile da raggiungere, nonostante anche per queste rimanga il dubbio su quanto affidamento si possa effettivamente riporre in un modello predittivo puramente algoritmico. In ogni caso, la Cina è ancora lontana, secondo alcuni studi, dal poterla adottare massicciamente nel breve periodo.

Un’altra problematica significativa è quella rappresentata dalla mancanza di alternative tecnologiche per rendere convertibili verso più bassi livelli di emissioni di carbonio due settori fondamentali dell’economia cinese: il settore dei trasporti e quello dell’industria pesante. Per avere una idea della loro incidenza complessiva, basti pensare che solamente nel 2019 i due settori hanno prodotto ben 5,7 miliardi di tonnellate di emissioni di carbonio, una cifra che da sola equivale alle emissioni degli USA e del Regno Unito messi assieme.

La Cina di Xi Jinping, dunque, sta compiendo un passo significativo per il benessere complessivo del nostro ecosistema, ma per raggiungere questi ambiziosi obiettivi sarà necessario creare trovare il modo di governare fattori determinanti ed interconnessi tra loro: sviluppo tecnologico, riconversione dell’economia dalle esportazioni al mercato interno dei servizi, riqualificazione professionale dei lavoratori ed investimenti in settori ad alto valore aggiunto.

Riprendendo il titolo del suo libro-manifesto, se Xi Jinping riuscirà a “Governare la Cina” tenendo assieme tutti questi fattori socio-economici, si stima che la Cina potrà superare anche gli Stati Uniti in termini di risorse economiche e know-how tecnologico entro il 2024. E proprio quest’ultimo aspetto rappresenta un altro elemento di ostacolo al progetto cinese, perché se da una parte tutti sono entusiasti all’idea che la Cina possa ridurre drasticamente il proprio impatto ambientale sul Pianeta, dall’altra essa rappresenterebbe così una variazione all’ordine politico mondiale. Ecco perché un altro aspetto da tenere presente sarà quello dell’interazione tra la Cina e gli USA. Questi ultimi, infatti, stanno portando avanti la loro idea di un decoupling, ovvero, di una separazione netta tra reti e le “filiere tecnologiche” statunitensi e quelle cinesi. Tutto ciò non solo per ragioni di sicurezza, ma anche per rallentare lo sviluppo tecnologico cinese che ancora oggi necessita di forte sostegno da parte del mercato occidentale per poter completare il suo percorso di sviluppo.

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