Anche nelle stalle c’è il digitale

Secondo una recente analisi di Istat, c'è ad oggi una buona diffusione delle tecnologie nelle aziende zootecniche italiane: una diffusione che abilita diverse opportunità, dal benessere animale al miglioramento dei processi decisionali, passando per la sostenibilità ambientale

In agricoltura il futuro è già arrivato. Così parrebbe se si entra in una stalla di ultima generazione, dove gli animali sono controllati da sensori, il latte è analizzato appena munto, l’ambiente è costantemente monitorato e controllato, le vacche munte da un robot. Ma anche sui campi lo scenario non cambia. Ci sono i trattori a guida autonoma, i campi controllati dai satelliti, gli impianti di irrigazione comandati da centraline meteo pilotate a loro volta da informazioni ambientali e previsioni via web.

Poi ci si sposta di qualche decina di chilometri, specie se si va verso la montagna, e lo scenario cambia, riportandoci a un’agricoltura “analogica”, dove il computer si limita a seguire il bilancio aziendale e i dati di produzione si scrivono sulla carta. Semplicemente perché lì non arriva la copertura della rete e l’internet delle cose (IoT, internet of things), come pure le applicazioni dell’intelligenza artificiale, restano un miraggio.

Accade troppo spesso, come confermano i dati dell’indice composito Desi (Indice di digitalizzazione dell’economia e della società). Questo indice prende in esame vari parametri e fra questi la connettività a banda larga, le competenze digitali, l’uso di internet. Imbarazzante il risultato, che pone l’Italia al quartultimo posto, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria.

A Desi sfugge tuttavia la buona penetrazione del digitale, rete permettendo, nelle stalle italiane. Questo aspetto è invece preso in esame da una recente analisi di Istat, finalizzata a verificare la diffusione delle tecnologie nelle aziende zootecniche italiane.

Si scopre così che quasi il 53% delle imprese di allevamento utilizza una connessione in banda larga. E ci si avvicina all’83% quando il campione esaminato è rappresentato dalle aziende più grandi. Il dato che ne emerge è sorprendente, specie considerando che solo dieci anni fa la percentuale di aziende agricole che aveva avviato processi di digitalizzazione non arrivava al 4%.

Come per tutti i settori produttivi, il limite alla diffusione delle tecnologie digitali è rappresentato dalla diversa distribuzione delle connessioni veloci, che raggiunge oltre il 63% nelle aziende del Nord, per scendere a poco più del 34% al Sud e nelle Isole. Ma dove la rete è disponibile, ecco diffondersi l’allevamento di precisione, il precision farming per dirla con un termine in uso fra gli “addetti ai lavori”.

Un campo di utilizzo dove le tecnologie digitali offrono un aiuto prezioso è quello dell’alimentazione, che consente di ottimizzare la razione alimentare in funzione delle esigenze nutritive di ogni singolo capo o per gruppi di animali. Il risultato non si ferma agli aspetti produttivi, ma coinvolge l’ambiente (minori sprechi, minori emissioni) e il benessere animale. A questo fine offrono un ottimo aiuto anche i sistemi che monitorano costantemente i singoli animali, segnalandone lo stato fisiologico o di salute. Non meno importanti i processi digitali connessi alla produzione del latte, con controlli in tempo reale di quantità e qualità.

Molte dunque le opportunità che le tecnologie digitali offrono alle imprese zootecniche, pur senza nascondere che per completare l’evoluzione digitale di questo comparto è necessario risolvere alcuni aspetti ancora critici. Fra questi, non considerato nelle analisi di Istat, rientra l’assenza di un “dizionario” comune che consenta ai vari sistemi digitali di dialogare fra loro.

Quando, per fare un esempio, si rende necessario collegare i dati della stalla con quelli delle produzioni agricole, il trasferimento dei dati da un sistema all’altro a volte è impossibile, salvo trasformando l’agricoltore in un “amanuense” del computer.

A dispetto di queste limitazioni, il risultato osservato nei processi di innovazione digitale nelle stalle conferma la maggiore facilità nella condivisione delle informazioni all’interno dell’azienda. Un vantaggio che si traduce nel miglioramento dei processi decisionali, aumentando di conseguenza l’efficienza aziendale e la sua redditività. Un quinto del campione preso in esame nelle analisi di Istat ha confermato i vantaggi manageriali conseguenti al controllo costante della salute della mandria e del processo di mungitura.

Dalle applicazioni digitali scaturisce una grande mole di dati che l’imprenditore agricolo deve essere in grado di interpretare e gestire. Ciò richiede conoscenze, e dunque una adeguata preparazione, e poi tempo. C’è chi ha voluto analizzare l’impatto economico di questo impegno, per giungere alla conclusione che le ore che l’allevatore impiega nella cura degli animali è meno redditizio di quello dedicato all’analisi dei dati.

La transizione digitale alla quale sta lavorando il dicastero guidato da Vittorio Colao offrirà nuove e più ampie opportunità di innovazione sui campi e nelle stalle. Un progresso che dovrebbe favorire il superamento di un attuale limite nell’uso del cloud computing, come viene definito l’insieme di servizi di informazione e comunicazione accessibili a richiesta e in forma autonoma tramite internet.

Sino alla fine del 2020, data ultima alla quale si riferiscono le analisi di Istat, solo un quarto delle aziende zootecniche aveva acquistato servizi che afferiscono a questa tipologia, come software e servizi di archiviazione, con l’unica eccezione della posta elettronica, che è il servizio più diffuso. Altro segmento nel quale il mondo zootecnico è in posizione arretrata è quello della comunicazione attraverso i social, poco utilizzato (poco più del 50%) anche nelle aziende di maggiori dimensioni. Ancora più limitata la vendita online, frenata dalle difficoltà logistiche delle spedizioni dei prodotti deperibili, come carne e formaggi.

Ostacoli che gli imprenditori zootecnici dovranno superare per mantenersi al passo con l’evoluzione dei consumi verso l’e-commerce, al quale l’emergenza sanitaria ha dato un forte impulso, destinato a durare. Un modo anche per superare le strettoie di una lunga catena distributiva, dove il valore del prodotto si disperde, premiando gli ultimi anelli del percorso ed erodendo i già scarsi margini dei produttori.

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