L’Accademia dei Georgofili fu fondata a Firenze nel 1753 da Ubaldo Montelatici, canonico lateranense, allo scopo di «far continue e ben regolate sperienze, ed osservazioni, per condurre a perfezione l’Arte tanto giovevole della toscana coltivazione»: un’iniziativa talmente apprezzata che nel 1897 arrivò il riconoscimento di “istituzione statale”; al mondo, è la più antica nel suo genere ad occuparsi di agricoltura, ambiente, alimenti, promuovendo il progresso delle conoscenze, lo sviluppo delle attività tecnico-economiche e la crescita sociale. Attenta all’attualità, oggi si confronta con l’agricoltura “4.0”, che ha fatto della tecnologia digitale uno dei trampolini evolutivi e che è stata oggetto di un recente webinar organizzato da Fieragricola di Verona, preludendo agli approfondimenti previsti durante la prossima edizione della rassegna internazionale di agricoltura, in programma a Veronafiere dal 26 al 29 gennaio 2022.
Tra i relatori on-line, anche Gianluca Brunori, ordinario di Economia Agraria all’Università di Pisa e presidente del Comitato Consultivo sulla digitalizzazione in agricoltura dell’Accademia dei Georgofili, che ha rilevato una criticità nazionale: «Secondo il rapporto Desi, il nostro Paese è agli ultimi posti in termini di digitalizzazione. Quest’ultima può facilitare lo sviluppo sostenibile ma è importante che tutte le imprese agricole anche quelle più piccole vi possano accedere».
Già: nell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società DESI 2020 stilato dalla Commissione europea l’Italia risulta in 25° posizione su 28 Stati membri, davanti a Romania, Grecia e Bulgaria. Con parametri così bassi, dove andiamo?
«Il rapporto DESI – riprende Brunori – mostra che il problema principale è rappresentato dal capitale umano, mentre per quello che riguarda l’infrastruttura, siamo nella media con gli altri Paesi europei. Per quello che riguarda le aree rurali, il gap è amplificato, in quanto le infrastrutture sono meno diffuse e il livello del capitale umano è mediamente inferiore. Per colmare il gap, sono necessarie politiche attive, che a) si basino su dati adeguati, considerato che, al momento, non abbiamo statistiche che monitorano specificamente l’agricoltura e le aree rurali; b) adattino gli interventi alle caratteristiche dei territori interessati: aree periurbane hanno esigenze molto diverse dalle aree rurali remote; c) coinvolgano le popolazioni locali. Particolarmente importanti a questo riguardo sono le politiche di formazione, la presenza di “intermediari della conoscenza” in grado di facilitare l’accesso alle tecnologie digitali, progetti speciali per favorire la digitalizzazione della pubblica amministrazione in aree rurali».
La riforma della politica agricola comune 2021-2027 – recentemente approvata al Consiglio europeo dei ministri agricoli, in vigore dal primo gennaio 2023 e oggetto di una “revisione a medio termine” nel 2025 – non soddisfa pienamente il mondo agricolo: potrebbe essere l’occasione per mettere a punto un piano strategico nazionale a misura delle esigenze del territorio e delle imprese agricole italiane?
«Purtroppo la riforma della PAC nasce già vecchia, in quanto tiene conto solo parzialmente degli obiettivi che nel frattempo la Comunità Europea si è data in relazione agli aspetti climatici, della biodiversità e dell’inquinamento. Vedo nella nuova PAC un’importante sfida nell’approccio (che da ora si baserà sulla performance piuttosto che sull’adempimento) e questo implicherà una profonda revisione del modo di lavorare delle istituzioni preposte all’implementazione. In particolare, sarà necessaria una più stretta integrazione con il mondo scientifico per rafforzare gli strumenti di strategia, di monitoraggio e di valutazione. La digitalizzazione, a questo proposito, potrebbe essere una delle chiavi del nuovo approccio, facendo fare un salto di qualità nel rapporto tra azienda agricola e amministrazione e nella capacità di raccolta dei dati. Il piano strategico nazionale è un importante banco di prova per questo nuovo approccio».
Fra le innovazioni tech che oggi stanno supportando l’agricoltura, quale ritiene sia la più efficace?
«Da un’inchiesta di DESIRA emerge chiaramente come il vantaggio fondamentale della digitalizzazione sia l’accesso da parte degli agricoltori all’informazione: da quella tecnica a quella di mercato, e alla maggiore libertà che il maggiore accesso alle informazioni consente. Vedo grandi potenzialità anche nell’Internet delle Cose, che dà agli agricoltori la possibilità di fornire dati in tempo reale sui processi, e che consentono decisioni più tempestive, maggiore efficienza e miglioramento delle capacità di previsione. Tuttavia, la diffusione di questi sistemi dipende da alcuni fattori – come l’apertura dei sistemi e dei database, l’interoperabilità, la presenza di servizi di assistenza tecnica adeguati – che implicheranno decisioni in ambito politico».
È stato, inoltre, già redatto il documento “Le prospettive della digitalizzazione per lo sviluppo sostenibile del territorio rurale“, con cui il Comitato consultivo sulla digitalizzazione agricola dell’Accademia dei Georgofili intende proporre un quadro concettuale, alcuni elementi di evidenza empirica e le prime riflessioni sulle prospettive per la digitalizzazione in agricoltura e nelle aree rurali. I contenuti sono orientati agli obiettivi delle politiche europee (Council of the European Union, 2020) e nazionali (Dipartimento per le Politiche Europee, 2021), che mostrano forte attenzione nei confronti dei processi di trasformazione digitale: chiave della modernizzazione sostenibile dell’agricoltura e delle aree rurali.
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