Economia circolare e SDG 8 – Lavoro dignitoso e crescita economica

L'economia circolare può fare molto in funzione di un mondo del lavoro dignitoso e inclusivo, come da ottavo obiettivo di Agenda 2030. Sono molte le professioni legate a questo modello economico: tutte, in qualche modo, legate all'ecosistema digitale

Immagine distribuita da PxHere con licenza CC0

L’economia circolare può fare da facilitatore nella riorganizzazione delle politiche economiche e sociali all’insegna di una crescita sostenibile e di un mondo del lavoro dignitoso e inclusivo, come auspica l’obiettivo di sostenibilità numero 8. È infatti caratteristica dell’economia circolare la “servitizzazione” del mondo produttivo. Della sharing economy, ad esempio, beneficia l’universo dei lavoratori per molti versi, ma anche la crescita dei paesi. È quanto emerge dai risultati del dossier dell’International Labour Organization che vedono una crescita di richiesta di mansioni e competenze legate alla sostenibilità ma anche pratiche sostenibili sugli orari e le modalità di lavoro.

Nello scenario dell’economia circolare, l’occupazione mondiale aumenterebbe dello 0,1% entro il 2030 rispetto a uno scenario normale. Ciò equivale a circa 6 milioni di posti di lavoro in più in un sistema che adotta determinati principi, come il riciclo e l’economia dei servizi. La crescita dell’occupazione è guidata dalla crescita nei servizi e nella gestione dei rifiuti, con rispettivamente circa 50 e 45 milioni di posti di lavoro. In definitiva si calcola che l’aumento dei posti di lavoro garantiti dall’economia circolare sia dovuto al presupposto per cui il riutilizzo e il riciclo richiedono più manodopera rispetto allo smaltimento.

Ci si aspetta inoltre una crescita di circa 4 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero e 9 milioni nel campo delle energie rinnovabili, mentre sempre più dinamico dal punto di vista della circolarità è l’agroalimentare, che ha visto nascere, dal 2016 al 2020, 1808 startup sostenibili con una crescita del 17%.

Costellazioni circolari: i mestieri del futuro

Le professioni legate all’economia circolare sono state messe nero su bianco da una ricerca di Randstad del 2021 che costruisce delle “costellazioni” per i principali settori industriali legati alla circolarità (agroalimentare, gestione aziendale, riciclo e riuso delle risorse, logistica inversa, gestione e recupero del suolo) e analizza nel dettaglio le professioni orizzontali, cioè quelle che grazie a competenze trasversali, possono essere applicate ai diversi settori. Come ci si può aspettare, visto il legame molto stretto tra l’economia circolare e la tecnologia, sono tutte in qualche modo legate all’ecosistema digitale: ad esempio progettista di mappatura delle filiere e specialista dell’informazione certificata, ruoli connessi alla blockchain, gestori di servizi digitali che richiede competenze nell’ICT e nello sviluppo di software, ecodesigner e innovatori di produzione, che richiedono una nuova progettazione di prodotti e servizi in chiave sostenibile e circolare, che comprende anche un’attenta conoscenza dei materiali e delle tecniche (si pensi al contributo fondante che la stampa 3D dà allo scopo…). E ancora, non si tratta solo di competenze strettamente tecniche ma di design thinking creativo e digitale di prodotti e servizi alla base della transizione verso l’economia digitale. Insomma, 200 professioni che ridisegnano un po’ il campo delle competenze e la trasversalità del mondo del lavoro in un mondo di risorse finite.

In Europa, l’economia circolare ha generato 4 milioni di posti di lavoro dal 2012 al 2018 secondo le stime del Ministero della Transizione ecologica. Un esempio su tutti l’Olanda, dove già nel 2015 l’8,1% della forza lavoro era impiegata in attività legate all’economia circolare per un totale di 810.000 individui, sviluppandosi queste per lo più nel centro delle città, dove sono più diffusi i servizi e territorio preferito della sharing economy, e dove sono possibili le strategie di simbiosi industriale che – sempre secondo le linee guida del MITE – sarebbero un potente driver per l’occupazione.

La tecnologia

Tra le caratteristiche principali dei circular jobs, secondo un breve vademecum della Commissione europea dedicato all’Olanda, spicca la dimestichezza con le tecnologie digitali “al fine di tracciare e ottimizzare l’uso delle risorse e rafforzare le connessioni tra gli attori della filiera attraverso piattaforme digitali”, di conseguenza uno dei mestieri abilitanti l’economia circolare è proprio quello del data analyst. Inoltre, delle professioni legate all’economia circolare, quelle legate all’applicazione delle tecnologie digitali sono quasi raddoppiate negli ultimi due decenni. La tecnologia, quindi, rimane il principale driver anche per quel che riguarda l’occupazione, facendosi sempre più urgente lo sviluppo di infrastrutture in rete che raccolgano e condividano informazioni, una pianificazione “anti-spreco” della produzione e la riduzione degli sprechi grazie ad algoritmi predittivi.

Sicurezza e sostenibilità

Il lavoro dignitoso, come è definito dall’obiettivo 8 dell’Agenda 2030, è un lavoro sicuro. Anche rispetto a questo l’economia circolare ha molto da proporci: lo studio prospettico Foresight Study on the Circular Economy and its effects on Occupational Safety and Health di EU – OSHA esamina alcuni scenari futuri in cui si dovrà far fronte alla sicurezza delle nuove professioni dell’economia circolare, come la gestione dei rifiuti, che può influire sulla salute del lavoratore che ne viene a contatto, e l’economia delle piattaforme, che a causa dell’intermediazione che le caratterizza rischiano di eclissare molte tutele.

Sebbene normalmente Safety by design e Sustainability by design siano molto legate, gli sviluppi della sharing economy e della gig economy ci mettono di fronte a delle sfide: non solo tutele sindacali e diritti dei lavoratori che cambiano, ma anche rischi psicosociali dovuti al “lavoro solitario”, oltre che alla supervisione da parte di sistemi di intelligenza artificiale (spesso dal funzionamento oscuro).

Le piattaforme digitali, parte del problema e della soluzione

L’EPSU, la Federazione Europea dei Sindacati dei Servizi Pubblici nell’osservare l’impatto sul mondo del lavoro dell’automazione, della digitalizzazione, dell’intelligenza artificiale e della robotica, mette in guardia anche sulla relazione uomo – robot che – a suo dire – modificherà per sempre il mercato del lavoro, insieme al monitoraggio delle prestazioni: tutti elementi di cui una nuova legislazione dovrà tenere conto.

Il tipo di professioni elencate, specializzate o meno, afferenti all’economia circolare e legate così al digitale e alla tecnologia hanno spesso in comune le caratteristiche del “lavoro non-standard”. Ingrossano, cioè, le fila dei lavoratori flessibili nei servizi decentralizzati. Per questo, il Comitato economico e sociale europeo ha presentato, a dicembre 2021, un pacchetto di misure dedicato, in particolare, ai lavoratori delle piattaforme digitali. Ad esempio, la creazione di cooperative di piattaforma, imprese democraticamente governate da coloro che dipendono da esse (dipendenti, utenti e altri stakeholder rilevanti), che insieme creano una piattaforma digitale (sito web, applicazione mobile o protocollo) per facilitare lo scambio di beni e servizi. A causa della loro natura mutualistica, per le cooperative di lavoro non standard, le piattaforme digitali semplificherebbero la ridistribuzione della ricchezza tra i dipendenti, consentirebbero di scalare le attività, riunirebbero lavoratori spesso isolati e aiuterebbero a gestire flussi di lavoro intermittenti.

Poiché le piattaforme sono di proprietà dei membri della cooperativa, vi è una sovrapposizione tra proprietari e dipendenti. Di conseguenza, controllo sui prodotti e servizi delle piattaforme, sui prezzi e sulle tariffe, sulla governance e sui dati che sarebbero di proprietà dei dipendenti e non (più) degli algoritmi.

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