Il cambiamento climatico è un tema di grande attualità: intricato, controverso, dai mille elementi da prendere in considerazione, voci, fonti, prospettive. I più pessimisti sostengono che non stiamo facendo ancora abbastanza per realizzare un vero sviluppo sostenibile, le temperature si alzano, si alterano gli equilibri naturali, con effetti e conseguenze nefaste; i più fiduciosi dicono che è più pericoloso temere e contrastare i cambiamenti in corso, si fanno troppi allarmismi, l’Umanità e il Pianeta sapranno cavarsela, senza eccessivi disastri.
Le emissioni inquinanti prodotte dall’Uomo stanno in effetti diminuendo rispetto al livello massimo raggiunto nella seconda metà del secolo scorso, ma lo fanno così lentamente da essere ancora consistenti. Gli oceani, più caldi rispetto al passato, riescono a trattenere una percentuale minore di anidride carbonica, per cui viene rilasciata nell’atmosfera una quantità maggiore di emissioni. Il sistema energetico globale è basato in gran parte sui combustibili fossili, e ci vorrà parecchio tempo per l’auspicata svolta Green e Zero carbon.
Come rimarca Oliver Morton, nel suo libro ‘Il pianeta nuovo’, con sottotitolo ‘Come la tecnologia trasformerà il mondo, pubblicato in Italia da Il Saggiatore, alcune analisi economiche “suggeriscono che un iniziale riscaldamento della temperatura globale di circa un grado potrebbe produrre vantaggi oggettivi, con un incremento della produttività agricola nelle zone temperate, un aumento delle precipitazioni in alcune aree aride, minori danni dovuti al freddo alle alte latitudini e vari altri fattori. Se il cambiamento climatico legato alle emissioni di anidride carbonica rappresenta un vantaggio globale, sostengono alcuni, i Paesi non dovrebbero concertare misure volte a contrastarlo. Ma nessuna proiezione futura di questo tipo garantisce che se la passeranno tutti meglio. E a fare la fine peggiore saranno soprattutto le popolazioni che partono già svantaggiate e sono responsabili di minori emissioni di anidride carbonica, come i contadini e i cittadini poveri dei Paesi in via di sviluppo”.
Sfide da affrontare, rebus da risolvere
In più, ci si aspetta che la popolazione mondiale, dai 7 miliardi odierni, arrivi nel 2100 più o meno a 10 miliardi di individui. Per quella data dovrebbero essere 10 miliardi anche le persone che godranno dei privilegi energetici dei Paesi sviluppati. Perciò la sfida del 21esimo secolo è dare a 8 miliardi di persone in più ciò che nel 20esimo secolo hanno ottenuto 2 miliardi di esseri umani. Per affrontare questa sfida bisognerà utilizzare molta più energia, ma senza compromettere ulteriormente l’ambiente e il clima. Un bel rebus da risolvere, con tante diverse e possibili strade da percorrere e soluzioni da realizzare.
Per farsene un’idea, o per approfondire le mille sfaccettature, si può cominciare a dedicare, appunto, ‘10 minuti con … il Cambiamento climatico’. Ecco una serie di possibili voci e fonti da consultare per saperne di più e tenersi aggiornati, oltre che naturalmente TechEconomy 2030.
Per iniziare con le riviste ‘storiche’ e internazionali, due capisaldi sono sicuramente ‘Science’ e ‘Nature’, che trattano questi temi anche su siti web e archivi digitali. Il quotidiano inglese The Telegraph ha una sezione anche online dedicata, mentre una rivista più tecnica e di settore è il ‘Journal of applied meteorology and climatology’.
Il Manifesto di un ‘eco-pragmatista’, e altri programmi
L’agenzia di stampa Ansa ha uno spazio appositamente dedicato ad ambiente, energia e clima, altre fonti di informazioni possono essere il Wuppertal Institute for Climate, Energy and Environment, e il sito web di Legambiente.
C’è poi l’Electronic Journal of Sustainable Development, e l’International Journal of development and economic Sustainability.
Un Report realizzato e pubblicato ogni anno è l’Annual Review of Earth and Planetary Sciences, un organismo internazionale da tenere sott’occhio è invece l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), oppure ci si può iscrivere alla Global Change Newsletter.
Veniamo ad altri libri, oltre a quello già citato del giornalista inglese Oliver Morton. Edizioni Codice ha pubblicato in Italia ‘Una cura per la Terra. Manifesto di un ecopragmatista’, scritto da Brand Stewart, mentre Il Mulino ha realizzato ‘Energia e clima. L’altra faccia della medaglia’, scritto da Alberto Clò.
I tanti allarmi lanciati sul clima mondiale
Ma naturalmente i titoli e le pubblicazioni sul tema sono migliaia. Per citarne alcuni, ci sono ad esempio ‘The carbon crunch: how we’re getting climate change wrong, and how to fix it’, di Dieter Helm, stampato dalla Yale University Press; ‘Understanding the Earth system: global change Science for application’, scritto da Sarah Cornell per la Cambridge University Press. E poi, di Archer David, ‘The long thaw: how Humans are changing the next 100.000 years of Earth’s climate’ (Princeton University Press), o anche ‘A vast machine: computer models, climate data, and the politics of global warming’, realizzato da Paul Edwards e dal Mit di Boston. Andando indietro nel tempo (1998), ma non troppo indietro nelle prospettive, c’è anche, ad esempio, ‘Historical perspectives on climate change’, di James Rodger Fleming per Oxford University Press.
Anche il panorama dei siti web è naturalmente ampio e variegato. Si può iniziare con la sezione dedicata ai cambiamenti climatici dalla Nasa, e con quelle di The Forum for Climate Engineering Assessment e di Geoengineering Monitor. Ci sono poi Sciencedirect.com, altri contenuti di Climate Engineering, ospitati dal Kiel Earth Institute, o quelli di The Berlin Climate Engineering Conference.
La Nasa, Al Gore e BusinessGreen.com
È poi possibile trovare discussioni e informazioni sempre aggiornate all’indirizzo: https://groups.google.com/forum/#!forum/geoengineering.
Come Blog online si possono consultare quelli di American Meteorological Society, e thesecularcommunity.org, o anche su Instagram l’hashtag dedicato #climatechange e numerosi altri profili, come quello della Nasa (@nasaclimatechange), delle Nazioni Unite (UN, United Nations, quindi @unclimatechange) e anche @everydayclimatechange.
Anche su Twitter la scelta delle voci che parlano di cambiamento climatico è ampia e variegata: si va dall’ex vice presidente degli Stati Uniti, Al Gore (@algore), al profilo di Caroline Lucas (@CarolineLucas), e quello di Global Action Plan (@globalactplan). Si possono seguire anche i messaggi e gli aggiornamenti di James Murray (@James_BG), direttore di BusinessGreen.com, quelli di Andrew Revkin (@Revkin), editorialista del New York Times, o della testata giornalistica specializzata The Ecologist (@the_ecologist, con sito web all’indirizzo theecologist.org). Basterà tutto questo per tenere sotto controllo il cambiamento climatico? Probabilmente, no. Ma per tenersi informati, c’è l’imbarazzo della scelta.
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