Sostenibilità e impresa, accoppiata possibile. Intervista a Emanuele Plata di PLEF

Planomia, ovvero regole di una casa che è il Pianeta, per far incontrare le esigenze di benessere durevole degli individui con quelle di costruzione di valore delle aziende nel rispetto dei vincoli di sostenibilità (ambientali, sociali ed economici), riducendo nel mercato le componenti materiali ed aumentando quelle immateriali in grado di ridurre il tasso entropico delle attività umane insieme al valore del risultato. Alla base di PLEF, Planet Life Economy Foundation, c’è questo pensiero e un’amicizia che legava i primi soci 8 fondatori, tutti uomini d’impresa capitanati da Paolo Ricotti, che nel 2003 decisero di avviare una no profit per le imprese.

Non eravamo ambientalisti o esperti del terzo settore – afferma il presidente di PLEF Emanuele Platama tutti eravamo imprenditori o manager di aziende impressionati dal fatto che, nonostante il progresso, il modo di far impresa che conoscevamo dagli anni ‘60 si era deteriorato, allontanandosi dai mercati e diventando sempre più condizionato dalla finanza per obiettivi di breve termine, con conseguenti ricadute negative sull’ambiente e sul sociale. Al momento attuale contiamo circa 130 iscritti, uniti dal desiderio di creare una comunità di esperienze che possa aiutare le imprese a sviluppare progetti, processi e prodotti sostenibili, anche mettendo a disposizione gli strumenti sviluppati come contributo per la conversione richiesta da un necessario cambiamento di paradigma”.

Quali sono gli obietti di Agenda 2030 sui quali lavorate?

Lavoriamo in gruppi di lavoro differenti a seconda delle competenze dei soci delegati a rappresentare PLEF. In particolare siamo attivi sul consumo responsabile, goal 12, su città sostenibili e innovazione, goal 9 e 11, su uno dei più difficili, a mio avviso, ovvero il goal 8, lavoro dignitoso e crescita economica, e poi su energia e clima, 7 e 13, su istruzione, goal 4, e cooperazione, 17. L’obiettivo è quello di contribuire a costruire una solida base informativa e culturale che possa consentire lo sviluppo di nuove e più sostenibili politiche industriali. Per farlo agiamo su diversi fronti e con differenti progetti messi in campo in questi anni che vanno dalla formazione alle imprese sulle strategie di sostenibilità, in equilibrio con competitività e redditività, con la messa a disposizione di strumenti di diagnosi della sostenibilità d’impresa come per esempio il questionario di “Autodiagnosi PLESI“, che permette di effettuare una prima semplificata analisi della gestione d’impresa, esaminata attraverso il filtro dei principi dello Sviluppo Sostenibile e secondo la visione di Planet Life Economy Foundation, che ha come risultato un indice percentuale complessivo che offre una percezione immediata del posizionamento della propria impresa rispetto a questi temi. Lavoriamo, poi, su progetti di turismo sostenibile, che coinvolge anche aree fragili del mondo oltre che sull’accompagnamento dei giovani verso l’autoimprenditorialità e sull’importanza della partecipazione dei cittadini nella costruzione di comunità sostenibili.

In generale, pensa che la tecnologia digitale possa essere strumento di sostenibilità?

Partiamo da un presupposto: l’impresa è un soggetto che mette in esecuzione l’innovazione. E in questo dobbiamo considerare lo Stato come fosse un’impresa, con obiettivi ovviamente diversi, ma che deve fare la sua parte per creare le condizioni giuste per lo sviluppo delle imprese. Ora, se guardiamo alla situazione attuale, come Paese dobbiamo ammettere di essere molto modesti. Ma non per questo non possiamo guardare al digitale come ad un importante abilitatore di sostenibilità e recuperare un po’ del tempo perduto. Recuperare anche rispetto alla debolezza infrastrutturale che oggi, in particolare in questa situazione di emergenza e difficoltà, si fa sentire forte. Se viene a mancare la possibilità di connettersi in Rete e mettere in condivisione informazioni, le imprese non possono svilupparsi. Credo che una delle cose più importanti che la tecnologia digitale ci consente di fare è facilitare la connessione e la partecipazione, potenziata dalla trasparenza. Stiamo lavorando per esempio affinché il BES di Istat possa essere applicato ai Comuni, perché il poter disporre delle informazioni di contesto date dagli indicatori BES contribuirebbe ad alimentare il dibattito, a sviluppare attività convergenti da parte delle stesse imprese del territorio e a questo scopo gli strumenti digitali, rafforzando l’intelligenza collettiva, consentono queste simbiosi.

Ottimismo o pessimismo sul raggiungimento dei goal previsti da Agenda 2030?

In questo momento storico purtroppo anche se vorrei essere ottimista non riesco a esserlo perché questa emergenza sanitaria temo si trasformerà in crisi economica prima e sistemica dopo. E non vorrei che tutte le risorse di cui disponiamo siano dirottate sul post emergenza e non al ragionamento su come ricostruire modelli di business sostenibili, che tengano conto della necessità di salvaguardare il nostro pianeta. Credo fermamente, però, che la nostra volontà e le nostre azioni concrete oggi più che mai siano necessarie a ripensare a un nuovo modello economico. Devo dire che sono ottimista in merito al goal 12, perché le imprese ci stanno lavorando e hanno riconsiderato il loro modo di progettare prodotti, mentre un certo pessimismo ce l’ho sul goal 8, visto che non sarà facile conciliare il tema dello sviluppo e della crescita con lavoro dignitoso per tutti. E’ necessario anche in questo caso un cambio di paradigma e nuovi strumenti. E anche su questi temi, l’innovazione potrebbe dare un contributo importante.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here