Mobilità elettrica? Molto più che cambiare auto!

La mobilità elettrica è prepotentemente entrata tanto nel dibattito pubblico quanto nell’agenda politica. Fino a pochi anni fa, parlare di e-mobility o sapere quale modello di auto elettrica era disponibile sul mercato era riservato a pochi addetti ai lavori, anche e soprattutto in ambito mediatico. Poi, come per magia, una sempre più restrittiva legislazione per limitare le emissioni nocive e di gas serra tipiche dei motori a combustione interna, unita ai tentativi di rilancio di un mercato dell’auto da anni moribondo, hanno permesso a questi temi di raggiungere l’immaginario collettivo.

La mobilità elettrica è un tassello di un mosaico molto più grande

Come sempre, in particolare nel contesto italiano, sono così nate due tifoserie: una a priori contro le auto e in generale i mezzi ad emissioni zero, l’altra pro. In questo modo il dibattito sulla necessità di riconvertire il parco auto globale è stato parecchio sminuito, ma soprattutto si è perso di vista un punto molto importante: la mobilità elettrica non implica solamente cambiare auto, passando dal rifornimento alle pompe diesel e benzina alle colonnine di ricarica, ma è un tassello di un mosaico molto più ampio. L’e-mobility, se supportata, implementata e gestita correttamente, ci dà modo di rivedere da zero o quasi il nostro modo di muoverci e di concepire viaggi e spostamenti, ma anche e soprattutto il nostro sistema infrastrutturale, l’organizzazione delle nostre città, o il modo più efficace di avviare una transizione energetica che dia finalmente all’efficienza e alle energie rinnovabili l’importanza che meritano.

In tutto questo, il digitale gioca un ruolo fondamentale. Partiamo da un’auto elettrica. Come ha spiegato Stefano Epifani in questo recente articolo (in cui si ricorda giustamente di non fare l’errore di disegnare un futuro solamente tecno-centrico), quello automotive è uno degli ambiti più technology intensive che esistano. Oggi, però, la tecnologia dell’auto (elettrica) si è spostata dal motore a molti altri aspetti: software, guida autonoma, connettività, intrattenimento ecc. In altre parole, da motori a combustione interna sempre più efficienti e performanti ma inutilmente pesanti e abbondanti nella quantità di componenti da fabbricare e soprattutto mantenere, si è passati a una digitalizzazione dei veicoli elettrici che sotto molti aspetti ricorda la trasformazione dei telefoni in smartphone.

Servono smart-grid. E presto!

Una massiccia diffusione dei veicoli elettrici, ovviamente, porterà a una maggiore richiesta di elettricità, che se non ben pianificata e gestita può effettivamente creare problemi alle reti elettriche, in particolare più vecchie. Una maggiore elettrificazione dei trasporti e quindi un aumento della domanda di elettricità implica necessariamente un maggiore sviluppo di connettività digitale, che in quanto tale offre numerose interessanti opportunità.

Pensiamo ad esempio a quella di immagazzinare dati, o di coordinare la rete elettrica con i sistemi di accumulo e di ricarica sparsi sul territorio, o ancora quella di usare gli stessi veicoli elettrici come “batterie con le ruote” che, collegati alla rete elettrica durante la ricarica, offrono un prezioso servizio di bilanciamento della rete stessa – si pensi alle tecnologia Vehicle-to-grid (V2G) o Vehicle-to-home (V2H), già utilizzabili con diversi modelli di auto e moto elettriche. E che dire della capacità dei punti di ricarica di “comunicare” tra loro, o quella dei veicoli elettrici di raccogliere dati in modo da migliorare le proprie performance?

L’e-mobility dà modo di avviare una ormai necessaria ristrutturazione delle reti elettriche, facendole evolvere in chiave “smart” e quindi portandole ad evitare variazioni, picchi, sovraccarichi e tutto ciò che si è rivelato un limite per le rinnovabili in questi ultimi decenni.

Senza il Digitale e le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione non è possibile

La transizione verso l’e-mobility implica lo sviluppo e la sperimentazione di nuove architetture di Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) o ICT (dall’inglese Information and Communications Technologies) per i veicoli elettrici. Questo può contribuire a ridurre il peso e il costo delle future generazioni di auto e moto elettriche, oltre che gettare le basi per una maggiore praticità delle stesse e nuove funzionalità di intrattenimento e sicurezza. L’obiettivo in molti casi è affidarsi al software piuttosto che all’hardware, sostituendo i numerosi dispositivi di controllo e collegamenti via cavo che si trovano oggi nei veicoli con un numero limitato di unità informatiche principali. Questo concetto potrebbe dare un contributo importante alla riduzione della complessità nell’ingegneria automobilistica.

La ricerca che viene condotta sulle smart grid si concentra su soluzioni intelligenti per l’integrazione dei veicoli elettrici nel sistema di approvvigionamento energetico. Queste soluzioni consentono di ricaricare i veicoli in modo tale da non sollecitare eccessivamente le reti, sfruttando al contempo il potenziale delle energie rinnovabili. È a questo scopo che vengono sviluppate e testate idee per la ricarica controllata, il reintegro dell’elettricità dalle batterie delle auto elettriche e l’accesso standardizzato alle infrastrutture di ricarica. Un altro problema che deve essere affrontato in questo contesto è il modo in cui i pagamenti per l’elettricità utilizzata per ricaricare le batterie delle auto elettriche possano essere regolati in modo economico e semplice.

L’infrastruttura di ricarica deve essere sempre più caratterizzata dalla cosiddetta “interoperabilità”, quella che in pratica consente al turista tedesco, svizzero o olandese di venire in Italia e caricare con la propria tessera o con il sistema digitale di pagamento che utilizza a casa sua. Purtroppo in Italia non è sempre così, come testimoniano alcuni addetti ai lavori, ma la via è quella. In tutto ciò, il digitale è molto importante anche per quanto riguarda le colonnine di ricarica. Queste già oggi si possono considerare “intelligenti”, ma lo saranno sempre di più in futuro, sia perché sono sempre collegate alla sala di controllo dell’operatore, anche solo per non risultare mai fuori uso, sia perché permettono un monitoraggio costante dell’infrastruttura dalla centrale operativa.

I sussidi da soli non bastano, e non servono

I limiti contro cui si è scontrata la transizione energetica verso le rinnovabili non sono stati solo di carattere tecnico o infrastrutturale. Un grosso problema, che rischia di ripresentarsi anche in questo periodo di misure anti-crisi Covid19, è quello di sussidi dati “a pioggia”, o comunque senza criteri che puntino veramente allo sviluppo o al rilancio di determinate tecnologie. Certo è utile supportare la transizione all’elettrico e quindi alle rinnovabili, ma come accennato c’è da badare a tutto il ciclo, non solo al far cambiare auto o far acquistare monopattini.

Come si è visto negli scorsi anni, i sussidi alle rinnovabili non sono serviti a garantirne uno sviluppo e una diffusione ottimali. Anzi, in certe aree sono stati solo fonte di nuovi scandali, scempi ambientali e paesaggistici o casi di corruzione. Come in passato con i sussidi fini a se stessi si è riusciti a sporcare le energie pulite, oggi la soluzione non è dare incentivi ad auto, bici o monopattini elettrici, ma ripensare la mobilità nel suo complesso. In un momento in cui poi siamo costretti a farlo a causa della pandemia da coronavirus, sarebbe il caso di raccogliere la sfida e vincerla, per il bene della salute, dell’ambiente, dell’economia e della sostenibilità.

Le responsabilità ambientali (e politiche) restano

Se i veicoli elettrici sono ad emissioni zero, produrli di sicuro non è a impatto ambientale nullo. Le batterie di questi mezzi e con esse quelle dei sistemi di accumulo e di un quantitativo sempre maggiore di apparecchi elettronici, in particolare, ci mettono davanti alla necessità di valutare bene l’impronta ecologica della conversione all’elettrico. C’è chi già da anni fa presente che i Paesi con le maggiori riserve di litio, ad esempio, rischiano di diventare la nuova Arabia Saudita del pianeta, con tutte le implicazioni ambientali e geo-politiche che ciò comporta. E c’è chi, sempre per motivi socio-ambientali, si sta già orientando verso la produzione di batterie senza cobalto.

Passare all’e-mobility è giusto per molti motivi, e come visto offre innumerevoli, ottime opportunità. Non facciamo però l’errore di credere di annullare il nostro impatto ambientale, o peggio di lavarci la coscienza per il solo fatto di viaggiare ad emissioni zero. Da una parte perché rischieremmo di cadere in un inutile “auto-greenwashing”, se così lo si può definire; dall’altra perché il cosiddetto “effetto rimbalzo”, o rebound effect, è sempre in agguato. Non basta avere un’auto elettrica per pensare di avere fatto il proprio dovere ambientale. Serve un approccio completamente nuovo sia con la mobilità che con l’uso tanto dell’energia quanto delle nuove tecnologie, a partire da quelle digitali. Solo così potremo finalmente sfruttare al massimo le opportunità che queste ultime ci stanno offrendo, sia a livello individuale che collettivo.

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