4 domande su GHG, gas a effetto serra

Si chiamano Greenhouse Gasses (GHG), Gas a effetto serra, che molti pensano di poter conoscere, ma che in realtà possono avere un posto d’onore nella rubrica ABC Zero Carbon. Tra i più noti solitamente associati a questa parola lanidride carbonica e l’ozono, che non sono però gli unici a contribuire a innescare il famoso “effetto serra”, e non sono pertanto gli unici da monitorare se si vuole guardare a un futuro sostenibile e zero carbon.

I GHG sono i responsabili dell’effetto serra?

Per rispondere a questa domanda si deve partire dalla definizione di greenhouse gasses: un insieme di gas principalmente prodotti dall’uomo che rimangono in atmosfera determinando un surriscaldamento della temperatura della Terra, ovvero generando il ben noto fenomeno “effetto serra”. Questo perché i GHG riescono a trattenere, assorbire e rilasciare una parte considerevole delle radiazioni infrarosse emesse da nuvole, dall’atmosfera stessa e dalla superficie terrestre “intrappolando” così il calore nell’atmosfera.

I principali GHG sono l’anidride carbonica, il vapore acqueo, l’ossido nitroso, il metano e l’ozono. Il protocollo di Kyoto, che dal 1997 regolamenta le emissioni dei gas serra ritenuti più dannosi, include anche l’esafluoruro di zolfo, gli idro-fluoro-carburi e i per-fluoro-carburi. Ma è l’anidride carbonica continua ad essere considerata il principale GHG.

Interessante leggere i potenziali di riscaldamento globale (GWP) che ogni GHG ha e che indicano l’efficacia relativa dei gas serra nell’intrappolare il calore della Terra su un certo orizzonte temporale. La CO2 è tipicamente utilizzata come gas di riferimento e ha un GWP pari a 1. Ad esempio, il GWP a 100 anni dell’esafluoruro di zolfo è 22.800: questo significa che è 22.800 volte più potente della CO2 nello stesso orizzonte temporale come riportato nella tabella sotto e nel report pubblicato da University of Michigan.

L’uomo è l’unico responsabile della produzione di Green House Gases, no?

L’origine dei GHG può essere sia naturale che antropica. Un ruolo importante nella produzione di anidride carbonica (ma anche di ossido nitroso, metano e carbonio) ce l’ha sicuramente l’attività umana. Secondo IPCC, tra i maggiori responsabili delle emissioni, il settore energia contribuisce per circa il 76% alle emissioni globali di gas serra, seguito da agricoltura e industria. L‘EPA, Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, ha classificato le fonti di emissione dividendole in tre aree:

  • “Scope 1”, emissioni dirette provenienti da asset di proprietà dell’azienda, come le strutture e i veicoli aziendali. Rientrano anche, in quest’ambito, la combustione locale di gas naturale in edifici di proprietà; utilizzo diretto di combustibile da generatori e gasolio da riscaldamento; perdita di refrigeranti da edifici di proprietà; viaggio aziendale con aereo privato; utilizzo di carburante per le navette aziendali.

  • “Scope 2”, emissioni indirette che includono l’energia elettrica acquistata, il riscaldamento e il raffreddamento ad uso privato. Alcuni esempi, sono l’utilizzo di energia elettrica in uffici e data center; utilizzo di gas naturale in strutture in locazione; utilizzo di combustibile dei generatori in strutture in locazione; utilizzo di vapore in strutture in locazione; perdite di refrigerante in strutture in locazione.

  • “Scope 3”, emissioni indirette che si verificano nella catena del valore dell’organizzazione: asset in locazione, trasporto e distribuzione, beni e servizi acquistati, carburante, viaggi aziendali, pendolarismo dei dipendenti; trasporto e distribuzione a monte; rifiuti prodotti durante le attività; viaggi di lavoro; pendolarismo dei dipendenti.

Meno GHG, ma nessuno pensa a ridurre le emissioni?

Il Quadro 2030 per il clima e l’energia, che comprende obiettivi politici a livello dell’UE per il periodo dal 2021 al 2030, pone tra gli obiettivi chiave per il 2030 una riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990. Obiettivo di certo non banale, ma sul quale si è iniziato a lavorare e che, come mostra il grafico interattivo riportato dalla European Environment Agency, dal 1990 ha una graduale tendenza in calo.

L’Unione Europea già nel 2008 aveva fissato gli obiettivi per il 2020, con una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto al 1990, con particolare riferimento a quelle delle industrie ad alta intensità energetica e delle centrali elettriche. L’obiettivo 2020 è stato raggiunto e superato, visto che dal 2018 le emissioni di gas a effetto serra sono state ridotte del 23%, ovvero tre punti percentuali al di sopra dell’obiettivo iniziale del 20%, per lavorare all’ambizioso obiettivo 2050 di UE a impatto climatico zero.

Il digitale è responsabile della maggior parte delle emissioni e non contribuisce a contenerle?

Nel prossimo decennio, le tecnologie della quarta rivoluzione industriale, e in particolare il 5G, l’Internet delle cose e l’intelligenza artificiale, forniranno strumenti essenziali per aumentare l’efficienza dell’economia mondiale e preparare una società libera dai combustibili fossili”. Già diverso tempo fa, in una intervista a Il Sole 24 ore, il CEO di Ericsson aveva sintetizzato in questo modo il ruolo delle tecnologie digitali rispetto alle emissioni, smontando, anche attraverso i dati di una ricerca, la convinzione secondo la quale l’industria tecnologica fosse tra le principali cause dell’inquinamento globale quando invece risulta ferma da diversi anni a una produzione di gas tossici pari all’1,4% del totale.

Diverse sono le applicazioni che già oggi vengono messe in campo per ridurre le emissioni di gas effetto serra. Secondo lo studio “The impact of intelligent cyber-physical systems on the decarbonization of energy”, elaborato da un team di ricercatori provenienti da Singapore, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti, l’introduzione di tecnologie digitali nei sistemi energetici consentirebbe una riduzione delle emissioni di carbonio pari al 50%. Il report rivaluta la curva dei costi marginali di abbattimento, ovvero la spesa aggiuntiva da sostenere ogni volta che si abbatte un’ulteriore unità di emissioni (MACC, Marginal Abatement Cost Curve) dimostrando come big data, machine learning e IoT possano ridisegnare completamente questa curva.

Anche il report “A quick guide to your digital carbon footprint”, dopo aver mostrato l’impatto dell’ICT sulle emissioni, rimarca più volte come il digitale, abilitato dal 5G, possa consentire la riduzione dell’impronta carbonica in modo considerevole. A partire dai semplici contatori intelligenti, fino allo scambio di energia tramite blockchain, alle molteplici applicazioni che rendono “smart” e quindi sostenibili le città, il digitale è considerato insomma imprescindibile per un futuro zero carbon e per la riduzione di emissioni di gas a effetto serra.

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