La via verso l’emobility è ancora lunga, e le criticità non mancano

Se da una parte abbiamo detto che la mobilità elettrica è molto più che cambiare auto, dall’altra quando si vuole affrontare seriamente l’argomento bisognerebbe evitare di fare un altro errore: ragionare da tifosi invece che da cittadini. L’emobility è qualcosa da perseguire con convinzione, che dà modo appunto di rivedere non solo i mezzi che usiamo, ma anche come ci spostiamo, o addirittura come produciamo e consumiamo energia. Ciò non significa però che non ci siano ancora delle criticità da affrontare, e dei problemi da risolvere. Dall’estrazione del litio a quella del cobalto, dal riciclo delle batterie alle fonti di energia utilizzate per produrre l’elettricità con cui ricaricare i veicoli elettrici, prima di cantare vittoria c’è ancora molto lavoro da fare.

Green Contro Green: da che parte stai?

Le tifoserie, quando si parla di elettrico, non si limitano alla contrapposizione tra fazioni con interessi, visioni o ideologie opposte, ma riesce a mettere contro anche persone per cui la tutela dell’ambiente è prioritaria, e non solo in Italia. È ad esempio di pochi giorni fa la querelle tra un’azienda mineraria australiana che vuole trasformare una valle del Nevada in una cava di litio e boro – elementi chiave per le tecnologie verdi – ed i conservazionisti che puntano alla protezione di una pianta rara che cresce in quelle zone. I ricercatori affermano che la biodiversità e l’energia pulita non dovrebbero essere in opposizione, ma la società interessata allo sfruttamento di quelle zone, Ioneer, afferma che la cava nella valle di Rhyolite Ridge sarebbe la prima del suo genere negli USA (qui il video), in grado di fornire litio per 400.000 batterie per auto elettriche all’anno e boro per alimentare le turbine eoliche. A chi dare la priorità? Alla possibilità di viaggiare ad emissioni zero o ad una pianta che potrebbe sparire, con tutto ciò che questo comporterebbe sull’ecosistema locale? Stesso discorso al di qua dell’Atlantico, in Germania, dove da mesi alcuni ambientalisti protestano contro la costruzione della fabbrica Tesla nei pressi di Berlino. Dapprima per la protezione di alcune specie animali, poi per quello che secondo i dimostranti sarà il sovra-consumo idrico che interesserà la produzione delle auto elettriche più famose del mondo, poi ancora per la deforestazione di quella che in realtà non è una foresta, ma un’area di rimboschimento artificiale. Chi ha ragione? O meglio, a chi sta più a cuore la tutela del clima o la sostenibilità (ambiente, società, economia)?

Cobalto, quando la produzione delle batterie viola i diritti umani

Se si parla di Tesla in questi giorni non si può fare a meno di parlare di batterie senza cobalto, soluzione su cui sta puntando molto il costruttore. Come spiegato da Elon Musk e soci durante il recente Battery Day, infatti, la casa californiana ha già iniziato in un impianto pilota la produzione di celle in cui, al posto del controverso minerale, si massimizzerà la presenza di nickel. Il cobalto, oltre ad essere uno dei componenti delle batterie per veicoli elettrici più costosi, è all’origine di importanti fenomeni di violazione dei diritti umani e di lavoro minorile a collegati alla sua estrazione, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, dove se ne trovano le maggiori riserve del pianeta. Tesla ha così creato una nuova cella di 46 mm per 80 mm (da cui il nome 4680), che oltre ad essere più “etica” potrà produrre cinque volte più energia, portare a un aumento dell’autonomia del 16% e ad una potenza sei volte superiore; il tutto con meno componenti, una più facile fabbricazione e soprattutto a costi ridotti. Che sia o vero o meno (il mercato azionario non è rimasto particolarmente impressionato dagli annunci di Musk durante il Tesla Battery Day 2020), resta il fatto che trovare un’alternativa al massiccio uso di cobalto resta necessario, soprattutto se si considera la produzione su larga scala di batterie dei prossimi anni. Che, ricordiamolo, oltre a quello di cobalto farà anche massiccio uso di terre rare come neodimio, lantanio, terbio e disprosio. Con tutte le conseguenze geopolitiche che ne possono derivare.

Riciclo delle batterie al litio: i problemi da affrontare

Quando si parla di batterie per veicoli elettrici, generalmente si parla di batterie al litio. Le maggiori riserve globali di questo metallo si trovano in Cile (8 milioni di tonnellate), seguito da Australia (2,7 milioni di tonnellate), Argentina (2 milioni) e Cina (1 milione). Importanti riserve sono anche state trovate in Bolivia, dove gli impatti negativi della sua estrazione sull’ambiente e le popolazioni locali si è fatto sentire anche più che altrove, portando quindi alcuni a definire il Sudamerica e le Ande in particolare come la nuova Arabia Saudita. Il litio ad oggi disponibile è stimato intorno ai 14 milioni di tonnellate, ossia ben 165 volte il volume produttivo del 2018, ma un aspetto importante è che questo metallo (come del resto il cobalto) è riciclabile. Il riciclo delle batterie al litio è un processo abbastanza costoso, che se affrontato in maniera superficiale può portare a non pochi problemi. A mettere in allarme su questi aspetti sono state di recente le Università inglesi di Birmingham, Newcastle e Leicester, che su questo problema hanno pubblicato addirittura un intero rapporto. In pratica, lo studio fa presente che stare ad aspettare per vedere cosa succederà non è possibile e che il settore automotive, insieme a governo ed istituzioni, deve sviluppare quanto prima un’efficiente catena del riciclo. Se così non sarà, se i metalli rari contenuti nelle batterie non verranno riutilizzati, avvertono gli atenei, il settore dell’auto andrà incontro a un disastro ecologico che gli si ritorcerà contro.

Bene l’elettricità, ma prodotta come?

Al di là di quelle più o meno fake di auto elettriche che trainano carrelli con generatori diesel per ricaricarle una volta arrivate a fine autonomia della batteria, c’è un’immagine che i detrattori della mobilità elettrica amano far circolare, e che al contrario di altre fa riflettere chi appunto è disposto a non ragionare solo da tifoso: quello di un omino che viaggia sulla sua auto a motore a scoppio, con scritto sulla fiancata “sporco”, con affianco (o sotto) lo stesso identico omino su un’auto uguale ma elettrica con scritto sulla fiancata “pulito”, con però il cavo attaccato alla sua auto che porta ad una centrale a carbone, con un sacco di fumo nero che esce dalla ciminiera. Anche al netto dell’impatto ambientale del litio e degli altri minerali necessari per costruire batterie, in effetti, se noi andiamo in giro con un’auto elettrica ma la ricarichiamo con elettricità da fonti “sporche” e non rinnovabili, non abbiamo cambiato di molto la situazione. Certo, l’impatto complessivo sarebbe comunque minore, le polveri sottili (sia dai gas di scarico che dai freni) emesse nelle nostre città sarebbero drasticamente ridotte, ma l’impatto complessivo sul clima non si ridurrebbe poi troppo. Al 2019, la produzione mondiale lorda di energia elettrica nel mondo è stata legata per quasi il 65% ai combustibili fossili, esattamente come negli anni ’80, oltre che per il 10% circa (in diminuzione, quindi) ad una fonte in teoria meno impattante sul clima ma anche più pericolosa: il nucleare. Le rinnovabili, tutte insieme, sono ancora a poco più di un quarto dell’intera produzione mondiale di elettricità. Con questi numeri e senza uno sviluppo massiccio di rinnovabili, efficienza energetica, smart grid e tutto quanto serve per avere un sistema energetico più sostenibile, un mondo carbon free è ancora un miraggio, con o senza auto elettriche.

Il cambio di paradigma serve anche qui

C’è un’altra immagine molto cara ai supporter del motore a scoppio: quella di due foto identiche, di auto bloccate nel traffico, in cui si fa notare che le auto in questione hanno in una foto motore a combustione interna, nell’altra motore elettrico. Anche in questo caso, l’osservazione non è campata per aria. Sebbene una strada trafficata con auto elettriche sia indubbiamente un passo avanti anche solo per l’assenza di gas di scarico emessi ad altezza passeggino, dall’altra c’è da considerare che al di là di questo la qualità della nostra vita non cambia di molto: con troppe auto in circolazione, e quindi con il trasporto privato individuale che la fa da padrone, saremmo comunque bloccati nel traffico a sprecare ore preziose, vittime dello stress. Parallelamente allo sviluppo e alla diffusione della mobilità elettrica, servono quelli della mobilità sostenibile e smart nel suo complesso: trasporto pubblico, car/bike sharing, mobilità dolce, micro-mobilità, bici, piedi ecc. Ai miglioramenti tecnici, energetici, legislativi ecc. serve affiancare il famoso cambio di paradigma culturale che porta le persone ad avere un approccio diverso con la mobilità (e forse con la realtà). Certo la pandemia globale ed il Covid-19 non aiutano, al momento, ma i millennial sembrano già orientati verso un modo diverso di spostarsi, non necessariamente legato al possesso di un’auto (e relativi status). Lo hanno capito i produttori di automobili più al passo coi tempi, che per un rilancio dei propri marchi e prodotti stanno affiancando ai modelli elettrici nuovi servizi slegati appunto dal mero acquisto di un’auto nuova. Non resta che lo si capisca anche noi.

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