Origano: impronta digitale chimica contro le frodi

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ricorre a una metodica sperimentale di fingerprinting chimico, che rileva l’impronta digitale dell’origano ed è in grado di identificare la presenza di adulteranti

Dimmi qual è la tua impronta digitale e ti dirò che origano sei. Per questa spezia – che è tra le più soggette a frode alimentare – si possono identificare i quantitativi di adulteranti compresi tra l’1,5 e il 30% presenti nel campione, grazie al fingerprinting chimico che ne rileva l’impronta digitale: una svolta. A dirlo è uno studio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) pubblicato sulla rivista internazionale Food Control.

L’origano e tutte le altre spezie sono prodotti alimentari considerati di alto valore economico, che svolgono un ruolo importante nell’aromatizzazione di cibi. Hanno costo elevato legato all’elevata richiesta, basti pensare all’ampia proposta di ricette speziate che troviamo in ristoranti o supermercati, nonché alla complessità del ciclo di approvvigionamento e per questo considerati prodotti particolarmente vulnerabili e soggetti a frodi. Non a caso il report della Comunità europea del 2013 le include tra i cibi più frodati. Nello specifico l’origano, pianta originaria del Mediterraneo, può essere sostituito con foglie di olivo, sommacco, mirto, cisto o fragola in alte percentuali.

Per combattere questo fenomeno, i ricercatori del Laboratorio di chimica sperimentale dell’IZSVe hanno messo a punto una metodica sperimentale di fingerprinting chimico, capace di rilevare l’impronta digitale dell’origano e smascherare le adulterazioni prima che finiscano nei nostri piatti.

Il sistema che smaschera le frodi

La metodica si basa su un’iniziale estrazione semplice e aspecifica di ciascun campione, a cui fa seguito la spettrometria di massa ad alta risoluzione accoppiata a una sorgente di ionizzazione a introduzione diretta (DART-HRMS). “La tecnica DART è caratterizzata da un flusso di gas ionizzante (plasma) che ad alta temperatura desorbe e ionizza le molecole dell’origano (in precedenza estratto), che vengono quindi analizzate dallo spettrometro di massa ad alta risoluzione (HRMS). In questo modo si acquisisce il profilo chimico di ciascun campione.

Mentre l’origano genuino, ovvero non frodato, avrà un profilo chimico ben distinto, quello adulterato invece sarà caratterizzato da un profilo chimico che si discosta dal genuino. I set di dati risultanti dall’acquisizione sono in genere complessi, quindi vengono applicate tecniche statistiche avanzate di estrazione, riduzione e analisi dei dati chimici dette analisi statistiche multivariate”, spiega Alessandra Tata, ricercatrice dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie e coautrice dello studio Oregano authentication by mid-level data fusion of chemical fingerprint signatures acquired by ambient mass spectrometry.

L’ultimo step del processo, è un sistema di machine learning. È programmato per distinguere in modo automatico un profilo di origano puro e qualsiasi profilo che si discosta da quest’ultimo e che viene riconosciuto dal sistema come frodato o accidentalmente inquinato, indipendentemente dal tipo di adulterante presente.

Vantaggi della nuova tecnica e limiti delle tecniche tradizionali

Finora si sono usati i metodi tradizionali, che però hanno dei limiti. Tra i più comuni spiccano la microscopia (che si basa sul controllo della morfologia delle foglie e ha bisogno di un occhio esperto), la spettroscopia IR e la cromatografia gassosa o liquida accoppiata alla spettrometria di massa. Quest’ultima, funziona con un approccio mirato e va a cercare le molecole tipiche dell’adulterante (ad esempio, i metaboliti delle foglie di olivo, fragola, sommacco o mirto). Il problema è che una qualsiasi nuova adulterazione non viene individuata attraverso le tecniche tradizionali.

Il fingerprinting chimico è veloce, economico e sostenibile. “Questa tecnica utilizza quantitativi minimi di solventi per produrre gli estratti di origano che sarà poi analizzato al DART-HRMS. Una soluzione tecnologica che rientra appieno nell’obiettivo 12 dell’Agenda 2030 dell’Onu, che prevede un uso responsabile e sostenibile delle risorse. Quando si parla di chimica sostenibile si intende l’utilizzo di una serie di principi che riducono o eliminano l’uso e la generazione di sostanze chimiche pericolose, tra cui i solventi di estrazione.

Le analisi DART-HRMS vengono sviluppate e utilizzate per prodotti alimentari diversi, ma anche in discipline lontane dalla chimica alimentare” racconta Roberto Piro, Direttore del Laboratorio di Chimica Sperimentale dell’IZSVe. Sono state utilizzate per risalire alla dieta alla quale erano state sottoposte le vacche da latte durante la mungitura e per differenziare le diverse specie di grano. Alcuni laboratori europei e statunitensi la utilizzano per l’autenticazione dell’olio di oliva, degli oli vegetali e della margarina, nonché per risalire a sistemi di alimentazione di pesci d’allevamento.

La tecnica ha trovato interessanti applicazioni anche nell’ambito della tossicologia forense per il rilevamento rapido di tossine in fieno causa di morte in bovini e della diagnostica veterinaria per l’individuazione precoce di paratubercolosi, in collaborazione con l’università canadese di Calgary, a partire dal siero di vacche asintomatiche.

Ben venga l’impiego della spettrometria di massa DART-HRMS per combattere le frodi nel mercato alimentare e per facilitare le analisi chimiche di supporto ad altre discipline.

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