Agro-applicazioni CNR: droni come se piovesse!

Le (agro)applicazioni targate CNR, raccontate dai ricercatori ISAFOM Antonio Pasquale Leone e Antonello Bonfante

Aeromobile a Pilotaggio Remoto (APR): come per molte altre tecnologie, prima fra tutte internet, viene sviluppata per scopi militari e poi si estende ad applicazioni civili. Una curiosa traccia storica ci riporta al Risorgimento italiano, estate 1849, quando gli Austriaci, su idea del luogotenente d’artiglieria e inventore Franz Freiherr Von Uchatius, tentarono di bombardare Venezia utilizzando dei palloni caricati di esplosivo, con micce a tempo – un primitivo dispositivo di cronometraggio a carbone di legna e filo di innesco in cotone ingrassato – per cadere esattamente sulla città; il vento, tuttavia, ostacolò l’intento, portando alcune mongolfiere a colpire invece le linee austriache.

Il termine più agile e oggi diffuso, drone, si collega ad un bersaglio telecomandato, sviluppato dalla Marina britannica per esercitazioni di tiro a metà degli anni Trenta e chiamato “DH 82B Queen Bee” (ape regina). La Marina americana si era basata su di esso per costruire un proprio modello che, per continuità, chiamò “drone” (fuco).

Oggi questi occhi volanti si sono evoluti e moltiplicati, usati ordinariamente perfino per controllare i trasgressori della raccolta differenziata o, straordinariamente, per sfidare la furia di un vulcano islandese in eruzione.

Grazie alle ampie opportunità di impiego, sono molti gli istituti del Consiglio Nazionale Ricerche che se ne avvalgono per acquisizioni cartografiche, zonazione delle aree per l’agricoltura di precisione, riprese a 360°, ortofoto georeferenziate e modelli 2D e 3D, aerofotogrammetria digitale, elettromagnetismo applicato e ICT, monitoraggi per la Protezione civile.

La tecnologia UAV ha guadagnato popolarità in campo agricolo solo negli anni 2000

Antonio Pasquale Leone – primo ricercatore ISAFOM/Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, afferente al dipartimento di Scienze Bio-Agroalimentari del CNR – ci guida nel tracciare un aggiornato ritratto di questi strumenti, arrivati ad un uso “popolare”: «È proprio così! In effetti la storia dei droni (o Unmanned Aerial Vehicle-UAV, in italiano Sistemi A Pilotaggio Remoto-SAPR) è tutt’altro che recente; parte dal gyroplane di Luis Breqguet (uno dei fondatori di Air France), sperimentato nel 1907: un quadricottero di mezza tonnellata con un unico motore a scoppio, che riuscì a sollevarsi soltanto di 60 cm. da terra. Da allora molto è stato fatto, tuttavia è stato soltanto agli inizi del 2000 che la tecnologia UAV ha iniziato a guadagnare popolarità per applicazioni in campo agricolo (e ambientale), poiché i rapidi progressi nel settore industriale hanno migliorato la disponibilità, la facilità d’uso e i costi degli UAV. Di pari passo è proceduto lo sviluppo di software per il processing delle immagini acquisite. La disponibilità di differenti tipologie di velivoli, fondamentalmente a rotore e ad ala fissa, e di sensori remoti (RGB, multispettrali, termici…) trasportati a bordo, consente di adattare la scelta alle specifiche esigenze di ricerca o di applicazione».

Vari istituti del CNR realizzano ed utilizzano droni, particolarmente efficaci nell’ambito ambientale di cui si occupa ISAFOM. «Il CNR-ISAFoM – conferma Leone – ha iniziato ad occuparsi intensamente di telerilevamento da drone nel 2014, nell’ambito di una più ampia attività di ricerca, portata avanti da oltre vent’anni, riguardante l’applicazione del telerilevamento da satellite e da aereo, in combinazione con tecnologie di proximal sensing (spettroscopia nel dominio visibile-infrarosso vicino di laboratorio e di campo), alla cartografia e al monitoraggio degli agro-ecosistemi. Le attività realizzate sono riportate sulla piattaforma People del CNR».

Andiamo sul territorio

«Il telerilevamento da drone nel campo agricolo ed ambientale, che ha coinvolto, nel tempo, diversi gruppi di ricerca del CNR-ISAFoM, è stato basato sull’uso di differenti droni e sensori remoti. L’uso di sensori multispettrali trasportati a bordo di droni ad ala fissa è da tempo diffuso nell’ambito di ricerche riguardanti l’agricoltura di precisione, per la cartografia a grande scala (grande dettaglio) di indici di vegetazione di colture di pregio, con particolare attenzione a quelle viticole. Notoriamente, gli indici di vegetazione sono strettamente correlati al vigore vegetativo e, di conseguenza, alla produzione quantitativa e, soprattutto, qualitativa delle colture.

L’uso di sensori RGB, trasportati sia a bordo di sensori ad ala fissa, che di multirotori, ha trovato larga applicazione nella produzione di dettagliate ortofoto, di modelli digitali del terreno e, dalla elaborazione di questi ultimi, di cartografie morfometriche (esposizioni, pendenze, insolazione, indice topografico di umidità, rischio topografico di erosione…). La cartografia morfometrica, in combinazione con quella relativa agli indici di vegetazione e con misure spettroradiometriche (spettroscopia vis-NIR), è stata utilizzata per la delimitazione, all’interno di singoli vigneti, di zone omogenee di produzione e gestione agrotecnica.

I sensori RGB su droni ad ala fissa sono stati utilizzati per cartografare e monitorare gli effetti di eventi climatici eccezionali (vedi Sannio 2015) sui sistemi agricoli e forestali, ma anche in supporto al monitoraggio dello stato di contaminazione dei suoli, ad esempio nell’area di crisi ambientale di Taranto, analizzando la variabilità spaziale degli effetti di tali contaminanti sullo sviluppo vegetativo delle colture. Applicazioni più routinarie dei sensori RGB su multirotori hanno riguardato il monitoraggio dello stato di copertura del suolo, soprattutto in aree di difficile accessibilità».

Una tecnologia “per tutte le stagioni”, che coniuga efficacemente – nel caso specifico – la millenaria attività dell’agricoltura con la tecnologia più avanzata del presente.

Quali dati attestano le migliorie che l’uso dei droni hanno apportato in ambito agricolo?

«I risultati delle nostre applicazioni – risponde Leone – confermano una maggior sostenibilità agricola, sia in termini economici che ambientali. Cito, a titolo di esempio, miglioramenti nella gestione dei vigneti grazie alla conoscenza della variabilità nello spazio e nel tempo dello sviluppo della copertura vegetale, oltre che di parametri morfometrici quali l’indice topografico di umidità, che esprime la tendenza del suolo ad accumulare acqua che è strettamente correlato alla profondità dei suoli. Vigneti, come ogni altro sistema agricolo, in aree collinari e montane migliorano attraverso la gestione razionale del suolo (inerbimenti, sistemazioni idrauliche) che tenga conto della diffusione di processi erosivi, rapidamente rilevabili attraverso analisi di prodotti delle immagini acquisite da droni, quali ortofoto a colori e carte dei fattori topografici influenti su tali processi (pendenza e lunghezza dei versanti)».

Tanti pro. Qualche contro, ad esempio i costi?

«Certamente – chiarisce il collega Antonello Bonfante primo ricercatore ISAFOM/CNR – vanno messi in luce entrambi gli aspetti. Il drone da solo non misura nulla, vola; il grosso del valore aggiunto è determinato dal tipo di camera che viene utilizzata per la ripresa. Ovviamente, più ci si muove verso informazioni di alto dettaglio spettrometrico, capaci di raccogliere maggiori dati dal sistema, più i costi delle camere aumentano e con essi l’expertise richiesto per la trasformazione della misura realizzata in operazioni pratiche. Si va da camere multispettrali a 5 bande, da poche migliaia di euro, a decine di migliaia quando si va verso l’iperspettrale. Questi costi operativi, a cui si aggiungono difficoltà e limitazioni nell’utilizzo dei droni (patentino e regolamentazione ENAC) rendono difficile la diffusione di tali strumenti tra gli agricoltori o chi fa servizio all’agricoltura, restando ancora “di nicchia” nel contesto del monitoraggio aziendale, ad appannaggio delle grandi aziende capaci di coprire tali servizi.

Va altresì sottolineato che molte volte i voli vengono realizzati con camere a 5 bande, con la possibilità di calcolare un numero limitato di indici vegetazionali, generalmente correlati allo stato di sviluppo della pianta, che non consentono una valutazione completa del motivo per cui si evidenzia un cambio di pattern spaziale nella risposta colturale nel proprio campo. Quindi all’atto pratico, l’informazione fornita all’agricoltore risulta “monca”. Per ovviare, si può procedere attraverso le tecniche precedentemente descritte, cioè estendere la misura a spettrometrica di campo, o procedere con una zonazione delle aree omogenee del nostro campo attraverso indagini pedologiche, supportate da analisi geomorfologiche, geofisiche o di altra natura, capaci di descrivere la variabilità spaziale del suolo.

Quello che leggiamo con una immagine multispettrale da drone in un campo è la risposta differenziata di una stessa pianta, coltivata nello stesso modo, sottoposta alle stesse condizioni climatiche: se vi sono differenze di comportamento e sviluppo, molto probabilmente sono allora dovute alla variabilità spaziale dei suoli, che governano il bilancio idrico e la disponibilità dei nutrienti. E dunque, se si ha prontezza dei suoli, si ottimizza certamente l’applicazione delle informazioni rilevate con droni, per qualsiasi camera utilizzata. In conclusione, le informazioni da drone certamente rappresentano un passo avanti notevole, ma molta strada va ancora fatta per ottimizzarne l’uso pratico».

Quali zone d’Italia hanno accolto con maggior interesse la tecnologia SAPR?

«Stando alle nostre esperienze, sono, come d’altronde atteso, quelle ad agricoltura più avanzata e remunerativa; limitando l’analisi al centro-sud Italia, di maggiore interesse per il CNR-ISAFoM, sicuramente le aree viticole come quelle del Sannio e dell’Irpinia. Tuttavia, con il progredire della comunicazione e delle interazioni tra ricercatori, professionisti (agronomi), organizzazioni agricole e produttori, l’interesse appare altresì crescente nelle predette aree del centro-sud Italia da parte di enti (Regioni, Province, Comuni) responsabili della gestione del territorio per l’uso dei droni nel monitoraggio ambientale, con particolare attenzione alle problematiche di degrado fisico (erosioni, frane…) dei sistemi agricoli e forestali».

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