Il Rapporto RetailX sulla sostenibilità ambientale dell’e-commerce

La crescita delle vendite online, soprattutto durante questi ultimi mesi di pandemia, è evoluta di pari passo alla consapevolezza del fatto che le consegne a domicilio presentano un costo per l'ambiente: la sostenibilità ambientale dell'e-commerce, nel nuovo report di RetailX

Nei suoi racconti dedicati al futuro, lo scrittore statunitense Ray Bradbury immaginò nel secondo dopoguerra che, al momento del parto, negli anni Duemila una coppia si sarebbe recata con un veicolo avveniristico in ospedale e, grazie ad una macchina speciale, la donna avrebbe partorito in poco tempo ed in modo indolore. Nel frattempo, il marito, raccontava Bradbury, sarebbe ovviamente rimasto fuori dalla porta a fumare nervosamente in attesa del lieto evento. Mai lo scrittore avrebbe immaginato che, da lì a cinquant’anni, non sarebbe stato possibile fumare in ospedale e che soprattutto l’uomo sarebbe entrato in sala a tenere la mano alla propria compagna: siamo in grado di immaginare le tecnologie, infatti, ma non abbiamo la facoltà di prevedere il cambiamento dei comportamenti umani.

Chi l’avrebbe detto, ad esempio, che onnipresente in TV anche nel nostro Paese e grande protagonista dello scenario digitale 2021, sarebbe stato Vinted, un marketplace per la vendita e l’acquisto di capi di abbigliamento usati, valutato ben un miliardo di euro, e collocato nel solco della poderosa crescita del mercato online dell’usato che, oltre all’abbigliamento, sta estendendo la sua penetrazione anche all’elettronica di consumo ed all’arredamento.

Gli acquisti online sono stati immaginati, anche con modelli che si sono poi rivelati economicamente inadeguati, fin dagli albori della Rete, ma pochi avevano stimato che la loro sostenibilità ambientale avrebbe nel tempo rappresentato un tale problema da costituire una leva di differenziazione non solo per operatori specialisti come Vinted, ma anche per i merchant generalisti che non possono oggi disattendere le aspettative di consumatori sempre più attenti ed esigenti: è quanto ha provato ad indagare l’ultimo “Sustainability Report” di RetailX.

Indubbiamente, come sostiene Alessandro Baricco, con la pandemia abbiamo vissuto “cinque anni in uno” e due conferme dell’accelerazione dei cambiamenti sono date dall’esplosione, anche nel nostro Paese, del ricorso ad Internet come primo ambiente di consultazione di fronte ad una scelta di acquisto e dalla crescita della consapevolezza che gli acquisti online hanno in termini di impatto ambientale. Il 37% dei consumatori intervistati in una ricerca presente nel Rapporto si dichiara infatti più consapevole degli anni pre-Covid degli effetti dell’e-commerce ed il 43% degli acquirenti afferma di tenere in considerazione le opzioni disponibili per ridurre l’impatto prodotto dalle consegne, con un dato ancor più elevato (il 60%) nella fascia di età 18-25.

Immagine 1. Cresce il digitale come primo punto di contatto fra imprese e consumatori

 

La crescita delle vendite online durante questi ultimi mesi è dunque evoluta di pari passo alla consapevolezza del fatto che le consegne a domicilio – con tutto ciò che questo implica in termini di imballaggi, resi ed emissioni – presentano un costo per l’ambiente ed ha portato il 40% degli intervistati a rispondere che intende mantenere, dopo la pandemia, un atteggiamento preferenziale nei confronti dei siti e-commerce che comunicheranno, in modo efficace e credibile, il proprio impegno a ridurre l’impatto della loro attività, anche intervenendo sulle catene di approvvigionamento di cui si avvalgono.

Come già detto in un altro contributo, la sostenibilità ambientale dell’e-commerce è però frutto di molteplici fattori che il Rapporto affronta attentamente.

Gli imballaggi e la gestione dei resi

Secondo il Rapporto, mentre i produttori alimentari e gli operatori della GDO lavorano per trovare alternative alla plastica monouso, il suo livello di utilizzo nell’e-commerce è in aumento: si prevede che il mercato globale degli imballaggi in plastica per l’e-commerce crescerà del 14,6% all’anno da qui al 2027. Ecco perché molti siti di vendite online stanno modificando la propria strategia ed in alcuni casi, come quello di Ted Baker, grazie ad una innovativa modalità di etichettatura, hanno introdotto imballaggi riutilizzabili e si sono impegnati ad ottimizzare la dimensione delle confezioni e ridurre il dispiego del materiale come del resto si aspettano ben il 73% dei consumatori. Una più attenta politica di resi gratuiti ed una comunicazione efficace possono inoltre limitare il fenomeno dei serial returners ovvero di coloro che eccedono nel restituire la merce, sostenuti in questo atteggiamento dalla facilità e talvolta dalla gratuità del recesso.

Immagine 2. La sensibilità nei confronti della sostenibilità ambientale del settore fashion

Consapevoli che lo smaltimento dei resi e dell’invenduto rappresenta una parte consistente del problema, la crescita di soluzioni – come quella esplorata da Selfridges – che introducono servizi online di riparazione, di vendita di capi di seconda mano e di modelli basati sul noleggio si sposa con la richiesta, avanzata dallo stesso Giorgio Armani nella primavera del 2020, di modificare l’approccio fast che ha caratterizzato la moda negli ultimi anni. In altri settori, si assiste analogamente ad iniziative come quella di HP che ha introdotto, con un modello ad abbonamento, la vendita dell’inchiostro per ridurre gli sprechi e mantenere le cartucce in un circuito chiuso e più facilmente oggetto di uno smaltimento oculato ed efficiente.

Le consegne a domicilio

Secondo il Rapporto, il trasporto su strada rappresenta il 73,1% delle emissioni di gas serra in Europa e la crescita dell’e-commerce va nella direzione di un progressivo aumento di questo traffico: anche prima della pandemia, si prevedeva infatti che le consegne nelle prime 100 città del mondo sarebbero aumentate del 36% con un aumento della congestione e delle emissioni del 32%.

La maggior propensione da parte degli utenti, forse anche sostenuta dalla pandemia per via dell’approccio contact-free che adotta, ad avvalersi di lockers e una più capillare presenza di pick-up point possono però invertire questa rotta ed una buona comunicazione da parte dei merchant di questa opportunità oltre a politiche commerciali che disincentivino le consegne presso la propria abitazione possono accrescere la diffusione di tale opzione con un risparmio in termini di emissioni significativo: il Rapporto stima che la consegna a punti di ritiro diffusi produca un terzo delle emissioni determinate invece dall’home delivery.

Allo stesso modo, RetailX mette in luce sia come si stiano diffondendo, in tutta Europa, soluzioni logistiche che, nei centri urbani, si avvalgono di veicoli elettronici e biciclette sia come le piattaforme di delivery come Glovo, che operano soprattutto con riders, siano posizionandosi come partner del retail tradizionale per effettuare consegne a domicilio sulla base di ordini acquisiti online e riconducibili ad un modello – il “Quick commerce” – promettente, soprattutto nelle grandi città.

La supply chain

L’incidente dello scorso marzo al canale di Suez ha messo in evidenza, se ve ne fosse stato ancora bisogno, quanto le catene di approvvigionamento siano globali e riguardino ancor più l’e-commerce, dato il crescente protagonismo in questo settore dei grandi player cinesi quali Alibaba e JD. La consapevolezza della sostenibilità ambientale degli acquisti online si è dunque estesa presso i consumatori e nel mercato per includere la supply chain e l’adozione di comportamenti virtuosi sia nella scelta dei fornitori che della logistica di cui ci si serve per gestire gli ordini ricevuti ed il relativo procurement.

La tecnologia senza alcun dubbio può supportare l’efficienza con cui la domanda viene prevista e vengono quindi ottimizzati gli approvvigionamenti: in attesa del completamento della Nuova Via della Seta, i marketplace asiatici stanno sperimentando l’uso di treni “magazzini virtuali” (più veloci delle navi, meno onerosi degli aerei) in cui i beni trasportati sono ordinati mentre sono in viaggio e dunque consentono un trasporto a pieno carico, ma, accanto alla tecnologia, occorre accrescere la trasparenza nei confronti degli utenti. Ecco perché Asos e Zalando, fra gli altri, stanno però introducendo una sorta di supplier-tracing per comunicare al consumatore la provenienza del prodotto e valorizzare gli acquisti di prossimità, non solo per ragioni di impatto ambientale, ma anche per supportare l’economia del territorio e la sostenibilità sociale dell’e-commerce. Il marchio di moda spagnolo Mango ha recentemente pubblicato una mappa che mostra la posizione dei suoi fornitori di primo livello: gli utenti possono esplorare i nomi, gli indirizzi e il numero di dipendenti di oltre 800 stabilimenti con cui il brand ha lavorato nel 2020.

L’identificazione di un chief sustainability offer e la condivisione di obiettivi misurabili di riduzione dell’impatto ambientale sono infine mostrati nel Rapporto come scelte di governance trasversali alla maggior parte dei 50 principali e-commerce europei e possono legittimare una comunicazione efficace nei confronti dei consumatori ed un impegno che in tal modo viene trasferito anche al resto delle aziende che vendono online.

La consapevolezza dei consumatori

Ciò che rende tali iniziative più credibili e differenti dal green-washing di cui negli anni passati si è molto parlato, è la crescente consapevolezza da parte degli acquirenti che può essere alimentata dalle associazioni e-commerce nazionali con l’organizzazione di giornate che, in alcuni Paesi, sono state chiamate “Green Day”: nel contempo, i singoli e-commerce possono favorirla con comunicazioni trasparenti ed addirittura filtri di ricerca del prodotto che ne contemplano il grado di sostenibilità (è il caso di Stitch Fix). La creazione di etichette che ne rendano più facile il riconoscimento può essere poi di aiuto tanto più se, come con l’iniziativa “Climate Pledge Friendly” di Amazon, l’intento è incentivare la sostenibilità anche da parte della sua lunga coda di vendor e seller.

Come per ogni altro aspetto della Rete, la frattura generazionale è infine un elemento cruciale del cambiamento. Come illustra il Rapporto, il fatto che la fascia di età 18-25 mostri tassi di consapevolezza della sostenibilità ambientale dell’e-commerce e preferenza per i merchant che la praticano decisamente superiori rispetto al resto degli acquirenti lascia sperare che il miglioramento, sotto questo profilo, del mercato sia possibile non tanto per ragioni etiche o di comunicazione, quanto perché sostenuto dall’interesse da parte degli operatori nel praticare una “competizione al rialzo” grazie alle condizioni che vengono organizzate, praticate e credibilmente comunicate.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here