Decarbonizzare tutti i trasporti è possibile? La risposta del report del Mims

Il rapporto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili fornisce delle proposte di policy su come ridurre le emissioni per accelerare la transizione ecologica

Immagine distribuita da Pxhere

La decarbonizzazione dei trasporti è una questione da affrontare il prima possibile. La situazione italiana nel quadro degli impegni internazionali ed europei sul tema non è delle migliori. Nel nostro paese, infatti, il settore dei trasporti nel 2019 è stato responsabile “del 25,2% delle emissioni totali di gas ad effetto serra e del 30,7% delle emissioni totali di CO2. Di queste, quasi il 93% sono attribuibili al trasporto stradale.

In Italia ci sono voluti 29 anni per ridurre le emissioni del 19%, allo stesso tempo però “i trasporti sono uno dei pochi settori che hanno riportato una crescita di emissioni (+3,2% rispetto al 1990), congiuntamente a quelli residenziale, dei servizi e dei rifiuti“. Un paradosso tutto all’italiana che lo STEMI (Struttura per la transizione ecologica della mobilità e delle infrastrutture), nel rapportoDecarbonizzare i trasporti. Evidenze scientifiche e proposte di policy”, cerca di risolvere proponendo un’appendice verticale sul tema per il quale le tecnologie digitali sono utili per la decarbonizzazione.

L’approccio che il documento si propone di fornire è quello di una dimensione di sistema dei trasporti i cui elementi sono intercambiabili con quelli della sostenibilità, permettendo così di ragionare in termini di sostenibilità digitale. Già quattro anni fa, Enrico Giovannini – dal 2021 ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili – parlava di “Utopia sostenibile” dove il concetto di economia digicircolare evidenzia “la stretta correlazione tra economia circolare ed economia digitale come elementi connettivi delle trasformazione necessarie per quella che definisce “utopia sostenibile”: quella energetica, quella del sistema dell’istruzione e della formazione e quella inerente al sistema fiscale” – come scrive Stefano Epifani nel suo libro.

Un’utopia vera e propria dal momento in cui le emissioni climalternanti in Italia sono rappresentate “per l’81% da CO2 derivante dalla combustione di combustibili fossili, per il 10% da metano […], per un 5% circa da protossido d’azoto di provenienza prevalentemente agricola e da un 4% (percentuale in rapida crescita) di gas fluorurati utilizzati nell’industria”.

La transizione passa per la trasformazione digitale ma sistemica allo stesso tempo: soluzioni e obiettivi che non si declinano solo ed esclusivamente in una serie di scelte tecnologiche a basse o zero emissioni, ma agiscono su cinque assi principali di azioni:

  1. potenziare i sistemi di trasporto sostenibili alternativi al trasporto su gomma e gestire la domanda e la struttura della mobilità;
  2. migliorare l’efficienza energetica e decarbonizzare i veicoli;
  3. decarbonizzare i vettori energetici e i combustibili;
  4. abbattere le emissioni necessarie alla produzione dei veicoli;
  5. abbattere le emissioni necessarie alla costruzione di infrastrutture.

Emerge dunque un ripensamento del processo: da un lato l’utilizzo di tecnologie nel quadro della sostenibilità digitale, dall’altro un’attenzione al come produrre lo stesso risultato di prima (ad esempio un’auto elettrica) ma cambiando i processi produttivi.

Cinque assi per una transizione ecologica che possono anche essere tradotti in principi quali: garantire il massimo senza creare condizioni negative; prendere atto del fatto che un’azione sviluppata all’interno di un sottosistema produce ripercussioni che non sono prevedibili su un altro sottosistema; l’inferenzialità per cui da una parte ho un sistema di regole chiare che mi consente di identificare i comportamenti degli attori, così da prevedere l’andamento in funzione di ciò che accade; pattern di ricorrenza e cioè la frequenza con la quale alcuni comportamenti si ripetono; l’adattività che mi permette di gestire inferenze – complesse e sistemiche – e di costruire soluzioni in grado di reagire all’entropia.

Ma in che modo si applica tutto ciò nei vari settori dei mezzi di trasporto?

Elettrificazione dei veicoli e sostenibilità del guano

Sul fatto che la decarbonizzazione dei veicoli sia uno degli obiettivi principali per ridurre del 55% le emissioni di gas serra entro il 2030 non ci piove. L’elettrificazione dei veicoli, infatti, comporta una rilevante riduzione delle emissioni con una limitata realizzazione di nuove energie rinnovabili.

Basti pensare che, già con il mix energetico attuale, la sostituzione dei veicoli a combustione interna con veicoli elettrici comporterebbe per l’Italia la riduzione delle emissioni del trasporto leggero su strada del 50%

Sostituzione che – e qui si inizia a intravedere quanto detto sopra – non può avvenire senza tenere in considerazione altri fattori come, ad esempio, la durabilità della batteria, l’utilizzo di una serie di materiali come metalli e grafite, “i cui livelli di produzioni attuali dovranno essere aumentati sostanzialmente (e in maniera sostenibile) per soddisfare una domanda di batterie prevista in forte crescita. Questo può indurre cambiamenti strutturali importanti per le catene di approvvigionamento di materie prime, aumentando la domanda di alcuni metalli (es. litio, nichel, cobalto) e riducendo quella di combustibili fossili, con potenziali significative implicazioni di natura geopolitica”. Potenziali vantaggi che non si fermano al “semplice” utilizzare l’auto elettrica per inquinare meno – anche se già di per sé sarebbe un grande passo avanti – ma rappresentano alla perfezione quella che si può definire “la sostenibilità del guano” e cioè la fatidica domanda: “Quanti di noi lavano la macchina presa a noleggio prima di riconsegnarla?”, la cui risposta è la presa di coscienza per la quale non basta fermarsi ad una singola azione, un singolo fatto, ma bisogna guardare nella loro complessità le cose. Dunque, tenere in considerazione i costi, le ripercussioni di un sistema su un altro ecc.

Motivo per cui la ricerca e lo sviluppo industriale di nuove tecnologie devono rappresentare il principale settore strategico per la transizione.

Trasporto pubblico locale e mobilità condivisa

Così facendo è possibile rendere sostenibile digitalmente anche il trasporto pubblico locale urbano, dal momento in cui le tecnologie di decarbonizzazione dei veicoli sono “del tutto analoghe a quelle per i veicoli leggeri e pesanti usati in ambito cittadino […] centrate prevalentemente su soluzioni elettriche a catenaria (filobus, tram, metropolitane) o a batteria” come ad esempio l’uso di hydrogen valleys o di battery swapping per i motocicli diffuso in paesi come Vietnam, India soprattutto nell’ambito della micro-mobilità: “la sostituzione veloce delle batterie alle stazioni di servizio”, soluzione che comporta “stazioni di servizio robotizzate in grado di rimuovere le batterie scariche e la sostituzione con pacchi di batterie ricaricate presso la stessa stazione. […] Dal punto di vista energetico, questa soluzione avrebbe il vantaggio di distribuire il carico sulla rete elettrica in modo molto più vantaggioso rispetto sia alle ricariche ad alta potenza, sia alle strade elettrificate che richiederebbero l’adeguamento della fornitura alla richiesta istantanea”. Si accenna solo brevemente però alla mobilità condivisa e alle applicazioni sviluppate, nonostante presenti sinergie – si legge nel report ­– con l’elettrificazione dei motocicli “grazie a profili di utilizzo più intensi, che beneficiano di costi operativi più bassi”.

Decarbonizzare Icaro: come volare senza bruciare la cera?

Soltanto nel 2019 il traffico aereo in Italia ha emesso lo 0,6% delle emissioni nazionali complessive, dato che prende in considerazione “esclusivamente le rotte interamente effettuate in territorio italiano”. Per questo la sostituzione del cherosene di origine fossile nel trasporto aereo è “la più grande sfida nella decarbonizzazione dei trasporti”.

Il cherosene, infatti, combina due proprietà ideali per il volo: una densità energetica molto elevata e la capacità di rimanere liquido fino a -47°C, che è la temperatura dell’atmosfera attorno ai 10.000 m, cioè alle quote di crociera dei velivoli, rendendo così possibili voli intercontinentali senza interruzioni di oltre 20 ore

Quali sono dunque le soluzioni? La prima è quella di ridurre il consumo energetico necessario al volo – che può sembrare scontato – ma che è difficile poiché richiede, tra le altre cose: riduzione del peso dei velivoli utilizzando nuovi materiali costruttivi (il che solleva anche la questione dello smaltimento degli aerei attualmente attivi); ottimizzazioni operative in fase di atterraggio, decollo e rullaggio per “limitare al massimo i tempi di attesa e i consumi connessi” il che significa da un lato andare a toccare manovre già delicate di per sé, dall’altro agire anche sulla logistica aeroportuale.

Per quanto riguarda l’impiego di combustibili alternativi analoghi al cherosene si parla di SAF (Sustainable Aviation Fuels), dove la diversificazione energetica è ottenuta da materie prime non fossili “nel rispetto di criteri chiave di sostenibilità e fattibilità”.

I SAF di origine biogenica, infatti, possono essere estratti dalla rimozione dell’ossigeno dalle molecole di oli vegetali e grassi inutilizzati o di scarto (oleochimica/lipidica); sintetizzati a partire da zuccheri ottenuti da colture come mais o canna da zucchero (biochimica) e infine ottenuti a partire da rifiuti agricoli, forestali, urbani che sono sottoposti a un processo di gassificazione.

A breve termine i SAF da biomassa di provenienza oleochimica saranno probabilmente l’opzione più favorevole per decarbonizzare l’energia usata in aviazione, benché parzialmente, poiché sono più convenienti e tecnologicamente pronti. I combustibili derivati da carbonio biogenico e idrogeno rinnovabile o da processi termochimici sono un’opzione più lontana in termini di livello di sviluppo tecnologico, ma potrebbero contribuire al mix dei SAF con un’accelerazione del processo tecnologico. In ogni caso, per massimizzare l’abbattimento delle emissioni serra, ridurre gli impatti sui prezzi dei prodotti alimentari e il cambiamento nell’uso del suolo, è importante che tutte queste opzioni utilizzino colture con elevate rese per ettaro o materie prime di scarto (rifiuti agricoli/forestali/urbani). In quest’ultimo caso, i volumi disponibili di materie prime sostenibili sono un fattore limitante per consentire la disponibilità̀ su larga scala. Data la limitata disponibilità̀ di alternative per decarbonizzare i vettori energetici usati in aviazione e nel trasporto marittimo di lunga distanza, queste opzioni vanno prioritariamente destinate a tali settori.

Un documento quindi che riprende una serie di fattori che – come scrive Giovannini nel suo libro: “abbiamo tralasciato [..] che avrebbero dovuto indurci a costruire diversamente il nostro modello di sviluppo”. Un report che guarda alla sostenibilità digitale secondo tre elementi essenziali: “tecnologica, governance e cambiamento di mentalità” in grado di innescare un “radicale cambio di paradigma nei processi produttivi realizzando una piena circolarità, operando su tutte le fasi, dal disegno del prodotto al suo uso e riuso”.

Un’utopia, insomma, che sposa la sostenibilità digitale.

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